Ancora sull'autotutela sostitutiva: l'Agenzia delle Entrate può emanare nei termini di decadenza atti sostitutivi di quelli precedenti, ad esempio in sostituzione di un atto non sottoscritto

la giurisprudenza di Cassazione è oramai conforme: è legittimo l’accertamento sostitutivo di un atto, anche se è pendente il contenzioso tributario

Con la sentenza n.4823 del 28 febbraio 2014, la Corte di Cassazione ha confermato che “l’Amministrazione, in mancanza di una norma ostativa, può emanare nei termini di decadenza, nell’esercizio del potere di autotutela, atti sostitutivi di quelli precedenti, ancorché identici nel contenuto e con lo stesso numero di protocollo dell’atto sostituito”.

Nel caso in questione, l’ufficio ha provveduto a notificare, nel termine triennale, altro avviso di liquidazione completo di sottoscrizione, a rettifica del precedente avviso non sottoscritto.

Questa Corte ha già rilevato che è legittimo il comportamento dell’amministrazione finanziaria che annulli un avviso di accertamento, già notificato al contribuente e, nell’esercizio del potere generale di autotutela, diverso dal potere previsto dall’art. 43, comma terzo, del d.P.R. n. 600 del 1973, lo sostituisca con un nuovo avviso (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 2531 del 22/02/2002, Cass. Sez. 5, Sentenza n. 19064 del 12/12/2003). Né è preclusivo dell’intervento sostitutivo la circostanza che il giudizio sul primo atto fosse ancora pendente”.

 

Brevi riflessioni

L’orientamento espresso da ultimo non è certo nuovo; anzi va sulla scia di diversi precedenti che continuano a confermare la legittimità dell’esercizio del potere di autotutela, con annullamento di un atto di accertamento illegittimo e contestuale sostituzione con un nuovo provvedimento legittimo.

La Corte, nella sentenza n. 9197/2011, sostiene e distingue tra potere integrativo e potere sostitutivo: “il potere di accertamento integrativo ha per presupposto un atto (l’avviso di accertamento originariamente adottato) che continua ad esistere e non viene sostituito dal nuovo avviso di accertamento, il quale, nella ricorrenza del presupposto della conoscenza di nuovi elementi da parte dell’ufficio, integra e modifica l’oggetto ed il contenuto del primitivo atto cooperando all’integrale determinazione progressiva dell’oggetto dell’imposta, conservando ciascun atto la propria autonoma esistenza ed efficacia, con tutte le conseguenze che ne derivano anche in tema di impugnazione. L’atto di autotutela, al contrario, assume ad oggetto un precedente atto di accertamento che è illegittimo, ed al quale si sostituisce con innovazioni che possono investire tutti gli elementi strutturali dell’atto, costituiti dai destinatari, dall’oggetto e dal contenuto e può condurre alla mera eliminazione dal mondo giuridico, del precedente o alla sua eliminazione ed alla sua contestuale sostituzione con un nuovo provvedimento diversamente strutturato (Cass., 22 febbraio 2002, n. 25; V. anche Cass., 7 luglio 2009, n. 15874)”. Proseguono gli estensori della sentenza: “Considerato che, a fronte di un atto viziato, e come tale annullato in sede giurisdizionale, quest’ultimo non presenta margini di discrezionalità, ne inferisce, quindi, che l’emissione, nell’esercizio del suddetto potere di sostituzione, di un nuovo avviso di accertamento in luogo di uno precedente illegittimo e annullato in sede giurisdizionale (seppure con decisione non definitiva) non può che implicare, ad un tempo ed automaticamente, la definitiva caducazione dell’avviso sostituito, attraverso la presa d’atto della relativa illegittimità. Nè possono, d’altro canto, paventarsi indebite interferenze con il divieto di plurima imposizione in dipendenza dello stesso presupposto sancito dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 67 (a salvaguardia del quale la giurisprudenza generalmente subordina la legittimità della sostituzione all’annullamento dell’atto sostituito), giacchè, quand’anche per avventura ulteriormente coltivato (cosa, peraltro, nella specie non avvenuta, a riprova dell’abbandono da parte dell’Amministrazione degli atti emessi dall’Ufficio di Rimini), il giudizio relativo al primo avviso non potrebbe che, conseguentemente, sfociare in una declaratoria di cessazione della materia del contendere, essendo venuto meno, con la sostituzione, ogni interesse ad una decisione relativa ad un atto (il primo avviso) ormai deprivato di ogni portata impositiva, esclusivamente concentratasi, per la sostituzione, nell’avviso che lo ha rimpiazzato”. Resta fermo, osserva la Corte, che il corretto esercizio del potere di autotutela “presuppone la mancata formazione del giudicato e la mancata scadenza del termine decadenziale fissato per l’accertamento (Cass., 26 marzo 2010, n. 7335; Cass., 22 febbraio 2002, n. 2531)”.

 

Sul punto si annota pure la sentenza n. 21719 del 20 ottobre 2011 (ud. del 13 gennaio 2011) dove la Corte di Cassazione ha ribadito che La giurisprudenza di questa Corte ha peraltro riconosciuto estensivamente il potere di autotutela della PA in materia tributaria anche alle ipotesi di interventi di tipo ‘sostitutivo’ laddove, in particolare, viene esplicitamente distinto l’esercizio del potere di rinnovo da quello di integrazione dell’atto impositivo (quest’ultimo soggetto in materia di imposte reddituali e di imposte sui consumi alla condizione necessaria della ‘sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi’ D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 43, u.c.: D.P.R. n. 633 del 1972, art. 57, comma 3)”. La Corte rileva che “viene infatti ricondotto al potere di autotutela anche il provvedimento c.d. di riforma dell’atto, specificandosi che ‘il ritiro di un precedente atto, può avvenire in due diverse forme, quella del ‘controatto’ (l’atto di secondo grado che assume l’identica struttura di quello prevedente, salvo che per il suo dispositivo di segno contrario con cui si dispone l’annullamento, la revoca o l’abrogazione del primo) o quella della riforma (l’atto di secondo grado che non nega il contenuto di quello precedente, ma lo sostituisce con un contenuto diverso), caratterizzati entrambi dal fatto che l’oggetto del rapporto giuridico controverso resta identico” (cfr. Corte Cass. 5′ sez. 16.1.2009 n. 937, in materia di Iva)”. Per la Corte di Cassazione – “nel caso in cui venga impugnato avanti il Giudice tributario un atto di rettifica successivamente annullato in sede di autotutela e sostituito con altro atto di contenuto parzialmente diverso non impugnato, il giudice investito della cognizione del primo atto deve limitarsi a dichiarare il sopravvenuto difetto di interesse a coltivare il ricorso senza poter esaminare il rapporto di imposta riconfigurato dall’atto di autotutela che rimane estraneo a tale giudizio in cui l’oggetto devoluto alla cognizione del giudicante, attesa la natura impugnatoria del giudizio tributario, rimane delimitato dai motivi di ricorso proposti avverso l’atto originariamente impugnato e successivamente in tutto od in parte annullato in conseguenza di rettifica o correzione determinata in sede di autotutela (cfr. Corte Cass. 5′ sez. 3.8.2007 n. 17119): oggetto del processo tributario, atteso il meccanismo di instaurazione di tipo impugnatorio che lo caratterizza, non è l’accertamento dell’obbligazione tributaria, da condursi attraverso una diretta ricognizione della disciplina applicabile e dei fatti rilevanti sulla base di essa, a prescindere da quanto risulti nell’atto impugnato, bensì l’accertamento della legittimità della pretesa tributaria in quanto avanzata con l’atto impugnato e alla stregua dei presupposti di fatto e in diritto in tale atto indicati, con la conseguenza che ove risulti accertato che l’amministrazione, avvedutasi di un errore, abbia emesso un nuovo atto in sostituzione di quello errato (così implicitamente annullando quest’ultimo), deve ritenersi che il processo concernente l’impugnazione dell’atto sostituito non debba proseguire per sopravvenuta carenza di interesse ad ottenere una pronuncia sull’impugnazione di un atto già annullato in sede di autotutela. Vedi Corte Cass. 5′ sez. 19.3.2009 n. 6620)”.

 

Ed ancora, con la sentenza n. 23078 del 14 dicembre 2012 (ud. 30 ottobre 2012) la Corte di Cassazione ha affermato che che l’annullamento dell’atto impositivo in sede di autotutela da luogo – secondo il costante insegnamento di questa Corte – a cessazione della materia del contendere, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 46, cui non si correla necessariamente la condanna alle spese secondo la regola della soccombenza virtuale, qualora tale annullamento non consegua ad una manifesta illegittimità del provvedimento impugnato sussistente sin dal momento della sua emanazione, stante, invece, l’obiettiva complessità della materia (Cass. 22231/11), come nella specie ha ritenuto – con motivazione adeguata – la decisione di appello. In siffatta ipotesi, infatti, ben può essere disposta la compensazione delle spese di lite ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 15, comma 1, in quanto intervenuta all’esito di una valutazione complessiva della lite da parte del giudice tributario, trattandosi di un’ipotesi diversa dalla compensazione ‘ope legis’ prevista dal comma 3 dell’art. 46 succitato, come conseguenza automatica di qualsiasi estinzione del giudizio, dichiarata costituzionalmente illegittima dalla pronuncia della Corte costituzionale n. 274 del 2005 (Cass. 19947/10)”.

 

E con l’Ordinanza n. 6329 del 13 marzo 2013 (ud. 13 febbraio 2013) la Corte di Cassazione ha confermato l’autotutela sostitutiva, cioè l’annullamento dell’atto illegittimo e la sua sostituzione con un nuovo atto. La Corte richiama e fa proprie precedenti pronunce del massimo organo:la sentenza 22 febbraio 2002, n. 2531, secondo cui “il potere di autotutela tributaria ha come autonomo presupposto temporale uno dei due seguenti fatti: la mancata formazione di un giudicato o la mancata scadenza del termine decadenziale fissato per l’accertamento“; la sentenza 20 novembre 2006, n. 24620 secondo cui “l’esercizio di tale potere (di autotutela tributaria) … può aver luogo soltanto … entro il termine previsto per il compimento dell’atto, non può tradursi nell’elusione o nella violazione del giudicato eventualmente formatosi sull’atto viziato, e dev’essere preceduto dall’annullamento di quest’ultimo, a tutela del diritto di difesa del contribuente ed in ossequio al divieto di doppia imposizione in dipendenza dello stesso presupposto“.

 

E con la sentenza n. 25160 dell’8 novembre 2013 (ud. 2 ottobre 2013) la Corte di Cassazione ha confermato la legittimità dell’accertamento sostitutivo di un atto annullato in autotutela. L’art. 43, c. 4, del D.P.R. n. 600/73 disciplina la fattispecie della correzione “in aumento” degli accertamenti fiscali in caso di sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi, potere da esercitarsi entro i termini in cui l’accertamento è consentito a pena di decadenza.Invece, nel caso di specie, la questione è integralmente diversa, non riguardando la possibilità di correggere “in aumento” un legittimo avviso di accertamento, bensì di sostituirne uno annullato in autotutela; “ciò che deve ritenersi consentito pure quando vien fatto in via prudenziale, anche se non strettamente necessario, non venendone alcun danno in capo al contribuente e quindi non avendo quest’ultimo alcun interesse a contrastare la mera sostituzione di un atto identico; ed, ovviamente, purchè non siano ancora trascorsi i generali termini entro cui l’Amministrazione può procedere all’esercizio della potestà impositiva (Cass. sez. trib. n. 16115 del 2007; Cass. sez. trib. n. 2531 del 2002)”.

 

E da ultimo, con la sentenza n. 27200 del 4 dicembre 2013 (ud. 15 ottobre 2013) la Corte di Cassazione ha riepilogato le regole in materia di autotutela, ed in particolare, in ordine al potere dell’Amministrazione finanziaria di riemettere un atto riformativo del precedente. La Corte, in apertura, rileva che “in materia tributaria il potere della PA di provvedere in via di autotutela all”annullamento di ufficio’ od alla ‘revoca’ di atti illegittimi od infondati, anche in pendenza di giudizio o di intervenuta definitività degli stessi per mancata impugnazione, è espressamente riconosciuto dal D.L. 30 settembre 1994, n. 564, art. 2 quater, comma 1 conv. in L. 30 novembre 1994, n. 656 (nell’ambito di tale potere va ricompreso anche il potere di rinuncia alla imposizione ‘illegittima’ od ‘infondata’ in caso di autoaccertamento: D.M. 11 febbraio 1997, n. 37, art. 1 recante il regolamento di attuazione emanato ai sensi del D.L. n. 564 del 1994, predetto art. 2 quater, comma 1)”.Il rimedio “di tipo demolitorio ricollegabile al provvedimento amministrativo di secondo grado, che opera con efficacia ‘ex tunc’, si estende a qualsiasi vizio di legittimità (annullamento) o di merito (revoca) dell’atto impositivo, ivi compreso (‘evidente errore logico o di calcolo’ e l”errore sul presupposto della imposta’ (D.M. n. 37 del 1997, art. 2, comma 1, lett. b e c), con il solo limite del giudicato sostanziale favorevole alla Amministrazione finanziaria (D.M. n. 37 del 1997, art. 2, comma 2)”.Viene ancora confermato che “la giurisprudenza di questa Corte ha, peraltro, riconosciuto estensivamente il potere di autotutela della PA in materia tributaria anche alle ipotesi di interventi di tipo ‘sostitutivo’ laddove, in particolare, viene esplicitamente distinto l’esercizio del potere di rinnovo da quello di integrazione dell’atto impositivo (in quest’ultimo caso la integrazione è assoggettata, in materia sia di imposte reddituali che di imposte sui consumi, alla condizione necessaria della ‘sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi’ D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 43, u.c.; D.P.R. n. 633 del 1972, art. 57, comma 3)”.La Corte ha, infatti, “ricondotto al potere di autotutela anche il provvedimento cd. di riforma dell’atto, specificandosi che ‘il ritiro di un precedente atto, può avvenire in due diverse forme, quella del “contratto” (l’atto di secondo grado che assume l’identica struttura di quello precedente, salvo che per il suo dispositivo di segno contrario con cui si dispone l’annullamento, la revoca o l’abrogazione del primo) o quella della riforma (l’atto di secondo grado che non nega il contenuto di quello precedente, ma lo sostituisce con un contenuto diverso), caratterizzati entrambi dal fatto che l’oggetto del rapporto giuridico controverso resta identico’ (cfr. Corte cass. 5 sez. 16.1.2009 n. 937, in materia di Iva)”.Attraverso una vera e propria carrellata giurisprudenziale, la Suprema Corte ha ricordato, con specifico riferimento al potere di riforma dell’atto impositivo, che:

– “l’esercizio del potere di autotutela non implica consumazione del potere impositivo, sicchè, rimosso con effetto ‘ex tunc’ l’atto di accertamento illegittimo od infondato, la Amministrazione finanziaria conserva ed anzi è tenuta ad esercitare – nella permanenza dei presupposti di fatto e di diritto – la potestà impositiva (cfr. Corte cass. 5 sez. 20.7.2007 n. 16115, id. 20.6.2007 n. 14377 – entrambe in materia di imposte reddituali)”;

– “dalla non consumazione del potere impositivo, in caso di annullamento o revoca dell’atto viziato, discende il corollario che il provvedimento di riforma adottato in sede di autotutela, non dispone per l’avvenire ma retroagisce al momento della applicazione del imposta, proprio in quanto ‘viene a sostituirsi’ all’originario atto impositivo (cfr. Corte cass. 5 sez. 21.1.2008 n. 1148; id. 30.12.2009 n. 27906 – entrambe in materia di imposte sui trasferimenti)”;

– “il rimedio della ‘autotutela sostitutiva’ differisce dal potere di ‘integrazione’ dell’atto impositivo, in quanto quest’ultimo presuppone la esistenza di un precedente valido atto di imposizione, mentre il primo richiede quale condizione necessaria la eliminazione (anche implicita nel caso in cui l’atto riformato riproduca lo stesso contenuto dell’atto sostituito: Corte cass. 5 sez. 3.8.2007 n. 17119) del precedente atto impositivo illegittimo od infondato”;

– “la riforma dell’atto impositivo non è limitata ai soli vizi formali, ma può estendersi a ‘tutti gli elementi strutturali dell’atto, costituiti dai destinatari, dall’oggetto e dal contenuto’ (sic Corte cass. 5 sez. 23.2.2010 n. 4272 – in materia di imposte reddituali – che richiama espressamente la sentenza 22.2.2002 n. 2531, e circoscrive alle sole ipotesi di nullità per vizi formali l’esercizio del potere di ‘sostituzione di un precedente atto impositivo con altro avente contenuto identico’, quindi alle sole ipotesi di ‘correzione’ del medesimo atto: nel caso concreto, peraltro, la ‘sostituzione’ dell’atto impositivo si era resa necessaria in conseguenza di una successiva dichiarazione del contribuente parzialmente modificativa di quella dallo stesso precedentemente presentata)”;

– “il potere di ‘sostituzione’ dell’atto impositivo incontra i soli limiti del termine decadenziale previsto per la notifica degli avvisi di accertamento e del divieto di violazione od elusione del giudicato sostanziale formatosi sull’atto viziato (cfr. Corte cass. 5 sez. 16.7.2003 n. 11114; id. 5 sez. 20.11.2006 n. 24620; id. 5 sez. 12.5.2011 n. 10376), nonchè del diritto di difesa del contribuente (nel caso di sostituzione di un precedente atto impositivo, annullato in pendenza di giudizio, con un nuovo atto con il quale viene fatta valere la medesima pretesa – fondata sugli stessi presupposti impositivi – ridotta soltanto nella misura dell’importo, il giudice di merito, non può per ciò stesso dichiarare cessata la materia del contendere ove il contribuente abbia contestato ‘in toto’ la obbligazione tributaria per insussistenza dei presupposti della imposta, ma deve comunque pronunciare nel merito: Corte cass. 5 sez. 26.3.2010 n. 7335)”.

 

Alla stregua degli indicati principi giurisprudenziali ne discende che la consumazione della potestà di accertamento impositivo è ricollegata esclusivamente al decorso dei termini di decadenza.

14 aprile 2014

Francesco Buetto