Consulenze infragruppo in presenza di spese di consulenza elevate, non coerenti dal punto di vista economico, non congrue e prive di valida documentazione probante

le spese di consulenza fatturate fra società appartententi allo stesso gruppo se di importo elevato, possono far sorgere il dubbio che si stia cercando di falsare la determinazione del reddito d’impresa

Con la sentenza n. 21184 dell’8 ottobre 2014 (ud. 9 luglio 2014) la Corte di Cassazione fissa importanti principi in materia di inerenza dei costi, in presenza di spese di consulenza elevate, non coerenti dal punto di vista economico, non congrue e prive di valida documentazione probante.

 

Il fatto

L’Agenzia delle Entrate ricorre per cassazione avverso la sentenza della CTR Lombardia, la quale, accogliendo l’appello della contribuente, ha riformato la sentenza di primo grado, annullando conseguentemente il rilievo, nella parte in cui si era ritenuta legittima la ripresa a tassazione di costi indeducibili imputabili a spese per attività di consulenza infragruppo per difetto di inerenza.

La CTR, a conforto del proprio deliberato, preso previamente atto che le prestazioni di consulenza dispensate dalla capogruppo in favore della contribuente erano regolate da apposito contratto ed avevano consentito alla contribuente di effettuare un’operazione di acquisizione societaria con notevole incremento del proprio volume di affari, ha osservato che “anche se la mancata descrizione delle concrete attività fatturate non consente all’ufficio la verifica analitica dei costi supportati dalla società rispetto all’attività di impresa, si deve altresì convenire, per quanto sopra esplicitato, che in effetti la capogruppo ha svolto a beneficio della controllata attività di consulenza nell’ambito della gestione della partecipazione finanziaria che ha consentito a quest’ultima il raggiungimento di risultati concreti“, traendo da ciò la conclusione che “i costi della consulenza sopportati (dalla capogruppo), essendone stata provata la inerenza, sono da considerare deducibili“.

L’Agenzia delle Entrate ricorre in Cassazione, rilevando che, malgrado le analitiche contestazioni da essa formulate all’atto della costituzione in appello, la CTR aveva comunque ravvisato l’inerenza dei costi e ne aveva riconosciuto perciò la deducibilità quantunque le relative fatture “si caratterizzassero per l’indicazione generica delle prestazioni“, l’attività di consulenza fosse regolata “da un contratto di assistenza tecnico commerciale … di appena dieci righe” e numerosi altri elementi, emersi nel corso delle verifiche fiscali cui la contribuente era stata sottoposta, legittimassero il sospetto del carattere elusivo dell’operazione.

La sentenza della Cassazione

In ragione dell’art. 75 del T.U.I.R. nel testo vigente ratione temporis, la giurisprudenza della Suprema Corte ha reiteratamente tratto l’insegnamento secondo cui i costi, per essere ammessi in deduzione quali componenti negativi del reddito di impresa, debbono soddisfare “i principi di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità” (nn. 10167/12, 13806/14 e 1565/14).

In particolare si è affermato che affinchè “un costo possa essere incluso tra le componenti negative del reddito, non solo è necessario che ne sia certa l’esistenza, ma occorre altresì che ne sia comprovata l’inerenza, vale a dire che si tratti di spesa che si riferisce ad attività da cui derivano ricavi o proventi che concorrono a formare il reddito di impresa” (6650/06). Il principio di inerenza non richiede “la connessione comprovata per ogni molecola di costo quale partita negativa della produzione, essendo sufficiente la semplice … contrapposizione economica teorica (cioè, la cosiddetta latenza probabile degli stessi), avuto riguardo alla tipologia organizzativa del soggetto, che genera quindi partite passive deducibili se i costi riguardano l’area o il comparto di attività destinati, anche in futuro, a produrre partite di reddito imponibile. L’inerenza è quindi una relazione tra due concetti – la spesa e l’impresa – che implica, un accostamento concettuale tra due circostanze per cui il costo assume rilevanza ai fini della quantificazione della base imponibile, non tanto per la sua esplicita e diretta connessione ad una precisa componente di reddito bensì in virtù della sua correlazione con una attività potenzialmente idonea a produrre utili” (12168/09).

Trattandosi peraltro di una componente negativa del reddito si è inoltre precisato che, “la prova della sua esistenza ed inerenza incombe al contribuente” (1709/07) e che “per provare tale ultimo requisito, non è sufficiente … che la spesa sia stata dell’imprenditore riconosciuta e contabilizzata, atteso che una spesa può essere correttamente inserita nella contabilità aziendale solo se esiste una documentazione di supporto, dalla quale possa ricavarsi, oltre che l’importo, la ragione della stessa” (4570/2001).

Alla luce di ciò, osserva la Corte, l’assunto della CTR -che ne consente la deducibilità in assenza della descrizione delle concrete attività svolte, sulla base del vantaggio che ne ha goduto, in termini di fatturato, “si pone in aperto contrasto con il delineato quadro di riferimento che, in considerazione dell’onere probatorio cui è nella specie chiamata la parte, esige che la prova dei costi deducibili non solo sia opportunamente documentata, in modo tale che dalla documentazione relativa si possa ricavare ‘l’inerenza del bene o servizio acquistato all’attività imprenditoriale, intesa come strumentalità del bene o servizio stesso’ (16853/13) rispetto all’attività da cui derivano i ricavi o gli altri proventi che concorrono a formare il reddito di impresa; ma occorre pure che sia dimostrata ‘la coerenza economica dei costi sostenuti nell’attività d’impresa, ove sia contestata dall’Amministrazione finanziaria anche la congruità dei dati relativi a costi e ricavi esposti nel bilancio e nelle dichiarazioni, in difetto di tale prova essendo perciò legittima la negazione della deducibilità di parte di un costo sproporzionato ai ricavi o all’oggetto dell’impresa (7701/13). Sicchè constatare, come hanno fatto i giudici di appello riguardo ai costi portati in deduzione dalla parte che ‘in effetti la capogruppo ha svolto a beneficio della controllata attività di consulenza nell’ambito della gestione della partecipazione finanziaria’ non soddisfa il descritto decalogo probatorio e quindi viola il richiamato principio di inerenza, ma anzi costituisce sotto questa angolazione un’oggettiva forzatura del quadro fattuale, atteso che l’inerenza è stata riconosciuta ad onta delle motivate contestazioni fatte valere dall’amministrazione in relazione alla genericità della descrizione della prestazione recata dalla fattura (‘con la presente vi rimettiamo fattura per consulenza tecnico – commerciale relativa al mese …’), alla laconicità del contratto regolante il rapporto (‘l’unico documento che è stato consegnato … è un contratto di assistenza tecnico-commerciale di appena 10 righe’) e all’ingente ammontare del costo portato in deduzione (Euro 408090,92), e, se si vuole, pure delle riserve di cui in proposito non fanno mistero gli stessi giudici di appello (‘… anche se la mancata descrizione delle concrete attività fatturate non consente all’ufficio la verifica analitica dei costi supportati dalla società rispetto all’attività di impresa…’).

NOTA

Gli uffici fiscali si preoccupano, in sede di controllo, di intercettare tutti quei costi che, pur regolarmente indicati in contabilità, potrebbero nascondere operazioni sospette.

In un nostro precedente intervento sul tema avevamo avuto modo di affermare che “in via di principio, le spese e gli altri componenti negativi sostenuti per l’utilizzazione di veicoli sono integralmente deducibili nella determinazione del reddito a condizione che si riferiscano esclusivamente ad attività o beni da cui derivano ricavi o proventi1.

Autorevole dottrina ha ancora rilevato che “poiché l’inerenza deve intercorrere tra i componenti negativi e le attività o i beni da cui derivano componenti positivi tassati, e non tra i componenti negativi e i componenti positivi tassati, ne consegue che sono deducibili anche i componenti negativi che si riferiscono ad attività o beni da cui, in proiezione futura, deriveranno componenti positivi che concorreranno a formare il reddito”2 e “l‘inerenza dei costi va intesa, pertanto, quale rapporto di causa ed effetto dei componenti negativi con l’attività produttiva.Il concetto di inerenza, pertanto, ha subito nel tempo un notevole ampliamento, in quanto esso si collega – come abbiamo visto – non più solo ai ricavi e/o proventi ma all’intera attività, con la conseguenza che si devono considerare deducibili tutte quelle spese dalle quali derivano ricavi e/o compensi in successione di tempo. In ogni caso lo stabilire con certezza – in concreto – l’inerenza di una spesa non è mai cosa facile: vanno infatti guardate il tipo di attività svolta, i rapporti con l’attività dell’impresa, le eventuali utilità personali che si possono ricevere dal sostenimento di quel costo, ecc.3”.

La sentenza in commento si inserisce, quindi, in quel filone giurisprudenziale (da ritenere ormai costante e maggioritario), che addossa sul contribuente l’onere di dimostrare l’inerenza e la certezza di una spesa all’esercizio dell’impresa4 e, quindi, la deducibilità delle somme versate dal reddito d’impresa.

Sempre la Corte di Cassazione, a più riprese, ha avuto modo di far sentire la sua voce sul tema.

  • Con la sentenza n. 12330 dell’8 ottobre 2001 (ud. del 24 maggio 2001), ha imputato al contribuente l‘onere della prova circa l’esistenza dei fatti che dannoluogo a oneri e costi deducibili, ivi compresi i requisiti dell’inerenza edell’imputazione ad attività produttive di ricavi.

  • Con la sentenza n. 16730 del 27 luglio 2007 (ud. del 24 maggio 2007), ha affermato che ai fini della legittimità della detrazione dell’imposta sul valore aggiunto assolta sugli acquisti, il contribuente deve porre in essere operazioni inerenti all’attività svolta in concreto, qualificabili come strumentali per il conseguimento delle finalità tipiche dell’attività esercitata. Tale imprescindibile presupposto deve altresì essere provato dal medesimo contribuente diversamente da quanto statuito dalla corte di merito. “Appare sufficiente rilevare che, cosi, dimostrando di evocare l’esigenza, ai fini considerati, di una strumentalità valutata in concreto e non in termini puramente teorici, la giurisprudenza di questa corte, da cui non vi è motivo di discostarsi, ha consolidatamente affermato che, in tema di Iva, l’art. 19, comma 1, del D.P.R. n. 633/1972, consentendo al compratore di portare in detrazione l’imposta addebitatagli a titolo di rivalsa dal venditore, quando si tratti di acquisto effettuato nell’esercizio di impresa richiede, oltre alla qualità di imprenditore dell’acquirente, l’inerenza del bene acquistato all’attività imprenditoriale, intesa come strumentalità del bene stesso rispetto a detta specifica attività ed inoltre – non introducendo deroga ai comuni criteri in tema di onere della prova – lascia la dimostrazione di detta inerenza o strumentalità a carico dell’interessato (cfr. Cass. n. 3518/2006, n. 7418/2001, n. 4517/2000)”.

  • Con la sentenza n. 6855 del 20 marzo 2009 (ud. del 26 febbraio 2009) ha rilevato che “ricade sul contribuente l’onere di dimostrarel’inerenza all’attività di impresa delle singole spese affrontate; ed ilgiudice di merito nel valutare se questa prova sia stata fornita deveprendere in esame la funzione dei beni e dei servizi acquisiti, prescindendodall’entità della spesa e dalla circostanza che i versamenti siano statierogati ad un soggetto diverso dal contribuente, il quale abbia a sua voltaprovveduto alla acquisizione dei beni o alla organizzazione dei servizi” (cfr. Cass. n. 10257/2008).

  • Con l’ordinanza n. 19489 del 13 settembre 2010 (ud. del 24 giugno 2010) ha confermato che comunque l’onere della prova circa l’esistenza ed inerenza dei componenti negativi del reddito incombe al contribuente.

  • Con la sentenza n. 11160 del 21 maggio 2014 (ud. 7 aprile 2014) la Corte di Cassazione ha confermato che spetta al contribuente provare l’inerenza di un costo sostenuto, ai fini della deducibilità dal reddito.In tema di accertamento delle imposte sui redditi, l’onere della prova dei presupposti dei costi ed oneri deducibili concorrenti alla determinazione del reddito d’impresa, ivi compresa la loro inerenza, la loro diretta imputazione ad attività produttive di ricavi, nonchè la loro congruità, ove sia contestata dall’Amministrazione finanziaria, incomba sul contribuente, nella disciplina di cui al D.P.R. n. 917 del 1986, art. 75 (nel testo applicabile ratione temporis). In difetto di tale prova è, per vero, legittima la negazione della deducibilità dal reddito di impresa di un costo non funzionale, oppure sproporzionato, ai ricavi o all’oggetto dell’impresa stessa (cfr., ex plurimis, Cass. 4554/10; 7701/13)”.

Come già sottolineato, quindi, l’onus probandi della sussistenza dell’inerenza di determinati componenti negativi è a carico del contribuente.

In proposito, infatti, è chiaramente possibile affermare che l’onere della prova della deducibilità di elementi concorrenti alla determinazione del reddito d’impresa, ivi compresa la loro inerenza e la loro diretta imputazione ad attività prova dei presupposti dei costi ed oneri produttive di ricavi, tanto nella disciplina del d.P.R. n. 597 del 1973 e del d.P.R. n. 598 del 1973, che del d.P.R. n. 917 del 1986, incombe al contribuente.

Inoltre, poiché nei poteri dell’amministrazione finanziaria in sede di accertamento rientra la valutazione della congruità dei costi e dei ricavi esposti nel bilancio e nelle dichiarazioni, con negazione della deducibilità di parte di un costo sproporzionato ai ricavi o all’oggetto dell’impresa, l’onere della prova dell’inerenza dei costi, gravante sul contribuente, ha ad oggetto anche la congruità dei medesimi.

13 novembre 2014

Gianfranco Antico

1 Cfr. ANTICO_MONFREDA, Il principio di inerenza al test della Cassazione, in “il fisco” n. 42 del 15/2010, pag. 1-6782. Cfr. anche Corte di Cassazione, Sez. I,11 agosto 1995, n. 8818 che ha precisato, in termini generali, che la deducibilità dei costi è sempre condizionata ad una stretta inerenza degli stessi all’attività svolta; nello stesso senso Cass., Sez.Trib., Sent. n. 7071 del 29 maggio 2000.

2 P.Ceppellini-R.Lugano, Testo unico delle imposte sui redditi, sesta edizione, pag. 571.

3 ANTICO-MONFREDA, Il principio di inerenza al test della Cassazione, in “il fisco” n. 42 del 15/2010, pagg. 1-6782.

4 Si segnala, la sentenza n. 3109 del 19 dicembre 2005, depositata il 13 febbraio 2006, con cui la Corte di Cassazione ha statuito che costituisce principio consolidato l’affermazione secondo cui grava sul contribuente l’onere di dimostrare l’inerenza di una spesa all’esercizio dell’impresa e, quindi, la deducibilità delle somme versate dal reddito d’impresa (nella specie, la pronuncia è relativa alla locazione di un appartamento asseritamene adibito a foresteria). Sempre la Corte di Cassazione, con sentenza n. 1421 del 20 dicembre 2007, dep. il 23 gennaio 2008, ha affermato che costituisce principio consolidato, che giustifica il rigetto in camera di consiglio ex art. 375 c.p.c. del ricorso del contribuente, l’affermazione secondo cui l’art. 19, c. 1, D.P.R. n. 633/72, consente al compratore di portare in detrazione l’Iva addebitatagli a titolo di rivalsa dal venditore solo quando si tratti di acquisto effettuato nell’esercizio di impresa, richiedendo un quid pluris rispetto alla qualità di imprenditore dell’acquirente, cioè l’inerenza o strumentalità del bene comprato rispetto all’attività imprenditoriale; inoltre, la norma lascia la dimostrazione di detta inerenza o strumentalità a carico dell’interessato, senza che la sussistenza di detti requisiti possa presumersi in ragione della qualità di società commerciale dell’acquirente (nel caso di specie, una società esercente l’attività di commercio all’ingrosso di frutta aveva rilevato un immobile in leasing da altra società in difficoltà finanziarie ed il giudice di merito aveva escluso la detraibilità dell’iva conseguente all’operazione). In senso conforme si attesta la migliore dottrina che ha avuto modo di affrontare la problematica, CROVATO-LUPI, Il Reddito d’impresa, Il Sole24ore, Milano, 2002, pag. 93, sostenendo che in ipotesi come quella descritta dalla sentenza in esame, spetti al contribuente provare il rapporto funzionale: “di fronte a spese di dubbio collegamento con l’attività aziendale, è il contribuente a dover addurre le circostanze che spiegano il costo nella logica imprenditoriale”.