Operazioni inesistenti: non bastano fattura registrata e scritture contabili regolari

per opporsi alla contestazione dell’inesistenza di un’operazione passiva, il contribuente non può limitarsi a segnalare che la fattura è stata regolarmente registrata in contabilità e pagata

Con la sentenza n. 11155 del 21 maggio 2014 (ud. 28 marzo 2014) la Corte di Cassazione è tornata sulla questione delle fatture oggettivamente inesistenti.

LA FATTURA CONTESTATA

La partita in Cassazione si gioca sul mancato riconoscimento della deducibilità dei costi di una fattura, ritenuta relativa ad operazioni oggettivamente inesistenti, inerente la cessione del know-how “di produzione di lettiere per cani e gatti“.

LA SENTENZA

La Corte prende spunto dalla sentenza n. 24426/2013, in cui si è chiarito che, nel caso in cui l’Ufficio ritenga che la fattura concerna operazioni oggettivamente inesistenti, e quindi contesti l’indebita detrazione dell’IVA e/o la deduzione dei costi, “ha l’onere di fornire elementi probatori del fatto che l’operazione fatturata non è stata effettuata (ad esempio, provando che la società emittente la fattura è una ‘cartiera’) e a quel punto passerà sul contribuente l’onere di dimostrare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate“, ma quest’ultima prova “non potrà consistere … nella esibizione della fattura, nè nella sola dimostrazione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento adoperati, i quali vengono normalmente utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia (tra le altre, Cass. nn. 15228 del 2001, 12802 del 2011)“. In caso di accertata assenza dell’operazione, è “escluso che possa configurarsi la buona fede del cessionario o committente (il quale sa bene se una determinata fornitura di beni o prestazione di servizi l’ha effettivamente ricevuta o meno)“.

Nel caso in questione, la C.T.R. ha essenzialmente basato la sua decisione, in ordine alla effettiva esistenza delle operazioni, sulla regolare contabilizzazione dell’importo oggetto della fattura e sulla dimostrazione che il know how fosse di pertinenza della società cedente, circostanze tutte “non decisive ed inidonee a fornire supporto probatorio alla tesi della contribuente. Inoltre, con riguardo alla prova presuntiva offerta dall’Ufficio, da un lato, i giudici hanno del tutto omesso di considerare la commistione tra le varie società del Gruppo, riconducibili tutte alla famiglia C., e, dall’altro, hanno solo genericamente motivato, in maniera pressochè apodittica, su specifici elementi indiziari offerti dall’Ufficio, quali l’esistenza di clausole contrattuali di contenuto contrario (ritenute non decisive perchè la parte a cui favore erano state pattuite ben avrebbe potuto rinunciarvi) ed i movimenti bancari comprovanti la pressochè immediata restituzione alla contribuente della somma, L. 480 milioni, versata alla … (sulla base di ipotetiche ‘altre ragioni’)”.

Breve nota

La posizione della Corte di Cassazione, in materia di operazioni inesistenti, che ha preso avvio dalla sentenza n. 21953 del 21 settembre 2007 (dep. il 19 ottobre 2007), che ha negato l’esistenza di un presunto contrasto interno in ordine al soggetto che deve assolvere la prova; “le sentenze che vengono abitualmente citate a sostegno della teoria secondo cui l’onere della prova graverebbe sull’Amministrazione, in realtà non contengono affatto simile asserzione. Ed invero poiché le operazioni passive denunciate dal contribuente sono fonte di credito a suo vantaggio (nell’ambito dell’Iva) di detrazione dall’imponibile (nell’ambito delle imposte sui redditi), appare logico concludere che spetta al contribuente fornire la prova dell’esistenza di fatti da cui scaturisce un suo diritto”, trova ancora oggi conferma in tale ultimo arresto penale che si annota.

La tesi, afferma la Corte nella sentenza n. 21953/2007, è ribadita nella sentenza n. 17799 del 21 agosto 2007, “secondo cui l’onere per il contribuente di provare la veridicità delle fatture scatta soltanto quando gli organi di controllo fiscale adducono elementi che fanno almeno sospettare della non veridicità delle fatture; ed è assurda la tesi secondo cui tutte le fatture si presumerebbero false fino a prova contraria offerta dal contribuente”. Prosegue la Corte che “viene abitualmente citata come in contrasto con l’indirizzo finora esposto la sentenza n. 7144 del 23 marzo 2007 secondo cui in tema di Iva, ove l’Amministrazione finanziaria contesti al contribuente l’indebita detrazione di fatture perché relative a prestazioni inesistenti, spetta al contribuente l’onere di provare la legittimità e la correttezza dell’operazione mediante l’esibizione dei relativi documenti contabili. Pertanto, quando costui non è in grado di dimostrare la fonte che giustifica la detrazione, questa deve ritenersi indebita, sicché legittimamente l’ufficio provvede a recuperare a tassazione l’imposta irritualmente detratta (a questa sentenza può accostarsi l pronuncia n. 16896 del 31 luglio 2007)”.

Successivamente, fra gli altri pronunciamenti, registriamo l’ordinanza n. 27547 del 19 dicembre 2011 (ud. 13 ottobre 2011) della Corte di Cassazione, che ha confermato la linea dura sulle operazioni inesistenti. In tema di IVA, nel caso di contestazione di indebita detrazione di fatture, perchè relative ad operazioni inesistenti, la prova della legittimità e della correttezza delle detrazioni IVA deve essere fornita dal contribuente con l’esibizione dei documenti contabili legittimanti, in mancanza della quale la detrazione va ritenuta indebita e, conseguentemente, l’ufficio può recuperare a tassazione l’imposta irritualmente detratta (Cass. n. 27341/2005; n. 18710/2005; n. 11109/2003, n. 5717/2007, n. 6378/2006)”.

Ed ancora con la sentenza n. 18446 del 26 ottobre 2012 (ud 11 luglio 2012) la Corte di Cassazione ha osservato che, “in ipotesi di fatture che l’amministrazione ritenga relative ad operazioni inesistenti – secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte – qualora l’amministrazione stessa fornisca validi elementi, alla stregua del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 e D.P.R. n. 917 del 1986, art. 75 (nel testo applicabile ratione temporis), per affermare che alcune fatture sono state emesse per operazioni (anche solo parzialmente) fittizie, si sposterà sul contribuente l’onere di dimostrare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate (cfr. Cass. 27341/05, 21953/07, 12802/11)”. Ebbene, “nel caso concreto, atteso il regime dell’onere della prova in merito all’inesistenza delle operazioni fatturate, come emergente dalla giurisprudenza richiamata, non sembra potersi considerare elemento, anche solo indiziariamente indicativo dell’inesistenza delle operazioni fatturate da Futura, la mancata previsione, nel contratto di prestazione di servizi, di una clausola di tacito rinnovo. Del tutto apodittica e non decisiva, nella prospettiva considerata, appare, poi, l’asserzione – riferita alla fatturazione di LCE – che la società fornitrice avrebbe ‘fatturato servizi extracontrattuali’. Ne consegue che, a fronte di tali generiche ed indimostrate allegazioni dell’Ufficio, ha certamente errato la CTR ad affermare che la società contribuente avesse l’onere di fornire elementi probatori per contestare il disconoscimento dei costi ritenuti indeducibili, operato dall’amministrazione”.

E con l’ordinanza n. 23533 del 20 dicembre 2012 (ud. 19 settembre 2012) la Corte di Cassazione ha confermato che, in materia di fatture false, l’onere della prova è a carico del contribuente. In materia IVA, la fattura è documento idoneo a provare un costo dell’impresa; nell’ipotesi di fatture che l’amministrazione ritenga relative ad operazioni in tutto o in parte inesistenti, non spetta al contribuente provarne l’effettività, ma all’Amministrazione stessa dedurre argomenti idonei a palesare l’inesistenza o la diversa e minore entità dell’operazione oggetto della fattura. Tuttavia, qualora l’amministrazione fornisca sufficienti elementi per sostenere l’affermazione che alcune fatture riflettono operazioni in tutto o in parte fittizie, l’onere di dimostrare l’effettiva esistenza e consistenza di tali operazioni si sposta sul contribuente (Cass. 31.03.2008, n. 8247). Tuttavia l’A.F., per disattendere la contabilità del contribuente, deve indicare qualche elemento, anche indiziario, che infici la contabilità e non può limitarsi a una generale ed apodittica non accettazione della documentazione del contribuente, essendo suo onere quello di indicare specificamente gli elementi, anche indiziali, sui quali si fonda la contestazione (Cass. n. 21953/2007; Cass. n. 1727/2007)”.Osserva la Corte che “ai fini della prova dell’esistenza di un’operazione non è sufficiente produrre la relativa fattura in quanto l’emissione della fattura può prescindere dall’effettiva stipulazione della cessione; perciò il contribuente, a fronte della contestazione dell’Amministrazione circa l’inesistenza di un’operazione, ha l’onere di dimostrare la effettività del contratto e non può limitari a dar prova dell’emissione della fattura. (Cass. 27 ottobre 2010 n. 21949). Va, infatti, ribadito che la fattura commerciale non è prova documentale circa l’esistenza dell’operazione), infatti la fattura commerciale, per la sua formazione unilaterale e la sua inerenza a un rapporto già formato tra le parti, ha natura di atto partecipativo e non di prova documentale”.

E ancora segnaliamo una serie di recenti sentenze confermative dell’orientamento delineato.

  • Con la sentenza n. 21707 del 22 ottobre 2010 (ud. del 12 luglio 2010) la Corte di Cassazione ha affermato che è principio consolidato “che la prova dell’effettiva esistenza dell’operazione non può essere tratta dalla sola esibizione delle fatture, atteso che il meccanismo elusivo consistente nel contabilizzare operazioni inesistenti presuppone, per definizione, l’approntamento di tale documentazione formale (Cass. n. 21953/2007)”, e che la prova dell’effettività delle operazioni non può essere vinta dal contribuente mediante la mera esibizione delle fatture non prova niente (Cass. sentenza n. 21303/2008 secondo cui “detta prova non può, peraltro, essere costituita dalla sola esibizione dei mezzi di pagamento, che normalmente vengono utilizzati fittiziamente, e che, pertanto, rappresentano un mero elemento indiziario, la cui presenza (o assenza) deve essere valutata nel contesto di tutte le altre risultanze processuali“).

  • Con la sentenza n. 17428 del 17 luglio 2013 (ud. 26 aprile 2013) la Corte di Cassazione ha ribadito che, in materia di operazioni inesistenti, la prova è del contribuente.In continuità dell’orientamento consolidato della giurisprudenza di questa Corte in materia di fatture per operazioni inesistenti, va ribadito che qualora l’Amministrazione contesti indebite detrazione di Iva e deduzione di costi fatturati, fornendo elementi anche semplicemente presuntivi, purchè oggettivi, atti ad asseverare l’emissione di fatture in assoluta assenza di corrispondente prestazione – è onere del contribuente, che rivendichi la legittimità dei costi fatturati e quella della detrazione dell’i.v.a. correlativamente indicata, fornire la prova dell’effettiva esistenza delle operazione. Ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21, la fattura è, infatti, documento idoneo a rappresentate operazioni rilevanti ai fini fiscali, ma, in presenza di elementi seriamente inducenti a ritenere l’insussistenza di corrispondente prestazione commerciale, perde detta idoneità, così determinandosi il passaggio sul contribuente dell’onere di dimostrare l’effettiva esistenza delle operazioni rappresentate (così da ultimo e tra le tante Cass. n. 6229/13)”.

  • Con la sentenza n. 17959 del 24 luglio 2013 (ud. 17 ottobre 2012) la Corte di Cassazione ha ribadito che una volta che l’amministrazione abbia fornito oggettivi elementi di prova, anche indiziari, in ordine all’inesistenza dell’operazione o all’inattendibilità della scrittura addotta dal contribuente a base della richiesta di detrazione, sarà il contribuente a dovere offrire la prova circa la verità ed inerenza dell’operazione medesima – v. Cass. n. 12802/2011; Cass. n. 5282/2011”.

  • Con la sentenza n. 25142 dell’8 novembre 2013 (ud. 23 settembre 2013) la Corte di Cassazione ha confermato, in materia di operazioni inesistenti, che una volta che l’ufficio mette sul tavolo una serie di elementi indiziari spetta al contribuente smontarli.Qualora l’Amministrazione contesti al contribuente l’indebita detrazione di fatture, in quanto relative ad operazioni inesistenti, e fornisca attendibili riscontri indiziari sull’inesistenza delle operazioni fatturate, ricade sul contribuente medesimo l’onere di dimostrare la fonte legittima della detrazione, altrimenti non operabile. A tal fine non può, peraltro, reputarsi sufficiente la dimostrazione della regolarità formale delle scritture o le evidenze contabili dei pagamenti, in quanto si tratta – com’è del tutto evidente – di dati e circostanze facilmente falsificabili (cfr. Cass. 1950/07, 12802/11)”.

  • Con la sentenza n. 5481 del 4 febbraio 2014 (ud. 12 dicembre 2013) la III Sezione penale della Cassazione, richiamando la consolidata giurisprudenza di legittimità in tema di IVA, ha affermato e confermato che “qualora l’Amministrazione finanziaria contesti al contribuente l’indebita detrazione di fatture, in quanto relative ad operazioni inesistenti, la prova della legittimità e della correttezza delle detrazioni deve essere fornita dal contribuente mediante l’esibizione dei documenti contabili legittimanti, i quali non possono provenire da un soggetto inesistente nè riferirsi a soggetti in essi non indicati, non assumendo alcun rilievo, in proposito, neppure la buona fede del contribuente, tenuto a contrastare concretamente la pretesa dell’Ufficio (così Cass. Civ. sez. 5, n. 1727 del 26.1.2007, rv. 595668; conf. Cass. Civ. sez. 5, n. 16896 del 31.7.2007, rv. 600933; sez. 5 civ. n. 2847 del 7.2.2008, rv. 602106; sez. 5 civ. n. 12802 del 10.6.2011, rv. 618373)”.

25 giugno 2014

Francesco Buetto