nel caso in cui il contribuente ometta una dichiarazione IVA a suo credito, quali sono le modalità per riportare in vita tale credito IVA?
Con la sentenza n. 1845 del 29 gennaio 2014 (ud. 12 novembre 2013) la Corte di Cassazione torna ad affrontare la questione della riportabilità del credito Iva nell’ipotesi di dichiarazione omessa.
I PASSAGGI SALIENTI DELLA SENTENZA
La uniforme giurisprudenza della Corte (formatasi nella vigenza della norma tributaria in questione) è ferma nello statuire che “in materia di I.V.A., il titolo necessario per riconoscere il diritto del contribuente alla detrazione è rappresentato dalla presentazione della dichiarazione annuale delle operazioni imponibili, entro il termine di trenta giorni previsto dal D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 37, posto che, a mente di tale disposizione, la dichiarazione presentata con ritardo superiore a trenta giorni costituisce titolo per la riscossione dell’imposta, ma deve considerarsi omessa a tutti gli altri effetti, e quindi anche ai fini del disconoscimento della detrazione” (cfr. Corte Cass. Sez. 5, Sentenza n. 14505 del 19/11/2001; id. Sez. 5, Sentenza n. 11737 del 27/05/2011; id. Sez. 5, Sentenza n. 16341 del 28/06/2013).
La equiparazione della dichiarazione tardiva (presentata oltre 30 giorni dalla scadenza del termine di legge) “a tutti gli effetti” alla omessa dichiarazione, si traduce pertanto nella mancata esposizione, nella dichiarazione considerata omessa, dell’eccedenza d’imposta, col conseguente impedimento all’utilizzo in detrazione del relativo credito nelle dichiarazioni successive, atteso il chiaro tenore del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 30, c. 2, nel testo vigente ratione temporis, che ricollega la facoltà di opzione del contribuente, tra la detrazione ed il rimborso, alla indicazione dell’eccedenza d’imposta nella dichiarazione ritualmente presentata, indipendentemente quindi dall’anno d’imposta in cui il credito è venuto formandosi, atteso che lo scopo della norma è esclusivamente quello di definire tempestivamente la situazione tributaria debito-creditoria originata dall’attività economica svolta dal contribuente, a tal fine venendo stabilito un limite cronologico dovendo essere computato “l’importo dell’eccedenza in detrazione nell’anno successivo“, in quanto la contiguità dei due periodi d’imposta consente di agevolare l’attività di verifica, rendendo “conoscibile e controllabile da parte dell’ufficio la complessiva posizione del contribuente nell’arco del biennio di riferimento” (cfr. da ultimo Corte Cass. Sez. 5, Sentenza n. 8716 del 10/04/2013, in motivazione).
Con specifico riferimento al caso sottoposto all’esame, la Corte rileva che, “anche nel caso in cui fosse dimostrata l’eventuale appostazione del credito d’imposta nelle dichiarazioni antecedenti all’anno d’imposta 1988 (per il quale la dichiarazione deve considerarsi omessa), l’anteriorità della insorgenza del credito non consentirebbe comunque al contribuente di riportare detto credito ‘per saltum’, esponendolo nella dichiarazione relativa all’anno d’imposta 1989 (o nelle successive), ostandovi le medesime ragioni sopra evidenziate, essendo fondato il sistema normativo delineato dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 30, comma 2, sul principio di continuità dei dati contabili esposti nelle dichiarazioni fiscali regolarmente presentate con riferimento ai periodi di imposta in successione cronologica”.
Il principio di diritto espresso
“In materia di IVA e con riferimento alla disciplina della detrazione o del rimborso della eccedenza d’imposta prevista dal D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 30, comma 2, nel caso in cui il contribuente abbia presentato tardivamente la dichiarazione, da considerare omessa ‘a tutti gli effetti’ ai sensi dell’art. 37, u.c. del medesimo decreto presidenziale, nel testo modificato dal d.p.r. 29 gennaio 1979, n. 24, art. 1, il credito d’imposta eventualmente esposto nella dichiarazione considerata omessa, anche se formatosi anteriormente e derivante da precedenti dichiarazioni ritualmente presentate, non può essere riportato nella dichiarazione annuale IVA relativa all’anno successivo, ostando all’utilizzo di detto credito in detrazione il principio di contiguità temporale dei periodi di imposta cui è subordinata dal predetto D.P.R. n. 633 del 1972, art. 30, comma 2, la operatività della compensazione tra il credito ed il debito tributario”.
I RECENTI PRECEDENTI GIURISPRUDENZIALI
Segnaliamo tre recenti interventi della Corte di Cassazione.
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Con l’ordinanza n.5476 del 5 marzo 2013 la Corte di Cassazione, ribaltando la sentenza della CTR che aveva ha respinto l’appello delle Entrate (appello proposto contro la sentenza della CTP che aveva accolto il ricorso del contribuente, ed ha così annullato ruolo e cartella di pagamento relativi ad IVA) IRPEG per l’anno 2002, emessi a seguito di controllo automatizzato della dichiarazione 2003 nella quale la parte aveva esposto il debito ma lo aveva compensato con un credito IVA dì importo pari ad € 42.765,00 evidenziato nella dichiarazione dell’anno 2001 ma non riportato nella dichiarazione dell’anno 2002, la quale ultima era stata bensì presentata con modalità telematica ma era rimasta scartata dai sistema per una irregolarità relativa alla data, torna ad occuparsi del riporto del credito IVA. La Corte ritiene che la censura delle Entrate sia manifestamente fondata, “alla luce della costante e condivisibile giurisprudenza di questa Corte (per tutte, Cass. Sez. 5, Sentenza n. 3604 del 20/02/2006) secondo cui:”In tema di IVA, il contribuente che abbia versato un’eccedenza di imposta esponendo il relativo credito nella dichiarazione annuale di competenza, qualora ometta di inserire il credito stesso nella dichiarazione dell’anno successivo, perde il diritto ad utilizzare la procedura di recupero dell’imposta versata in eccedenza attraverso il meccanismo dei conguagli con eventuali somme da versare nell’anno successivo, procedura condizionata al puntuale rispetto delle modalità e delle cadenze indicate dalla legge, ma non perde il diritto alla detrazione, atteso che la decadenza dal diritto è comminata, dall’art. 28, quarto comma, d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, soltanto per il caso in cui il credito (o l’eccedenza di imposta versata) non venga indicato nell’anno di competenza, e che caratteristica dell’istituto della decadenza è la salvezza – una volta per tutte – del diritto a seguito del compimento nei termini dell’attività richiesta da parte dell’interessato”.
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Con l’ordinanza n.17754 del 16 ottobre 2012 la Corte di Cassazione è intervenuta sulla detrazione dell’IVA a credito, non riportata nell’anno successivo, per mancata presentazione della dichiarazione annuale. Sulla base di principi desumibili da consolidato orientamento giurisprudenziale, qui richiamati, “è stato, in vero, affermato, in tema di I.V.A., che in caso di inosservanza dell’obbligo della dichiarazione annuale, al contribuente è preclusa, in forza della complessiva disciplina dell’imposta, la possibilità di recuperare il credito d’imposta maturato in detta annualità attraverso il trasferimento della correlativa detrazione nel periodo d’imposta successivo, pur se detto credito sia stato regolarmente annotato nella dichiarazione mensile di competenza; ciò fermo restando tuttavia, in applicazione del successivo art. 30 comma 2″, il diritto del contribuente al soddisfacimento del credito mediante rimborso (Cass. n. 20040/2011, n. 19326/2011, n. 16477/2004)”.
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Con la sentenza n. 11670 del 15 maggio 2013 (ud. 22 aprile 2013) la Corte di Cassazione ha ritenuto che la mancata esposizione in dichiarazione del credito Iva non ne fa venir meno il diritto di utilizzarlo. “Questa Corte ha già avuto modo di chiarire che la mancata esposizione del credito Iva nella dichiarazione annuale non comporta la decadenza dal diritto di far valere tale credito purchè lo stesso emerga dalle scritture contabili”.La Corte si fa forte dell’art. 18 della sesta direttiva CEE “il quale, al fine di garantire la neutralità del tributo stabilisce che il diritto alla deduzione dell’IVA è subordinato solamente al possesso di una fattura compilata secondo le disposizioni a essa applicabili. Ne consegue che gli altri adempimenti formali sono dettati unicamente per esigenze riguardanti l’accertamento del tributo, senza intaccare sul piano fiscale sostanziale il credito del contribuente – cfr. Cass. n. 22250/11”.Inoltre, ricorda che “il soddisfacimento del credito de quo non è strettamente collegato al meccanismo della detrazione, potendo essere fatto valere anche mediante semplice istanza di rimborso (v. Cass. n. 12041/2009; Cass. n. 16257/2007; 17067/2006; Cass. 268/12). Ne consegue che la mancata esposizione della eccedenza d’imposta nella dichiarazione annuale esclude il diritto di detrarre l’eccedenza nell’anno successivo, ai sensi del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 30, comma 2, oltre a quello di chiedere il rimborso nelle ipotesi e nei limiti contemplati dai commi successivi dello stesso articolo (così Cass. n. 12041/2009), ma non implica che il contribuente, dopo aver versato somme obiettivamente non dovute, perda il diritto di chiedere la ripetizione dell’indebito, entro i termini e alle condizioni di legge, in quanto la dichiarazione non assume valore confessorio e non costituisce fonte dell’obbligazione tributaria”.La Corte, quindi, ribadisce “che la facoltà del contribuente di portare in detrazione il credito d’imposta può essere esercitata soltanto nell’anno successivo alla maturazione di detto credito, mediante annotazione nel registro di cui al D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 25, derivando tale preclusione dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 30, comma 2, e art. 55, comma 1, mentre rimane impregiudicata la possibilità di reclamare il diritto di rimborso della maggior imposta pagata, nei limiti e con le forme prescritte per la relativa istanza”.
LA POSIZIONE DELL’AMMINISTRAZIONE FINANZIARIA
Come è noto, con la circolare n. 34/E del 6 agosto 2012 l’Agenzia delle Entrate era intervenuta sul riconoscimento delle eccedenze di imposta a credito maturate in annualità per le quali le dichiarazioni risultano omesse, modificando, di fatto, la posizione assunta nella R.M. n. 74/2007.
Successivamente, con la circolare n. 21/E del 25 giugno 2013, le Entrate ritornano sull’argomento, fornendo ulteriori chiarimenti.
LA CIRCOLARE N. 34/2012
Vediamo quali sono i passaggi salienti della circolare n.34/2012.
Detraibilità del credito IVA maturato nell’anno in cui la dichiarazione risulta omessa
Come è noto, spesso, in sede di liquidazione delle dichiarazioni IVA ai sensi dell’art. 54-bis del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, viene rilevato che alcuni contribuenti riportano in dichiarazione un’eccedenza di imposta a credito generata nel precedente periodo d’imposta per il quale la relativa dichiarazione risulta omessa (ai sensi dell’art. 2, c. 7, del DPR n. 322 del 1998, si considera omessa anche la dichiarazione presentata con un ritardo di oltre 90 giorni).
In tali casi, nel liquidare le imposte dovute in base alla dichiarazione relativa all’anno d’imposta in cui è avvenuto il riporto a nuovo del credito generatosi nel periodo d’imposta in cui è stata omessa la dichiarazione, il sistema genera naturalmente una comunicazione di irregolarità, nella quale si contesta il riporto del predetto credito e, di conseguenza, un corrispondente maggior debito d’imposta o una minore eccedenza detraibile.
Ai sensi dell’art. 13 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471, viene altresì contestata la sanzione pari al 30 per cento del maggior debito di imposta o della minore eccedenza detraibile (sanzione ridotta a un terzo nel caso di pagamento delle somme dovute entro 30 giorni dal ricevimento della comunicazione, ai sensi dell’art. 2, c. 2, del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 462).
In assenza del versamento delle somme richieste con la comunicazione di irregolarità, l’imposta, i relativi interessi e le sanzioni sono iscritti a ruolo.
Sovente i contribuenti ricorrono in giudizio avverso le conseguenti cartelle di pagamento eccependo la “spettanza sostanziale” del credito (benché non dichiarato) e sostenendo che l’ufficio sarebbe stato obbligato a controllare l’effettività dello stesso, attraverso l’accertamento induttivo riferito all’annualità per la quale la dichiarazione risulta omessa, ai sensi dell’art. 55 del D.P.R. n. 633 del 1972.
Sul punto, il secondo comma dell’art. 30 del D.P.R. n. 633 del 1972 prevede che, “Se dalla dichiarazione annuale” risulta una eccedenza di IVA detraibile “il contribuente ha diritto di computare l’importo dell’eccedenza in detrazione nell’anno successivo, ovvero di chiedere il rimborso nelle ipotesi di cui ai commi successivi e comunque in caso di cessazione di attività”.
Sulla base della citata previsione normativa ne deriva, per le Entrate, che in caso di omessa dichiarazione annuale il contribuente non può riportare l’eccedenza di IVA detraibile nella dichiarazione dell’anno successivo (cfr. Corte di Cassazione, sentenza 4 maggio 2010, n.10674, nella quale si afferma che “l’inottemperanza del contribuente all’obbligo della dichiarazione annuale esclude implicitamente la possibilità di recuperare il credito maturato in ordine al relativo periodo d’imposta attraverso il trasferimento della detrazione nel periodo di imposta successivo”. Negli stessi termini anche sentenza 12 gennaio 2012, n 268; 11 gennaio 2008, n. 433), né chiederne il rimborso nelle ipotesi regolate dall’articolo 30 medesimo.
Ne consegue la legittimità dell’operato degli uffici nell’ambito della procedura di cui all’articolo 54-bis del D.P.R. n. 633 del 1972, che è volta tra l’altro, a “correggere gli errori materiali commessi dai contribuenti nel riporto delle eccedenze di imposta risultanti dalle precedenti dichiarazioni”, che nel caso di specie risulta omessa.
Il credito, pertanto, non essendo stato dichiarato nell’anno in cui è maturato, non è utilizzabile in detrazione del debito d’imposta in una dichiarazione successiva, a nulla rilevando che lo stesso sia, in ipotesi, effettivamente maturato.
Nella fattispecie in esame, qualora venga riscontrata l’effettività del credito, il contribuente è ammesso al rimborso dell’eccedenza medesima, attraverso la procedura di cui all’art. 21 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 ( ai sensi dell’articolo 21, comma 2, ultimo periodo, del d.lgs. n. 546 del 1992 “La domanda di restituzione, in mancanza di disposizioni specifiche, non può essere presentata dopo due anni dal pagamento, ovvero, se posteriore, dal giorno in cui si è verificato il presupposto per la restituzione”).
È pertanto possibile che alla pretesa dell’Amministrazione, conseguente alla liquidazione della dichiarazione nella quale è stato riportato il credito maturato in un anno per il quale è stata omessa la relativa dichiarazione, faccia seguito il diritto del contribuente al rimborso del medesimo credito oggetto di recupero.
Resta inteso che le compensazioni tra le somme oggetto di recupero ed il credito eventualmente spettante non sono compatibili con il procedimento di liquidazione di cui all’articolo 54-bis citato.
Nella fattispecie in esame, qualora il contribuente definisca l’obbligazione pagando le somme richieste dall’ufficio, nei termini previsti dalla comunicazione di irregolarità ovvero a seguito della notifica della cartella di pagamento o in esito a una sentenza definitiva a lui sfavorevole, lo stesso potrà presentare istanza di rimborso del credito, entro due anni dal predetto pagamento ai sensi dell’art. 21 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546.
Nell’esaminare tali istanze, l’ufficio effettuerà il controllo dell’effettiva spettanza del credito, mediante richiesta ed esame della documentazione contabile ed extracontabile necessaria, attenendosi alla prassi operativa concernente i controlli da espletare ai fini dell’erogazione dei rimborsi IVA, fatta salva la facoltà di attivare anche successivamente eventuali specifici controlli sostanziali, al fine di verificare ulteriormente la spettanza del credito.A quest’ultimo fine, le strutture addette alla trattazione delle istanze di rimborso segnaleranno alle strutture che si occupano dei controlli le posizioni maggiormente rilevanti ammesse al rimborso.
In sintesi:
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il comportamento tenuto dal contribuente (omessa dichiarazione IVA e detrazione in una successiva dichiarazione del credito IVA non dichiarato) viola l’articolo 30 del D.P.R. n. 633 del 1972; si conferma, pertanto, la correttezza delle contestazioni, ai sensi dell’articolo 54-bis del D.P.R. n. 633 del 1972, dell’utilizzo dei crediti originatisi in annualità per le quali sia stata omessa la dichiarazione;
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il credito maturato in un’annualità per la quale non sia stata presentata la dichiarazione, se effettivamente esistente e spettante, potrà essere riconosciuto al contribuente (benché attenga ad una dichiarazione omessa); più precisamente, il contribuente sarà ammesso a presentare istanza di rimborso del credito, ai sensi dell’art. 21 del d.lgs. n. 546 del 1992, entro due anni dal pagamento degli esiti della liquidazione ovvero dell’esito del contenzioso relativo alla cartella di pagamento conseguente alla liquidazione stessa, favorevole all’Agenzia. In tal caso, il rimborso sarà erogato solo dopo aver riscontrato l’effettiva spettanza del credito.
La stessa A.F. riconosce che tali conclusioni, che superano in parte quelle contenute nella risoluzione n. 74 del 2007.
Trattamento della fattispecie in sede contenziosa
Ove il contribuente eccepisca nel corso del giudizio l’effettiva sussistenza del credito, esibendo la relativa documentazione, l’ufficio, in sede contenziosa dovrà sostenere anzitutto, secondo quanto sopra evidenziato,– la legittimità dell’operato dell’ufficio ai sensi degli articoli 30 e 54-bis del D.P.R. n. 633 del 1972 e l’irrilevanza della sussistenza o meno del credito rispetto al thema decidendum, relativo alla liquidazione delle imposte dovute in base a una dichiarazione successiva. In subordine ed in via prudenziale, l’ufficio valuterà la sussistenza di elementi per contestare l’esistenza stessa del credito illegittimamente compensato ed eccepire in giudizio anche tale inesistenza, così da precludere un’eventuale pronuncia circa la spettanza del diritto al rimborso.
Solo dopo che il contribuente abbia effettuato il pagamento delle somme iscritte a ruolo in esecuzione di pronunce giurisdizionali passate in giudicato, potrà essere presentata istanza di rimborso del credito maturato nell’annualità per la quale la dichiarazione risulta omessa, ai sensi dell’art. 21 del d.lgs. n. 546 del 1992.
Le Entrate sottolineano, altresì, che anche nell’ipotesi in cui il contribuente abbia diritto al rimborso del credito erroneamente utilizzato in detrazione, la prosecuzione del giudizio e i connessi oneri a carico dell’Amministrazione sarebbero giustificati dalla necessità di conseguire le sanzioni pecuniarie relative al comportamento non corretto del contribuente ai sensi del citato art. 13 del d.lgs. n. 471 del 1997.
Trattamento della fattispecie in sede mediazione o conciliazione giudiziale
La circolare, tuttavia, apre nell’ipotesi di mediazione, rilevando che le controversie in esame possano essere definite mediante un accordo di mediazione che preveda il riconoscimento del credito effettivamente spettante, qualora il contribuente riconosca a sua volta la legittimità delle sanzioni e degli interessi iscritti a ruolo.
Nel caso in cui venga raggiunto l’accordo di mediazione, inoltre, il contribuente avrà diritto a beneficiare della riduzione delle sanzioni al 40 per cento ai sensi dell’art. 48 del d.lgs. n. 546 del 1992.
In sostanza, posto che il pagamento dell’imposta liquidata dà diritto al contribuente di presentare istanza di rimborso “anomalo” nel termine biennale di cui all’art. 21 del d.lgs. n. 546 del 1992, si ritiene possibile in mediazione “scomputare”, dalla somma originariamente richiesta in pagamento al contribuente, l’eccedenza di IVA detraibile riconosciuta spettante.
Considerato che il diritto di credito emerge solo in fase di mediazione, non possono essere riconosciuti interessi a favore del contribuente.
Nell’accordo di mediazione dovrà altresì evidenziarsi che i controlli eseguiti ai fini del riconoscimento dell’eccedenza a credito non esauriscono le attività di controllo esercitabili dall’Amministrazione finanziaria sull’annualità per la quale la dichiarazione risulta omessa.
Le medesime considerazioni fin qui svolte in relazione alle istanze di mediazione presentate dai contribuenti avverso le cartelle di pagamento, si possono ritenere valide anche in ordine alla possibilità di definire in sede di conciliazione giudiziale le controversie di valore superiore a 20.000 euro, per le quali l’istituto della mediazione non trova applicazione.
Riconoscimento dell’eccedenza a credito IRPEF, IRES o IRAP maturata nell’anno in cui la relativa dichiarazione risulta omessa
Analogamente a quanto esposto in materia di IVA, accade sovente che nell’ambito dell’attività di liquidazione delle dichiarazioni dei redditi o dell’IRAP viene rilevato che alcuni contribuenti riportano in dichiarazione un’eccedenza di imposta a credito generata nel precedente periodo d’imposta per il quale la relativa dichiarazione risulta omessa.
Al riguardo, si osserva, che ai sensi dell’art. 2, c. 7, del d.P.R. 22 luglio 1998, n. 322, le dichiarazioni dei redditi presentate con ritardo superiore a novanta giorni si considerano omesse “ma costituiscono, comunque, titolo per la riscossione delle imposte dovute in base agli imponibili in esse indicati e delle ritenute indicate dai sostituti d’imposta”.
Dal tenore letterale della disposizione emerge che le dichiarazioni c.d. “tardive” costituiscono per l’Amministrazione finanziaria titolo per la riscossione delle imposte che ne derivano, mentre nulla viene disposto in ordine agli eventuali crediti ivi indicati. Tale mancata previsione da parte del legislatore consente di affermare che la dichiarazione presentata con un ritardo di oltre novanta giorni non è titolo per il riconoscimento dei crediti ivi esposti.
Analogamente, quindi, deve ritenersi legittimo l’operato dell’Amministrazione finanziaria che recupera il credito riportato nella dichiarazione dei redditi successiva, ma derivante da una annualità per cui la dichiarazione è stata omessa, mediante la procedura di cui al citato articolo 36-bis del d.P.R. n. 600 del 1973, con irrogazione della sanzione prevista dall’articolo 13 del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 471.
Anche in tal caso, dopo che il contribuente ha definito l’obbligazione pagando le somme richieste dall’ufficio, nei termini previsti dalla comunicazione di irregolarità ovvero a seguito della notifica della cartella di pagamento o in esito a sentenza definitiva a lui sfavorevole, il contribuente potrà richiedere il rimborso del credito maturato nell’annualità per la quale la dichiarazione risulta omessa, entro due anni dal predetto pagamento ai sensi dell’art. 21 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546.
L’istruttoria delle istanze di rimborso in questione dovrà essere finalizzata alla ricostruzione della posizione fiscale complessiva del contribuente relativamente alla annualità per la quale la dichiarazione risulta omessa, riscontrando la documentazione esibita dal contribuente e gli eventuali dati e notizie a disposizione dell’ufficio.
Resta salva in ogni caso la facoltà di attivare anche successivamente eventuali ulteriori specifici controlli sostanziali, al fine di verificare la spettanza del credito, secondo le stesse modalità illustrate ai fini Iva.
Il riconoscimento del credito, analogamente a quanto affermato in materia di IVA, potrà inoltre avvenire anche in sede di accordo di mediazione o conciliazione giudiziale.
LA CIRCOLARE N.21/2013
Le Entrate, con la circolare appena pubblicata forniscono ulteriori chiarimenti con i quali smussano la posizione precedentemente assunta.
In pratica, osserva il documento di prassi, “ a seguito del ricevimento della comunicazione di irregolarità in esame, se il contribuente ritiene che il credito non dichiarato sia fondatamente ed effettivamente spettante, può attestarne l’esistenza contabile, mediante la produzione all’ufficio competente, entro il termine previsto dagli articoli 36-bis, comma 3, del DPR n. 600 del 1973 e 54-bis, comma 3, del DPR n. 633 del 1972 (trenta giorni successivi al ricevimento della comunicazione), di idonea documentazione (ad esempio, con riferimento alle eccedenze IVA, mediante esibizione dei registri IVA e delle relative liquidazioni, della dichiarazione cartacea relativa all’annualità omessa, delle fatture e di ogni altra documentazione ritenuta utile)”.
Resta ferma, naturalmente, la possibilità per l’Amministrazione finanziaria di effettuare le attività di controllo ai fini dell’IVA, delle imposte sui redditi o dell’Irap in merito alla dichiarazione omessa, anche al fine di accertare l’effettività sostanziale del credito maturato nel relativo periodo d’imposta, la dimostrazione dell’esistenza contabile del credito pone il contribuente, ancorché tardivamente, nella medesima condizione in cui si sarebbe trovato qualora avesse correttamente presentato la dichiarazione.
L’ufficio, “ in esito a tali verifiche, qualora riscontri l’esistenza contabile del credito, ….analogamente a quanto previsto nella fase contenziosa, anziché richiedere l’effettuazione del pagamento seguita da un’istanza di rimborso, potrà “scomputare” direttamente l’importo del credito medesimo dalle somme complessivamente dovute in base alla originaria comunicazione di irregolarità e, conseguentemente, ai sensi del comma 2 dell’articolo 2 del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 462, emettere una “comunicazione definitiva” contenente la rideterminazione delle somme che residuano da versare a seguito dello scomputo operato”.
Restano dovuti gli interesse e le sanzioni sulla parte di credito effettivamente utilizzata.
Laddove il contribuente provveda a pagare le somme dovute entro trenta giorni dal ricevimento della comunicazione definitiva contenente la rideterminazione delle somme medesime, potrà beneficiare della riduzione della predetta sanzione ad un terzo, ai sensi del citato comma 2 dell’articolo 2 del d.lgs. n. 462 del 1997.
L’appuramento dell’esistenza contabile del credito può essere effettuato esclusivamente dall’ufficio competente nei confronti del contribuente, che è, in tal modo, nella condizione di poter valutare l’opportunità di effettuare o segnalare tempestivamente all’ufficio controlli, eventuali riscontri sostanziali in merito all’effettiva esistenza del credito.
Il contribuente cui viene riconosciuto l’utilizzo dell’eccedenza a credito che si sarebbe dovuta esporre nella dichiarazione omessa, deve essere reso formalmente edotto che l’avvenuta dimostrazione dell’esistenza contabile del credito non preclude, in alcun modo, il potere dell’Amministrazione finanziaria di controllare, ove lo ritenga opportuno e nei termini normativamente previsti, l’effettività sostanziale del credito medesimo ed eventualmente, procedere al recupero dello stesso con le relative ulteriori conseguenze sanzionatorie a suo carico.
5 marzo 2014
Francesco Buetto