La trasmissione telematica della dichiarazione dei redditi costituisce un campo minato disseminato di ostacoli probatori a carico di chi invia in caso di controversie in ordine alla prova della trasmissione

la trasmissione telematica della dichiarazione dei redditi, direttamente da parte del contribuente o ad opera di un intermediario abilitato, costituisce un campo minato, disseminato di ostacoli probatori a carico di tali soggetti, in caso di controversie in ordine alla prova della trasmissione stessa: ecco alcuni utili suggerimenti

 

La trasmissione telematica della dichiarazione dei redditi, direttamente da parte del contribuente o ad opera di un intermediario abilitato, costituisce un campo minato, disseminato di “ostacoli probatori” a carico di tali soggetti, in caso di controversie in ordine alla prova della trasmissione stessa.

La regola generale è nota: se la dichiarazione viene trasmessa in via telematica, la prova della presentazione della stessa è data dalla comunicazione dell’Agenzia delle Entrate attestante l’avvenuto ricevimento della dichiarazione trasmessa.

Tale rigoroso principio è stato ribadito frequentemente dalla giurisprudenza di legittimità (da ultimo, si veda la sentenza n. 27202 del 4 dicembre 2013 della Cassazione, secondo cui “non hanno alcun valore di prova dell’avvenuta presentazione delle dichiarazioni dei redditi né la dichiarazione dell’intermediario professionale contenente l’impegno di trasmettere in via telematica al Fisco i dati delle dichiarazioni fiscali contemplate nell’art. 3, sesto comma DPR 322/98, come modificato dal DPR 542/99, in quanto tale documento non rientra tra quelli previsti, come prova della presentazione, dal comma 10 dell’art. 3 in questione né l’ostensione, da parte del contribuente, della copia cartacea della dichiarazione che si assume inviata dall’intermediario”).

E’ opportuno evidenziare – per completezza d’indagine – che con il provvedimento dell’Agenzia delle Entrate del 2 aprile 2013 n. 40550 è stato integrato l’articolo 9 del DM 31.7.1998, stabilendo che la ricevuta rilasciata dall’Amministrazione finanziaria debba contenere anche l’invito a presentare, ove non si sia già provveduto in tal senso, il modello di comunicazione dei dati rilevanti ai fini dell’applicazione degli studi di settore, approntato sulla scorta dei dati forniti dal contribuente nella stessa dichiarazione cui si riferisce la ricevuta.

La comunicazione di ricevimento è inoltrata dall’Agenzia delle Entrate all’utente entro 5 giorni lavorativi dall’invio della dichiarazione se lo stesso è avvenuto mediante il canale Entratel, ovvero 1 giorno lavorativo se si utilizza il servizio telematico Fisconline; essa è consultabile on line per 30 giorni, oltre i quali può comunque essere richiesta dall’intermediario o dal contribuente presso qualsiasi Ufficio del Fisco senza limiti temporali.

Le istruzioni ministeriali ai modelli dichiarativi, peraltro, specificano che il servizio telematico restituisce subito dopo l’invio un messaggio che conferma l’avvenuta trasmissione del file; successivamente, l’utente riceve comunicazione attestante l’esito dell’elaborazione dei dati che – in assenza di errori – conferma l’avvenuta presentazione della dichiarazione.

La stessa prassi (circolare n. 6 del 25 gennaio 2002) precisa, concordemente a quanto sopra esposto, che la prova della presentazione è costituita dalla comunicazione della stessa Agenzia attestante l’avvenuta ricezione; quindi, il semplice impegno a trasmettere la dichiarazione non esclude la responsabilità del contribuente nel caso di mancata presentazione all’Agenzia delle Entrate nei termini previsti dalla legge.

Le posizioni del contribuente e del professionista

La responsabilità del contribuente, tra l’altro, prescinde da quella del professionista che, ove accertata, soggiace alla disciplina di cui all’art. 7 bis D.lgs. n. 241/97.

In questo senso, l’ostensione della ricevuta di accettazione della dichiarazione da parte del sistema telematico appare imprescindibile al fine di fornire la prova della tempestività della presentazione.

Il contribuente non potrà impugnare, ad esempio, l’avviso di accertamento per omessa dichiarazione sostenendo di essere stato “vittima”, in buona fede, del proprio commercialista, il quale, senza plausibile giustificazione, non abbia trasmesso in via telematica al competente ufficio la dichiarazione dei redditi.

Tuttavia, poiché l’intermediario deve consegnare al contribuente (entro 30 giorni dal termine di scadenza per la trasmissione telematica) copia dell’avvenuto ricevimento, lo stesso privato potrà, entro 90 giorni dal termine ultimo della trasmissione, operare il ravvedimento operoso ex articolo 13 comma 1 lettera c D.Lgs. 472/97.

L’impegno alla trasmissione telematica rilasciato dall’intermediario, dunque, non può essere opposto al Fisco e rileva, di conseguenza, solo nei rapporti interni tra contribuente – cliente e professionista, ad esempio in caso di rivalsa del cliente nei confronti dell’intermediario.

Come ben evidenziato dalla CTP Vercelli con la sentenza n.3 del 18 gennaio 2010, in ipotesi di tal fatta, “l’unica via percorribile per la parte ricorrente nei confronti dell’intermediario, non è tanto l’accesso al giudice tributario bensì l’esercizio dell’azione civile per ottenere il risarcimento del danno patito per l’inadempienza“.

La stessa CTP Vercelli nelle sentenze nn. 42 e 43 del 17 giugno 2010 ha, però, affermato che il contribuente non può essere sanzionato per l’eventuale ritardo od omissione della trasmissione telematica della dichiarazione, se la stessa è stata consegnata in tempo utile all’intermediario e dallo stesso ha ottenuto l’impegno alla trasmissione.

Tali statuizioni si basano, essenzialmente, sulle considerazioni che le circolari dell’Agenzia delle Entrate e le istruzioni ai modelli di dichiarazioni risultano vincolanti solo all’interno dell’Amministrazione di riferimento e che il contribuente non può essere sanzionato in assenza di colpa, ai sensi dell’articolo 5 comma 1 D.Lgs. 472/97, neppure per culpa in vigilando (come, invece, parrebbe emergere dalla circolare n. 6/2002 citata).

L’impostazione della circolare anzidetta è stata, invece, confermata dalla Cassazione, sentenza 8 maggio 2012 n.16958, la quale ha affermato che “l’affidamento ad un commercialista del mandato a trasmettere per via telematica la dichiarazione dei redditi alla competente Agenzia delle Entrate … non esonera il soggetto obbligato a vigilare affinché tale mandato sia puntualmente adempiuto“.

Con la successiva ordinanza n. 8805 del 1° giugno 2012, la Suprema Corte ha stabilito poi che in caso di presentazione della dichiarazione telematica tramite intermediario che ha rilasciato la relativa attestazione, in capo al contribuente deve ritenersi assolto il suo obbligo fiscale, anche se poi fossero state riscontrate delle incongruenze di dati, trattandosi di riflessi negativi semmai attribuibili al terzo convenzionato e non piuttosto al contribuente (si badi, però, che la controversia oggetto di tale ultima ordinanza concerneva dichiarazioni relative agli anni d’imposta 1999 e 2000, prima delle modifiche apportate dal DPR 435/2001).

Per le cose dette, pare chiaro che l’intermediario si trova certamente in una posizione delicata, in coerenza con la professionalità allo stesso riconosciuta nell’adempiere agli obblighi fiscali in nome e per conto di altri.

Efficacia probatoria della dichiarazione cartacea, in assenza di trasmissione telematica

Esaminati, per tale via, i profili soggettivi della responsabilità nella materia de qua, pare opportuno soffermarsi sulla questione dell’efficacia probatoria della dichiarazione su supporto cartaceo in assenza della ricevuta telematica.

Anche su tale aspetto, non v’è uniformità di vedute giurisprudenziali.

Sembra aprire uno spiraglio quanto alla considerazione della efficacia probatoria della dichiarazione cartacea, in caso di trasmissione telematica della dichiarazione, una pronuncia della Cassazione, secondo cui “in tema di accertamento delle imposte sui redditi, la modalità di trasmissione per via telematica della dichiarazione fiscale per il tramite di centri di assistenza comporta una presunzione di identità tra i dati risultanti all’esito della trasmissione all’anagrafe tributaria e i dati presenti nel modello cartaceo sottoscritto dal contribuente, perché la via telematica costituisce una modalità di invio della dichiarazione. Ne consegue che, ove sia eccepita una discordanza di dati in sede di gravame avverso la cartella di pagamento, non è l’Amministrazione finanziaria a dover fornire la prova della conformità, ma il contribuente a dover dimostrare la difformità, ai sensi dell’art. 2697, secondo comma, cod. civ., trattandosi di deduzione dell’inefficacia del fatto costitutivo della pretesa tributaria azionata, ed essendo egli onerato, in base all’ordinaria diligenza, di conservare una copia del modulo cartaceo anche oltre il termine di cui all’art. 43 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600” (Cass. 13440/2012).

Anche la più datata pronuncia della Suprema Corte n. 15642/2004, emessa in tema di condono, sembra dare una certa valenza alla dichiarazione cartacea: “in tema di condono fiscale, ai fini della definizione automatica prevista dall’art. 38 della legge 30 dicembre 1991, n. 413, l’onere di provare l’avvenuta presentazione delle dichiarazioni dei redditi (la quale è governata da un rigoroso regime di prova documentale ex art. 12 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600) per gli anni compresi nella dichiarazione integrativa incombe sul contribuente che intenda avvalersene, senza che rilevi l’avvenuto decorso del periodo di tempo in relazione al quale l’art. 22 del D.P.R. n. 600 del 1973 pone l’obbligo di conservazione delle scritture contabili, finalizzato soltanto a consentire l’esercizio del potere di accertamento”.

In definitiva, posto che si presume che la dichiarazione trasmessa telematicamente sia conforme a quella cartacea, quest’ultima, in caso di discordanza tra le due dichiarazioni di scienza, assume valenza come mezzo a disposizione del contribuente per cercare di dimostrare l’erronea trasmissione a sistema.

Ciò comporta, per le considerazioni fatte, lette alla luce della giurisprudenza di riferimento, un onere per il contribuente di conservare il modello cartaceo, che potrebbe avere un’importanza essenziale, in casi come quello descritto.

21 luglio 2014

Martino Verrengia