Assegnazione di un bene nell’ambito del recesso societario: profili fiscali in capo alla società e al socio

il recesso dal contratto societario rappresenta una dichiarazione di volontà unilaterale del socio, mediante la quale quest’ultimo manifesta alla società (ovvero ai soci superstiti) la propria intenzione di recedere dal rapporto societario. Al socio che recede è riconosciuto, peraltro, il diritto…

Il recesso dal contratto societario rappresenta una dichiarazione di volontà unilaterale del socio, mediante la quale quest’ultimo manifesta alla società (ovvero ai soci superstiti) la propria intenzione di recedere dal rapporto societario. Al socio che recede è riconosciuto, peraltro, il diritto di ottenere il rimborso della propria partecipazione in proporzione del patrimonio sociale, il quale deve essere determinato facendo riferimento al valore di mercato della quota alla data del recesso. Per quanto concerne le modalità di liquidazione della partecipazione a favore del socio receduto, questa potrebbe avvenire mediante acquisto della stessa da parte degli altri soci proporzionalmente alle loro partecipazioni (oppure da un terzo individuato dai medesimi soci), nell’ambito di una modalità di recesso meglio definita di “recesso atipico” ovvero, in alternativa, mediante l’utilizzo di risorse proprie della società attraverso la distribuzione, a favore del socio receduto, di riserve disponibili (o in mancanza, mediante riduzione del capitale sociale) meglio conosciuto, tra gli addetti ai lavori, con la definizione di “recesso tipico”.

Nell’ambito del recesso tipico è possibile, altresì, che la liquidazione della quota del socio uscente si perfezioni attraverso l’assegnazione, a favore di quest’ultimo, di un bene in natura per un valore corrispondente a quello dovuto a titolo di liquidazione: in tale ultima fattispecie, il vantaggio per la società è significativo in termini finanziari, in quanto evita all’ente di dover materialmente erogare al socio una somma di denaro, il cui importo potrebbe alimentare forti tensioni nei rapporti tra società e soci superstiti. Tuttavia, la scelta di liquidare il socio attraverso l’assegnazione di un bene societario, deve essere ponderata dalla società, poiché significativi sono i riverberi fiscali che, a seguito di tale assegnazione, potrebbero verificarsi in capo all’ente: l’assegnazione di un bene al socio uscente potrebbe generare, infatti, ai fini delle imposte sui redditi, un componente positivo di reddito per la società. Si pensi, ad esempio, al caso in cui venga assegnato un bene patrimonio (es. un immobile, un determinato impianto o un macchinario ecc..): al ricorrere di tale circostanza, la società potrebbe realizzare una plusvalenza fiscalmente rilevante, pari alla differenza tra valore normale del bene e costo fiscalmente riconosciuto dello stesso (art. 86 co. 1 lett. c), e co. 3 del TUIR). A ciò si deve aggiungere un’ulteriore penalizzazione in caso di assegnazione al socio di un bene patrimoniale: la plusvalenza realizzata concorre, infatti, per intero ammontare alla formazione del reddito d’impresa nell’esercizio di realizzo, senza possibilità per l’ente di poter optare, a norma dell’art. 86 co.4 del TUIR, per la rateizzazione della stessa. Quest’ultima disposizione fiscale consente, come noto, la possibilità di rateizzare soltanto le plusvalenze realizzate a seguito di cessione a titolo oneroso (o di risarcimento in forma assicurativa per la perdita o il danneggiamento dei beni strumentali), ma non quelle realizzate per effetto di assegnazione di un bene patrimonio al socio. È bene evidenziare, inoltre, che, laddove l’assegnazione al socio dovesse generare una minusvalenza (valore normale del bene assegnato inferiore al costo fiscale del bene medesimo), questa sarà da considerarsi indeducibile per effetto della soppressione, nel contesto dell’art. 101 co. 1 del TUIR, del riferimento all’art. 86 co. 1 lett. c) del TUIR.

La plusvalenza derivante dall’assegnazione al socio di un bene strumentale determina, altresì, un componente positivo nella determinazione del valore della produzione ai fini Irap, a prescindere dalla classificazione in bilancio di tale componente di reddito (area ordinaria o straordinaria). In tal senso, l’orientamento ormai consolidato dell’Agenzia delle Entrate secondo cui “rientrano nella base imponibile anche le plusvalenze e minusvalenze derivanti dal realizzo di beni strumentali, anche se classificate in voci non rilevanti ai fini Irap, in quanto a fronte di tale componente positivo in precedenza sono state dedotte le quote di ammortamento. Rimangono escluse solamente le plusvalenze derivanti dalla cessione d’azienda” (C.M. n. 27/E/2009). Peraltro, in base al disposto dell’art. 5 co. 3 del D.Lgs. n. 446/97 concorrono in ogni caso alla determinazione del valore della produzione Irap, le plusvalenze (o minusvalenze) relative alla cessione (e quindi anche assegnazione al socio) di immobili non strumentali, o patrimonio, di cui all’art. 90 del Tuir: si tratta, in buona sostanza, degli immobili di natura abitativa non utilizzati direttamente per l’esercizio dell’attività d’impresa, né alla cui produzione o scambio è diretta l’attività d’impresa.

Con riguardo, invece, ai riverberi fiscali in capo al socio uscente assegnatario di un bene societario, occorre evidenziare i seguenti aspetti. In primo luogo occorre rammentare che il “quantum” imponibile è dato, a norma dell’art. 47 comma 7 del TUIR, dalla quota parte di valore del bene assegnato al socio che eccede il costo fiscale della partecipazione liquidata dalla società:“le somme o il valore normale dei beni ricevuti dai soci in caso di recesso, di esclusione, di riscatto e di riduzione del capitale esuberante o di liquidazione anche concorsuale delle società ed enti costituiscono utile per la parte che eccede il prezzo pagato per l’acquisto o la sottoscrizione delle azioni o quote annullate”. Tale ultimo parametro (costo fiscale della partecipazione) è normalmente dato dal costo di acquisto (o di sottoscrizione) della partecipazione, incrementato dei successivi versamenti patrimoniali effettuati dal socio (aumenti di capitale, o versamenti soci che incrementano il patrimonio netto), ovvero diminuito delle “restituzioni” effettuate nei confronti dei soci (riduzioni del capitale sociale o restituzione di riserve formatesi con versamenti dei soci). Un secondo ed ultimo aspetto da rammentare, ai fini dell’imposizione fiscale in capo al socio receduto, concerne il concetto di “valore normale” del bene assegnato da porre a raffronto con il suddetto costo fiscale della partecipazione, poiché detto parametro non è sempre di agevole determinazione. A tal fine, è sempre utile rapportarsi alla definizione fiscale di valore normale contenuta all’interno dell’art. 9 co. 3 del TUIR secondo cui per valore normale “si intende il prezzo o corrispettivo mediamente praticato per i beni e i servizi della stessa specie o similari, in condizioni di libera concorrenza e al medesimo stadio di commercializzazione, nel tempo e nel luogo in cui i beni o servizi sono stati acquisiti o prestati, e, in mancanza, nel tempo e nel luogo più prossimi. Per la determinazione del valore normale si fa riferimento, in quanto possibile, ai listini o alle tariffe del soggetto che ha fornito o beni o i servizi e, in mancanza, alle mercuriali e ai listini delle Camere di commercio e alle tariffe professionali, tenendo conto degli sconti d’uso. Per i beni e i servizi soggetti a disciplina dei prezzi si fa riferimento ai provvedimenti di legge”.

 

Sandro Cerato

 

29 agosto 2014