L’amministratore di società che subentra è responsabile anche delle inadempienze pregresse?

l’amministratore che subentra nella carica di legale rappresentante della società dopo che questa ha incassato l’IVA, risponde del suo mancato versamento entro il termine previsto dalla legge?

La Corte di Cassazione con la sentenza n. 15660 dell’8 aprile 2014, ha affermato che l’amministratore di una società è responsabile anche delle inadempienze pregresse perché prima di assumere così importanti incarichi deve verificare la contabilità, i bilanci e la dichiarazione dei redditi; l’amministratore della società è, pertanto, responsabile degli omessi versamenti IVA relativi ad incassi avvenuti prima della sua nomina.

Il contenzioso tributario

L’amministratore di una SRL ha proposto ricorso in Cassazione avverso la sentenza emessa dalla Corte di Appello che ha confermato la sentenza del Tribunale con la quale lo stesso ricorrente era stato riconosciuto colpevole, quale legale rappresentante , per il reato previsto dall’articolo 8-ter del D.Lgs. 74/2000 perché non versava nel termine previsto per il pagamento dell’acconto IVA relativo al periodo di imposta successivo, la somma di € 256.802,00 (dunque per un ammontare superiore a 50.000,00 euro) per il periodo di imposta 2005, il 27.12.2006, termine previsto per il versamento dell’acconto IVA relativo al periodo di imposta successivo.

I giudici del merito avevano ritenuto che, benché l’amministratore fosse subentrato al precedente amministratore, quale legale rappresentante della società nell’aprile del 2006 e che non si poteva escludere che, prima del suo ingresso, altri soggetti avessero incassato l’IVA senza versarla nel termine previsto dalla normativa fiscale, tali circostanze non rilevavano sotto il profilo della responsabilità penale come amministratrice in quanto, pur nominata legale rappresentante solo nell’aprile 2006, aveva avuto tutto il tempo sino al dicembre 2006, ben sette mesi, per provvedere al versamento delle ritenute al fine di evitare la propria responsabilità penale.

Inoltre non si poteva ritenere che tra il 24.04.2006 ed il 26.09.2006 la SRL si trovasse in condizioni economiche tali da rendere impossibile all’amministratore di procedere al versamento dell’IVA con conseguente inesigibilità della condotta la cui omissione integra il reato contestato.

 

L’omesso versamento dell’IVA: quando si perfeziona il reato

Il reato penale relativo versamento dell’IVA è quello disciplinato dal D.Lgs. 74/2000, all’art. 10-bis (omesso versamento di ritenute certificate); particolare importanza riviste anche il successivo art. 10-ter (omesso versamento IVA) che in questo momento di crisi congiunturale sono entrambe omissioni al centro dell’attenzione degli operatori dove le imprese sono gravate da debiti e altre imposte, pur senza produrre redditi imponibili.

In particolare, l’art. 10-ter del citato D.Lgs. n. 74/2000, introduce una nuova fattispecie delittuosa diretta a sanzionare l’omesso versamento dell’IVA dovuta in base alle risultanze della dichiarazione annuale. A tale nuova fattispecie è estesa la sanzione penale prevista per il delitto di omesso versamento di ritenute certificate contenute nel precedente art. 10-bis del citato decreto.

Considerato che l’art. 10-ter stabilisce che: “La disposizione di cui all’articolo 10-bis si applica, nei limiti ivi previsti, anche a chiunque non versa l’imposta sul valore aggiunto…”, occorre che l’omesso versamento superi l’importo di 50.000 euro, per ciascun periodo d’imposta.

In proposito, si ricorda che l’art. 6, c. 2, della Legge 29.12.1990, 405, stabilisce che l’acconto IVA va versato entro il giorno 27 del mese di dicembre. Conseguentemente, per la consumazione del reato non è sufficiente un qualsiasi ritardo nel versamento rispetto alle scadenze previste, ma occorre che l’omissione del versamento dell’imposta dovuta in base alla dichiarazione si protragga fino al 27 dicembre dell’anno successivo, al periodo d’imposta di riferimento.

La legge 30.12.2004, n. 311 (cd. Finanziaria per il 2005) ha introdotto nel sistema normativo penale tributario la fattispecie incriminatrice di “Omesso versamento di ritenute certificate”, inserendo nel capo II, del D.Lgs. n. 74/2000, l’art. 10-bis, secondo il quale “chiunque non versi entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale di sostituto d’imposta ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti per un ammontare superiore a cinquantamila euro per ciascun periodo d’imposta è punito con la reclusione da sei mesi a due anni”.

Il delitto di omesso versamento di ritenute certificate ha natura di reato proprio: il potenziale autore del reato può essere esclusivamente il sostituto d’imposta, quale unico soggetto legittimato ad effettuare le ritenute, a rilasciare la relativa certificazione e a versare il corrispondente importo al fisco. Per la concreta individuazione dei soggetti che rivestono la qualifica di sostituto d’imposta e, quindi, dei probabili soggetti attivi del reato occorre far capo alla normativa tributaria, segnatamente agli artt. 23 e ss. del D.P.R. n. 600/1973, ove sono indicati i soggetti obbligati ad operare la ritenuta sui compensi corrisposti.

La fattispecie in esame è strutturata secondo lo schema dei reati di pura omissione: la condotta si concreta, infatti, nel mancato versamento all’Erario delle ritenute operate e certificate entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale di sostituto d’imposta (in sostanza entro il termine di presentazione del modello 770).

La sentenza dei giudici della Cassazione

I giudici di legittimità analizzano le motivazioni del ricorso dell’amministratore dove si afferma che la finalità della norma introdotta dal legislatore con il decreto legge del 04.07.2006 n. 223, convertito nella legge 248/2006, è quella di evitare illecite distrazioni di somme dovute allo Stato a titolo di IVA da parte di chi, avendole ricevute, scientemente o incautamente, le distolga da tale dovuto versamento. Se questa è la finalità che l’art. 10-ter della citata normativa mira a perseguire, esso non può trovare applicazione nei confronti di chi non si sia reso responsabile della sottrazione.

Sarebbe questo il caso in esame in quanto l’amministratore ricorrente, allorché è subentrato quale amministratore della società, non ha trovato alcuna liquidità da destinare al pagamento dell’IVA. La sua responsabilità per l’omesso versamento dell’IVA dovuta per il precedente anno di esercizio, poteva essere affermata solo ove vi fosse stata la prova positiva che al momento del suo subentro nella gestione della società vi era nelle casse della società il denaro da versare all’erario.

Per la Corte di Cassazione non corrisponde al vero quanto affermato dall’amministratore ricorrente; i giudici del merito di secondo grado hanno puntualmente motivato in proposito, ritenendo che colui che subentra nella carica di amministratore di una società si espone a tutte le conseguenze che possono derivare da pregresse inadempienze.

Per i giudici di legittimità l’odierna ricorrente avrebbe dovuto e potuto, in primo luogo, effettuare, prima di assumere la carica di amministratore, una minima verifica della contabilità, dei bilanci e delle dichiarazioni dei redditi e, in secondo luogo, raccogliere dal momento del subentro (aprile 2006) in poi le liquidità occorrenti per il pagamento a fine dicembre dell’IVA.

La scelta dell’odierna ricorrente di destinare i proventi del 2006 al pagamento di debiti diversi da quelli verso l’erario si risolve quindi automaticamente nell’accettazione del rischio di non poter versare l’IVA nel termine penalmente rilevante .

È poi del tutto irrilevante il fatto che la società non disponesse, alla data prevista per il versamento dell’IVA, della liquidità sufficiente per fare fronte all’adempimento di tale obbligo perché lo stato di insolvenza, peraltro non ritenuto provato dai giudici di merito, non si può configurare come scriminante in materia di omesso versamento dei tributi erariali.

Quanto ai restanti motivi di gravame, la Corte territoriale ha puntualmente e compiutamente motivato, rilevando, per ciò che concerne le attenuanti generiche, che la natura dei precedenti penali per i quali era già stato concesso detto beneficio escludeva la possibilità di accogliere la relativa richiesta,venendo dunque meno la possibilità per il giudicante di effettuare un giudizio prognostico favorevole in ordine alla astensione della ricorrente dal compiere ulteriori reati.

In relazione al trattamento sanzionatorio, infine, i giudici di merito hanno fornito adeguata e logica motivazione, ritenendo la non eccessività della pena base applicata all’imputata sulla base del considerevole ammontare dell’imposta evasa.

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

 

Un caso precedente

La Corte di Cassazione, con la sentenza n.39082, del 23 settembre 2013, ha accolto il ricorso di un ex amministratore annullando la sentenza dei giudici del merito, affermando che il precedente amministratore risponde del reato di omissione solo se si dimostra che la sua gestione era finalizzata all’evasione dell’imposta. Per i giudici di legittimità non è sempre responsabile del reato di omesso versamento dell’IVA l’ex amministratore se la situazione patrimoniale della società, da lui amministrata nel momento in cui era in carica, non era chiara; è compito, inoltre, della pubblica accusa ricostruire i movimenti di cassa nelle varie fasi di vita della società al fine di determinare eventuali responsabilità penali.

Il Tribunale con ordinanza del novembre 2012, aveva confermato il sequestro preventivo di immobili e quote di immobili, oltre autoveicoli disposto dal G.I.P. presso il medesimo Tribunale con decreto dell’ottobre 2012, nei confronti dell’ex amministratore di una società per azioni, dichiarata fallita, per i reati di cui all’articolo 10-ter del D.Lgs. 74/2000, perché ometteva di versare entro il termine per il versamento dell’acconto per il periodo successivo la somma di poco inferiore a 217.000 euro dovuta a titolo d’imposta sul valore aggiunto, in base alla dichiarazione dei redditi relativa all’anno 2009.

Il Tribunale evidenziava che il termine per il pagamento dell’IVA relativa al 2009 era da individuarsi al 27 dicembre dell’anno successivo, data nella quale la società era già fallita; tuttavia l’imputato era stato amministratore della società fino al 27 aprile del 2010, e pertanto, il reato era stato determinata dalla sua gestione, che non aveva accantonato le somme necessarie per il pagamento del debito IVA.

Nel ricorso in Cassazione l’ex amministratore sottolinea che la violazione è stata commessa in un momento in cui , oltre a non essere più amministratore della società, la stessa era già stata dichiarata fallita; di conseguenza anche volendo non avrebbe potuto pagare al posto del curatore fallimentare già nominato dal Tribunale. L’ex amministratore evidenzia, inoltre, la mancanza della prova decisiva della sua colpevolezza, non essendo stati ammessi documenti che avrebbero evidenziato una situazione non chiara in quanto nel corso del 2009, la società versava già in situazione di “sofferenza” e i fidi bancari erano già stati revocati, per cui era impossibile adempiere al versamento dell’imposta.

Per i giudici di legittimità il ricorso dell’ex amministratore è giustificato. La Corte di Cassazione , in particolare, evidenzia che il Tribunale del Riesame sottolinea l’erronea determinazione del tempus commissi delicti, per individuare proprio al 27 dicembre 2010, il perfezionarsi della fattispecie, nonostante il ricorrente, a quel tempo, fosse già stato dichiarato fallito e i poteri gestori dell’impresa erano già transitati nelle mani del curatore fallimentare.

Perciò non essendo più l’amministratore della società in quella data non avrebbe potuto adempiere più a tale obbligo, né l’ordinanza impugnata ha evidenziato altri specifici elementi probatori, durante le indagini fino a quel momento svolte, dai quali desumere che la pregressa gestione fosse stata volta all’evasione dell’IVA, ed a tale scopo fossero indirizzati i mancati accantonamenti ai quali l’ordinanza fa generico cenno; nulla si dice, ad esempio, dell’eventuale residuo di cassa travato dal curatore e se la somma fosse o meno sufficiente per l’esecuzione del pagamento o se vi fossero, nel passivo fallimentare, altri debiti aventi grado anteriore onde il pagamento si sarebbe palesato in violazione della par condicio.

Per i giudici di legittimità solo provando tali circostanze sarebbe stato possibile ascrivere il delitto al precedente amministratore a norma dell’art.48 del codice penale, in base al quale, del fatto commesso da una persona ingannata risponde chi l’ha determinato a commetterlo.

27 maggio 2014

Federico Gavioli