Dipendenti enti locali: le novità dal decreto Madia (seconda parte)

Trattiamo analiticamente le casistiche di forme di lavoro flessibile utilizzabili dagli enti locali.

 

Incarichi e utilizzo delle forme di lavoro flessibile

L’articolo 11 del Decreto introduce alcune rilevanti innovazioni nelle disposizioni per il personale degli Enti locali, apportando rilevanti correzioni al testo degli articoli 90 e 110 del TUEL (D.Lgs. n. 267/2000), e introducendo disposizioni in materia di utilizzo delle forme di lavoro flessibile.

Incarichi a contratto

La lettera a) del primo comma dell’articolo 11 opera una riscrittura integrale del primo comma dell’articolo 110 TUEL stabilendo che lo statuto dell’ente può prevedere che la copertura dei posti di responsabili dei servizi o degli uffici, di qualifiche dirigenziali o di alta specializzazione, possa avvenire mediante contratto a tempo determinato. Rispetto alla versione originaria della disposizione scompare qualsiasi distinzione fra contratto a tempo determinato di diritto pubblico e di diritto privato.

Nel nuovo testo del primo comma dell’articolo 110 si innalza considerevolmente la quota massima dei posti di qualifica dirigenziale che il regolamento sull’ordinamento degli uffici e dei servizi può definire come attribuibile mediante questi contratti a tempo determinato, che passa dal 10 al 30 per cento dei posti istituiti nella dotazione organica della medesima qualifica e che, in ogni caso, è pari ad almeno una unità.

I primi due commi dell’articolo 11 della Legge di conversione del Decreto determinano de facto il superamento della precedente disciplina relativa agli incarichi dirigenziali con contratto a tempo determinato prevista nella previgente formulazione dall’articolo 19, comma 6-quater, del D.Lgs. n. 165/2001, introdotto dal D.Lgs. n. 141/2011 e successivamente modificato dal D.L. n. 16/2012, convertito dalla Legge n. 68/2014 (Salva Roma-ter), che fissava limiti ben inferiori (20% per i Comuni con popolazione inferiore ai 100.000 abitanti, 13% per i Comuni con popolazione superiore a 100.000 abitanti e inferiore o pari a 250.000, 10% per i restanti). Limiti che peraltro risultavano nei fatti essere costantemente superati da un numero consistente di amministrazioni locali. Questa generalizzata situazione di palese violazione alle regole imposte agli enti locali in tema di incarichi dirigenziali a contratto viene così sanata dal Decreto Madia, che lascia ora ampi margini ai Comuni, rendendo possibile in prospettiva l’attuazione di un largo spoil system ai vertici delle amministrazioni locali.

Gli incarichi a contratto devono in ogni caso essere conferiti mediante una selezione pubblica volta ad accertare il possesso della comprovata esperienza «pluriennale» e della «specifica» professionalità nelle materie oggetto dell’incarico. La rigorosità di queste selezioni è determinante per assicurare la legittimità costituzionale della norma, che potrebbe potenzialmente essere considerata in violazione del principio garantito dall’articolo 97 della Costituzione in base al quale agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso.

La lettera b) del primo comma dell’articolo 11 del Decreto inserisce nell’articolo del 110 TUEL anche il nuovo comma 5 in base al quale se vengono stipulati contratti ai sensi dei commi 1 e 2 dello stesso articolo 110 TUEL con dipendenti di pubbliche amministrazioni, come anche per gli incarichi di Direttore generale ai sensi dell’articolo 108 TUEL, questi sono collocati in aspettativa senza assegni, con riconoscimento dell’anzianità di servizio. La disposizione si pone in netta discontinuità con disciplina previgente che in tali casi prevedeva la risoluzione del rapporto di lavoro e l’eventuale riassunzione, subordinata alla vacanza del posto in organico.

Uffici di staff

Il quarto comma dell’articolo 11 del Decreto integra invece l’articolo 90 del TUEL, riguardante gli Uffici di supporto agli organi di direzione politica (cosiddetti Uffici di staff), con il nuovo comma 3-bis che vieta al personale di tali uffici di svolgere attività gestionale anche nei casi in cui nel contratto individuale di lavoro di tali soggetti il trattamento economico, prescindendo dal possesso del titolo di studio, sia parametrato a quello dirigenziale. Il rispetto di questa prescrizione deve altresì essere certificato dai Revisori dei conti nella relazione di accompagnamento alla delibera di approvazione del bilancio annuale dell’ente.

Si osserva che la disposizione in questione traduce in legge un orientamento già fatto proprio e confermato da un’ampia e consolidata giurisprudenza in materia (si vedano in tal senso la Sezione Prima Giurisdizionale Centrale della Corte dei conti nella Sentenza n. 785/2012/A, nonché la Sezione Lombardia, nel Parere n. 43/2007 e la Sezione Piemonte nel Parere n. 312/2013), volto a negare ai componenti degli Uffici di staff l’esercizio di attività gestionali, intese come tutti quei compiti di gestione attiva in cui si concretizza l’attuazione degli obiettivi e dei programmi definiti con gli atti di indirizzo adottati dall’organo politico e che comportano anche l’adozione degli atti e provvedimenti amministrativi che impegnano l’amministrazione verso l’esterno.

All’indomani dell’approvazione del Decreto ANCI ed UPI hanno elaborato e reso disponibile al’indirizzo http://www.anci.it/Contenuti/Allegati/nota_ANCI_UPI_art90_3bis_TUEL.pdf una nota di lettura volta ad illustrare i più rilevanti elementi di novità introdotti dal citato comma 4 dell’articolo 11 del provvedimento.

Nella nota interpretativa si sostiene che la norma in questione lascerebbe all’ente nella scelta dei componenti dei propri organi di staff ampia libertà di derogare ai requisiti di accesso alla qualifica. Di fatto si permetterebbe a sindaci e assessori di conferire incarichi anche a soggetti non dotati dei titoli di studio o professionali necessari a coprire qualifiche pari negli organici ordinari dell’ente. Va però tenuto in considerazione che questa ampia libertà di deroga va comunque declinata agli obblighi in capo all’ente di garantire il rispetto dei principi costituzionali di ragionevolezza e di buon andamento dell’azione amministrativa, in forza dei quali occorre pertanto che il personale in oggetto sia in possesso di adeguata professionalità, dell’esperienza e dei requisiti necessari per lo svolgimento delle funzioni tipiche e proprie dell’attività di supporto all’organo politico per l’esercizio delle funzioni di indirizzo e controllo.

ANCI e UPI nella loro nota congiunta fanno il punto anche riguardo ai profili contrattuali applicabili a questi Uffici di staff richiamando il disposto dello stesso articolo 90 TUEL, in base al quale al personale assunto con contratto di lavoro subordinato a tempo determinato si applica il CCNL del personale degli enti locali. La nuova formulazione dell’articolo in commento consentirebbe per gli incarichi di particolare complessità di prevedere nel contratto individuale di lavoro un trattamento economico rapportato a quello dirigenziale che è costituito dalla retribuzione tabellare e dalla retribuzione di posizione, nonché da una componente accessoria costituita dalla retribuzione di risultato. A supporto di queste conclusioni la nota richiama il passaggio della la Relazione Tecnica di accompagnamento al D.L. 90/2014 dedicato alla disposizione, in cui si chiarisce che «il riferimento all’inquadramento dirigenziale, ove consentito nel regolamento degli uffici e dei servizi anche in deroga ai requisiti di accesso alla qualifica, […] è da intendere in termini di mera parametrazione retributiva, anche allo scopo di contenere la discrezionalità dell’ente».

Si ricorda inoltre che agli organi di staff è concessa ai sensi del comma 3 de medesimo articolo 90 TUEL (non toccato dal Decreto Madia) la possibilità, di riconoscere, in luogo del trattamento economico accessorio, un emolumento unico ulteriore ed aggiuntivo rispetto al compenso base, da deliberare con un apposito provvedimento motivato della Giunta comunale, in ossequio al principio di congruità rispetto alle prestazioni richieste.

Vincoli al ricorso alle forme di lavoro flessibile

Il legislatore del Decreto Madia attenua in modo deciso i vincoli di finanza pubblica posti al ricorso da parte delle amministrazioni locali alle forme di lavoro flessibile dall’articolo 9, comma 28 del D.L. n. 78/2010, convertito dalla Legge n. 122/2010, che ricordiamo essere stato esteso agli enti locali dal comma 102 dell’articolo 4 della Legge n. 183/2011 (Legge di stabilità 2012). Le misure puntano così a flessibilizzare il fabbisogno di personale negli enti locali, nella consapevolezza che oramai i vincoli posti anche a tali tipologie di assunzioni erano divenuti troppo rigidi.

Esclusione per i Comuni “virtuosi”

Il nuovo comma 4-bis dell’articolo 11, inserito in sede di conversione del Decreto, esclude dall’applicazione delle limitazioni contenute nel citato articolo 9, comma 28, tutti gli enti locali in regola con gli obblighi normativi di contenimento della spesa del personale di cui ai commi 557 e 562 della Legge n. 296/2006.

Per effetto della disposizione, i Comuni sottoposti al Patto di stabilità interno che hanno garantito la costante riduzione della spesa per il personale e gli enti di minori dimensioni esclusi dal Patto di stabilità che hanno contenuto tale spesa al di sotto di quella risultante nel 2008 non sono più soggetti all’obbligo di effettuare assunzioni con contratto di lavoro a tempo determinato, di collaborazione coordinata e continuativa, di formazione-lavoro e altri rapporti formativi, di somministrazione e lavoro accessorio, nel limite del 50% della corrispondente spesa sostenuta nel 2009.

Invero l’intervento operato dal comma 4-bis nel testo del citato comma 28 dell’articolo 9 non appare brillare per impeccabilità. L’inserimento dell’inciso dopo il quinto periodo del comma 28, lascia immutato il periodo immediatamente successivo, che continua a prevedere che la spesa complessiva, in ogni caso, “non può essere superiore alla spesa sostenuta per le stesse finalità nell’anno 2009”. Da un’interpretazione meramente letterale del testo di legge così innovato potrebbe sorgere il dubbio che anche gli enti in regola con l’obbligo di contenimento delle spese di personale possano avvalersi delle forme contrattuali di lavoro flessibile soltanto nel limite del 100% di quanto speso allo stesso titolo nel 2009. Questa restrittiva interpretazione sembra tuttavia essere superata da una lettura della versione previgente del comma 28, in cui il comma che contiene questo limite di spesa faceva chiaramente riferimento alla stipula di contratti temporanei finalizzati all’espletamento di funzioni in materia di polizia locale, istruzione pubblica e settore sociale, affrontati per l’appunto nel quinto periodo della disposizione.

Altresì si può eccepire che l’inciso inserito dalla Legge di conversione del Decreto riconosce agli enti in questione la non applicazione delle “limitazioni previste dal presente comma”, comprendendo teoricamente con tale termine anche la limitazione del periodo successivo.

Alla luce di queste argomentazione si può pertanto concludere che gli enti che rispettano i vincoli imposti dai commi 557 e 562 dell’art. 1 della Legge n. 296/2006, possono considerarsi esclusi tout court dalle limitazioni previste dal citato comma 28, ivi compresa quella contenuta nel periodo successivo. Si tratta peraltro di una tesi che per ora sembra incontrare il favore sia dell’ANCI nella sua nota di lettura al provvedimento, sia della stesso Servizio Studi della Camera dei deputati nel Dossier accompagnatorio del provvedimento.Ciò non toglie che accorrerà attendere future pronunce della prassi e della giurisprudenza per potere avvalorare pienamente questa linea di interpretazione.

Esclusione per i lavori coperti da finanziamenti specifici o da fondi comunitari

Il comma 9 dell’articolo 3 del Decreto, modificando l’articolo 9, comma 28, del D.L. n. 78/2010, convertito dalla Legge n. 122/2010, introduce una nuova deroga ai limiti al ricorso al lavoro flessibile ivi previsti, specificando che le disposizioni ivi previste in merito a tali vincoli non si applicano nel caso in cui il costo del personale sia coperto da finanziamenti specifici aggiuntivi o da fondi dell’Unione europea. Nell’ipotesi di cofinanziamento, i limiti medesimi non si applicano con riferimento alla sola quota finanziata da altri soggetti. Tale disposizione vale anche con riferimento ai lavori socialmente utili, ai lavori di pubblica utilità e ai cantieri di lavoro.

Mobilità obbligatoria e volontaria

L’articolo 4 del Decreto introduce alcune significative modifiche al regime della mobilità volontaria tra pubbliche amministrazioni, attuata mediante cessione del contratto di lavoro, e alla disciplina relativa al trasferimento dei dipendenti, attraverso la riscrittura integrale dei primi due commi dell’articolo 30 del D.Lgs. n. 165/2001.

Mobilità individuale

Secondo quanto stabilito dal nuovo testo del comma 1 dell’articolo 30 del D.Lgs. n. 165/2001, le amministrazioni possono ricoprire posti vacanti in organico mediante passaggio diretto di dipendenti, appartenenti a una qualifica corrispondente e in servizio presso altre amministrazioni, che facciano domanda di trasferimento. Il trasferimento del dipendente deve comunque essere approvato dall’amministrazione di appartenenza.

A tal fine le amministrazioni interessate devono pubblicare sui propri siti istituzionali per un periodo di almeno 30 giorni un bando di mobilità in cui vanno individuati i posti che intendono coprire attraverso passaggio diretto di personale da altre amministrazioni, con preventiva indicazione dei requisiti e delle competenze professionali richiesti.

Per agevolare queste procedure di mobilità il Decreto dispone l’istituzione, ad opera del Dipartimento della Funzione Pubblica, di un apposito portale finalizzato all’incontro tra la domanda e l’offerta di mobilità.

Ai sensi del nuovo comma 1-bis dell’articolo 30 del D.Lgs. n. 165/2001 l’amministrazione di destinazione è tenuta a provvedere alla riqualificazione dei dipendenti trasferiti per mobilità, eventualmente avvalendosi della Scuola nazionale dell’amministrazione, ove sia necessario predisporre percorsi specifici o settoriali di formazione.

Il trasferimento dei dipendenti pubblici

Il nuovo comma 2 dell’articolo 30 del D.Lgs. n. 165/2001 consente il trasferimento dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni all’interno della stessa amministrazione o, previo accordo tra le amministrazioni interessate, in altra amministrazione, in sedi collocate nel territorio dello stesso Comune ovvero a distanza non superiore a cinquanta chilometri dalla sede cui erano precedentemente adibiti. La norma, che supera nell’ambito dei trasferimenti dei dipendenti la nozione di “medesima unità produttiva”, prevede una espressa deroga all’articolo 2103, primo comma, terzo periodo del Codice civile, per effetto della quale per attuare un trasferimento nel settore pubblico non è necessario che il provvedimento di trasferimento sia motivato da “comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive”.

In favore dei dipendenti con figli di età inferiore a tre anni, che hanno diritto al congedo parentale, o che beneficiano dei permessi per assistenza al familiare disabile, si introduce la previsione che il trasferimento sia realizzabile solo con il consenso degli stessi alla prestazione della propria attività lavorativa in un’altra sede.

L’attuazione della disposizione è affidata all’emanazione di un Decreto del Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, da emanare previa consultazione con le organizzazioni sindacali rappresentative e intesa, ove necessario, in sede di Conferenza Unificata, con cui possono essere fissati criteri per realizzare i processi di mobilità, anche con passaggi diretti di personale tra amministrazioni senza preventivo accordo, per garantire l’esercizio delle funzioni istituzionali da parte delle amministrazioni che presentino carenze di organico.

Fondo per la mobilità

Al fine del potenziamento di tali politiche, il Ministero dell’Economia e delle finanze ai sensi dei nuovi commi 2.3 e 2.4 del citato articolo 30 istituisce un fondo destinato al miglioramento dell’allocazione del personale presso le pubbliche amministrazioni, con una dotazione iniziale 15 milioni di euro per l’anno 2014 e di 30 milioni di euro a decorrere dall’anno 2015, che viene inoltre finanziato dalle risorse corrispondenti al cinquanta per cento del trattamento economico spettante al personale trasferito mediante versamento all’entrata dello Stato da parte dell’amministrazione cedente e corrispondente riassegnazione al fondo ovvero mediante contestuale riduzione dei trasferimenti statali all’amministrazione cedente.

I criteri di utilizzo e le modalità di gestione delle risorse del fondo vanno definiti da un DPCM da adottare in concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze. Va detto che in sede di prima applicazione, il Decreto stabilisce che nell’assegnazione delle risorse vengono prioritariamente valutate le richieste finalizzate all’ottimale funzionamento degli uffici giudiziari che presentino rilevanti carenze di personale e conseguentemente alla piena attuazione della riforma delle Province di cui alla Legge n. 56/2014 (Riforma Delrio). Le risorse sono assegnate alle amministrazioni di destinazione sino al momento di effettiva permanenza in servizio del personale oggetto delle procedure di mobilità volontaria e obbligatoria.

Mobilità intercompartimentale

Ai sensi del comma 3 dell’articolo 4 occorre procedere all’approvazione della tabella di equiparazione per la mobilità intercompartimentale, con apposito DPCM da adottare, previo il parere della Conferenza Unificata, entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della Legge di conversione, ossia entro il prossimo 18 ottobre 2014. Decorso tale termine, la tabella di equiparazione prevista viene adottata con Decreto del Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, di concerto con il Ministro dell’Economia e delle finanze.

Assegnazione di nuove mansioni

L’articolo 5 introduce diverse modifiche all’articolo 34 del D.Lgs. n. 165/2001, che disciplina la gestione del personale in disponibilità.

In ragione delle modifiche apportate al comma 4 del citato articolo 34 del D.Lgs. n. 165/2001 si consente ai lavoratori iscritti negli elenchi del personale in disponibilità di presentare, nei sei mesi anteriori alla scadenza del periodo di disponibilità, un’apposita istanza di demansionamento, ossia di ricollocazione, in deroga all’articolo 2103 del Codice civile, nell’ambito dei posti vacanti in organico, anche in una qualifica inferiore o in posizione economica inferiore della stessa o di inferiore area o categoria, di un solo livello per ciascuna ipotesi, al fine di ampliare le occasioni di ricollocazione. Il personale così ricollocato non ha diritto all’indennità di disponibilità, ma mantiene comunque il diritto di essere successivamente ricollocato nella propria originaria qualifica e categoria di inquadramento, anche attraverso le procedure di mobilità volontaria disciplinate dalla nuova versione dell’articolo 30 dello stesso D.Lgs. n. 165/2001.

Si sottolinea che i criteri generali di applicazione delle novità introdotte possono essere stabiliti in sede di contrattazione collettiva con le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative.

Il Decreto PA novella anche il successivo comma 6 dell’articolo 34 subordinando l’avvio da parte delle amministrazioni di procedure concorsuali e le nuove assunzioni a tempo indeterminato o determinato per un periodo superiore a dodici mesi alla preventiva verifica dell’impossibilità di ricollocare soggetti iscritti nell’elenco del personale in disponibilità. I dipendenti in questione possono essere assegnati, nell’ambito dei posti vacanti in organico, in posizione di comando presso le amministrazioni che ne facciano richiesta ovvero presso quelle individuate dal Dipartimento della Funzione pubblica in attuazione del comma 5-bis dell’articolo 34-bis del D.Lgs. n. 165/2001.

Il comma 2 dell’articolo 5, del Decreto, integra la disciplina sulla gestione delle eccedenze per il personale delle società partecipate, introdotta dalla Legge di stabilità per il 2014 (Legge n. 147/2013), specificando che le procedure di cui ai commi 566 (relative alla mobilità tra società controllate dallo stesso Ente) e 567 (inerenti la mobilità presso altre società dello stesso tipo operanti anche al di fuori del territorio regionale) vanno concluse rispettivamente entro 60 e 90 giorni dall’avvio. Entro 15 giorni dalla conclusione delle suddette procedure il personale può presentare istanza alla società da cui è dipendente o all’amministrazione controllante per una ricollocazione, in via subordinata, in una qualifica inferiore nella stessa società o in altra società.

Divieto di incarichi dirigenziali a personale in quiescenza

L’articolo 6 del Decreto innova l’articolo 5, comma 9, del D.L. 6 luglio 2012 n. 95, convertito, con modificazioni, dalla Legge 7 agosto 2012 n. 135 (cosiddetta Spending review 2012), introducendo per le pubbliche amministrazioni il divieto di conferire incarichi di studio e di consulenza, incarichi dirigenziali o direttivi o cariche in organi di governo di amministrazioni pubbliche e degli enti o società da esse controllati, a soggetti già lavoratori pubblici e privati collocati in quiescenza, a meno che non si tratti di incarichi o cariche conferiti a titolo gratuito. In questi casi la durata degli eventuali incarichi e cariche conferiti a titolo gratuito non deve comunque essere superiore a un anno, non prorogabile né rinnovabile, presso ogni singola amministrazione, con obbligo di rendicontare eventuali rimborsi spese corrisposti nei limiti fissati dagli enti interessati.

La norma esenta dall’applicazione del divieto i componenti delle giunte degli enti territoriali e i componenti o titolari di ordini, collegi professionali, relativi organismi nazionali e di enti aventi natura associativa.

Permessi sindacali

L’articolo 7 del Decreto Madia dispone a decorrere dallo scorso 1 settembre 2014 una riduzione del 50%, per ciascuna associazione sindacale, dei distacchi, delle aspettative e dei permessi sindacali, come attribuiti dalle disposizioni regolamentari e contrattuali vigenti.

Le amministrazioni sono pertanto chiamate ad adeguarsi alla misura procedendo alla rideterminazione dei rispettivi monte-ore. La rideterminazione dei distacchi è operata per ciascuna associazione sindacale, con arrotondamento delle eventuali frazioni all’unità superiore e non in ogni caso opera nei casi di assegnazione di un solo distacco.

Con le procedure contrattuali previste dai rispettivi ordinamenti si possono inoltre apportare modifiche alla ripartizione dei contingenti, come ridefiniti, tra le varie associazioni sindacali. In tale sede è possibile definire, con invarianza di spesa, forme di utilizzo compensativo tra distacchi e permessi sindacali.

In merito alle modalità applicative dell’articolo 7 si rinvia comunque a quanto stabilito nella Circolare del Ministro per la Semplificazione e la Pubblica amministrazione n. 5 del 20 agosto 2014, resa disponibile al’indirizzo http://www.funzionepubblica.gov.it/media/1188221/circolare_5_2014_riduzione_distacchi.pdf.

1 ottobre 2014

Fabio Federici