a volte l’accertamento anticipato è possibile, una rassegna delle casistiche in cui il Fisco può agire prima dei termini previsti dello Statuto del Contribuente
Con la sentenza 13 giugno 2014, n. 13588, la Corte di Cassazione ha ritenuto legittimo l’operato dell’ufficio che, dopo aver notificato un questionario, non ha atteso i 60 giorni previsti dall’art. 12, c. 7, della Legg.n.212/2000, dalla data dell’ultimo verbale di contraddittorio tra il contribuente e l’Ufficio.
Il processo
L’Agenzia delle Entrate ricorre per la cassazione della sentenza con cui la CTR del Piemonte, riformando la sentenza di primo grado, ha annullato tre avvisi di accertamento Irpef rispettivamente relativi agli anni 2003, 2004 e 2005, con i quali l’ufficio aveva rettificato il reddito del contribuente mediante un accertamento sintetico ex art. 38, c. 4, D.P.R. n. 600/73, fondato su elementi indicativi della capacità contributiva, desunti da un questionario redatto dallo stesso contribuente e dall’esercizio dell’attività istruttoria di cui all’art. 32 del medesimo D.P.R.n.600/73.
La CTR ha ritenuto illegittimi gli avvisi in quanto emessi prima del decorso di 60 giorni; in particolare, disattendendo la prospettazione dell’Ufficio, i giudici di secondo grado, hanno affermato che la disposizione di cui al settimo comma dell’art. 12 L. 212/2000 trova applicazione non soltanto nell’ipotesi di accessi, ispezioni e verifiche effettuate presso i locali destinati all’esercizio dell’attività del contribuente, ma anche nel caso di verifiche effettuate “a tavolino“, vale dire mediante controlli effettuati in via cartolare presso gli uffici dell’Agenzia delle Entrate.
La sentenza
L’assunto dei giudici territoriali, secondo cui il termine dilatorio per l’emanazione dell’atto impositivo previsto dall’art. 12 c. 7 della L. 212/2000 opererebbe anche al di fuori del caso di controlli effettuati presso locali ove si esercita l’attività aziendale o professionale, non ha trovato il conforto della Suprema Corte, “perché esso urta contro la chiara lettera del menzionato articolo 12 L. 212/00, che, nel primo comma, fa espresso riferimento agli “accessi, ispezioni e verifiche fiscali nei locali destinati all’esercizio di attività commerciali, industriali, agricole, artistiche o professionali tale riferimento delimita esplicitamente il perimetro applicativo delle disposizioni contenute nei sette commi di cui tale articolo si compone, le quali, del resto, contengono disposizioni tutte palesemente calibrate sulle esigenze di tutela del contribuente in relazione alle visite ispettive in loco. Le stesse Sezioni Unite hanno chiaramente valorizzato il suddetto argomento letterale, laddove, enunciando il principio di diritto della sentenza n. 18184/2013, hanno precisato che il termine dilatorio di sessanta giorni per l’emanazione dell’avviso di accertamento decorre “dal rilascio al contribuente, nei cui confronti sia stato effettuato un accesso, un’ispezione o una verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività, della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni; nel medesimo senso si sono poi espresse le recentissime sentenze della Sezione tributaria n. 7960/14, che ha escluso l’operatività del termine di cui al settimo comma dell’articolo 12 L. 212/00 in tema di accertamento standardizzato mediante parametri e studi di settore, e n. 7598/14, che ha espressamente chiarito che l’applicazione di detto termine postula lo svolgimento di accessi, ispezioni e verifiche fiscali nei locali del contribuente”.
Né, osserva la Corte, “possono condividersi i dubbi di costituzionalità genericamente prospettati nella sentenza gravata con riferimento al diverso regime di tutela del contraddittorio procedimentale nel caso di accertamento effettuato mediante visita ispettiva in loco e accertamento effettuato mediante l’esame presso i locali dell’Amministrazione finanziaria dei documenti o dei questionari dalla stessa acquisiti (c.d. ‘a tavolino’). Come infatti questa Corte ha già avuto modo di chiarire con la citata sentenza 7598/14, la particolare garanzia del contraddittorio procedimentale costituita dall’imposizione di un termine dilatorio per l’emanazione dell’atto impositivo, decorrente dalla chiusura delle operazioni di controllo, è limitata all’ipotesi di accessi, ispezioni e verifiche fiscali nei locali del contribuente perché solo in tali ipotesi si verifica una invasione della sfera del contribuente, nei luoghi di sua pertinenza. Con l’accesso in loco, infatti, è l’Amministrazione, in base ai propri poteri d’impulso, a ricercare gli elementi che reputa utili a verificare la sussistenza di attività non dichiarate a da ciò deriva una specifica esigenza (che non sorge quando l’emanazione dell’atto impositivo derivi dall’esame di atti già in possesso dell’Amministrazione, o a questa fomiti dal contribuente, e da questa esaminati nella propria sede) di dare spazio al contraddittorio, al fine di correggere, adeguare e chiarire gli elementi in tal modo raccolti, nell’interesse del contribuente e della stessa Amministrazione”.
Pertanto, “le ipotesi del controllo eseguito presso la sede del contribuente e del controllo c.d. a tavolino non possono essere assimilate. Nella prima ipotesi l’espansione della tutela del contraddittorio procedimentale è massima, in quanto tale tutela tende a bilanciare lo squilibrio tra contribuente e Amministrazione derivante dall’assoggettamento del primo ai poteri ispettivi della seconda; cosicché, come pure questa Corte non ha mancato di precisare con la sentenza n. 20770/13, poi ripresa dalla sentenza 2593/14, il termine dilatorio in questione si applica in tutti casi di accesso presso i locali del contribuente, pur quando il relativo processo verbale non contenga rilievi o addebiti (dovendo infatti, ai sensi dell’ articolo 52, sesto comma, d.p.r. 633/2, richiamato dall’articolo 33 d.p.r. n. 600/73, redigersi processo verbale anche degli accessi che si risolvano in una mera acquisizione di dati, elementi e notizie). Nella seconda ipotesi, per contro, la naturale vis expansiva dell’istituto del contraddittorio procedimentale nei rapporti tra fisco e contribuente non giunge fino al punto da imporre termini dilatori all’azione di accertamento che derivi da controlli fatti dall’Amministrazione nella propria sede, in base ai dati fomiti dallo stesso contribuente o acquisiti documentalmente”.
Al riguardo il collegio ribadisce (cfr. Cass. n. 26316/10), “nell’ordinamento non sussiste un principio generale che imponga il contraddittorio fin dalla fase di formazione della pretesa fiscale; né l’esistenza di tale principio potrebbe desumersi dal diritto comunitario, avendo la Corte di Giustizia ancora di recente, con la sentenza 22.10.13 C-276/12, Jin Sabou, affermato che “l’Amministrazione, quando procede alla raccolta d’informazioni, non è tenuta ad informarne il contribuente né a conoscere il suo punto di vista (punto 45)”.
Brevi note
Le diverse sentenze di merito che accomunano i controlli cd. “a tavolino” ai controlli esterni, nel tentativo di applicare, anche ai primi, le garanzie offerte dall’art. 12, c. 7, dello Statuto del contribuente, hanno trovato un preciso, motivato e condivisibile stop dalla Corte di Cassazione, in forza del dettato normativo che ne impedisce una interpretazione estensiva.
La sentenza che si annota è conforme al precedente pronunciamento della stessa Suprema Corte (n. 7598 del 2 aprile 2014, ud. 16 dicembre 2013) dove la Cassazione ha delimitato l‘ambito di applicabilità dei “diritti e delle garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali” stabilite dall’art. 12 dello Statuto dei diritti del contribuente, alla presenza di “accessi, ispezioni e verifiche fiscali nei locali destinati all’esercizio di attività commerciali, industriali, agricole, artistiche o professionali” del contribuente. “La ragione sta nel fatto che, in questi casi, lo statuto di diritti e garanzie fa da contrappeso all’invasione della sfera del contribuente, nei luoghi di sua pertinenza, dando corpo ad una specifica esigenza di dare spazio al contraddittorio, al fine di conformare e adeguare l’interesse dell’amministrazione alla situazione del contribuente, come delineata dagli elementi raccolti dall’ufficio grazie alle attività di verifiche, accessi ed ispezioni nei locali; e ciò in quanto in queste ipotesi è l’amministrazione, in base ai propri poteri d’impulso, a ricercare gli elementi che reputa utili a verificare, o ad escludere, la sussistenza di attività non dichiarata”.
E la stessa sentenza delle Sezioni Unite n. 18184/2013, che si è pronunciata sulle conseguenze della violazione del termine dilatorio in questione, espressamente correla il dies a quo di decorrenza del termine dilatorio in questione al momento del rilascio al contribuente, nei cui confronti sia stato effettuato un accesso, un’ispezione o una verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività, della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni.
E ancora prima, con la sentenza n. 14026/2012, la Corte aveva già assunto tale posizione, peraltro confermata nella sentenza 16354/2012.
2 luglio 2014
Gianfranco Antico