Alcuni Comuni stanno aggiornando in via automatica le rendite catastali: tale operazione è contestabile davanti ai giudici tributari in quanto nasconde una certa dose di arbitrarietà nelle valutazioni degli estimi. A cura di Giuseppe Marino.
Nell’ambito dell’ormai nota attività di rettifica catastale “automatica” di buona parte degli immobili siti nel centro di Roma, l’Agenzia delle Entrate ha di recente “preso di mira” anche i cc.dd. “affittacamere”, definiti dalla legge come
“strutture composte da non più di sei camere, ubicate in non più di due appartamenti ammobiliati in uno stesso stabile, nei quali sono forniti alloggio ed eventualmente servizi complementari”.
In particolare, l’Agenzia delle Entrate, del tutto arbitrariamente e con motivazione a dir poco generica, dispone d’ufficio e senza alcun sopralluogo la rettifica dell’accatastamento degli “affittacamere”, di regola ubicati in appartamenti classificati in catasto in cat. A/2, includendoli nella cat. D/2 (riservata invece ad alberghi e pensioni).
Dalla motivazione di siffatti avvisi di accertamento catastale – per lo più identica nella maggior parte dei casi – la rettifica della categoria catastale da cat. A/2 a cat. D/2 sembrerebbe esser stata operata per le seguenti ragioni:
“Con la variazione di diversa distribuzione degli spazi interni, oggetto del presente collaudo Do.c.Fa, vengono apportate delle modifiche sostanziali alle caratteristiche estrinseche ed intrinseche della uiu. La presenza di camere con bagno ad uso esclusivo, e l’alta dotazione di servizi, fanno sì che non ci siano unità-tipo di riferimento censibili delle tipologie ad uso “residenziale”.
Pertanto in riferimento alla uiu già censita al fg. … ed alla Circolare n. 4/2006 della Direzione dell’Agenzia del Territorio, si procede all’attribuzione della categoria catastale D/2.
Note tecniche
Modalità di verifica senza sopralluogo.
Categoria proposta non idonea ed accertata in D/02.
Rendita proposta non congrua”.
Categoria catastale degli affittacamere
Ciò premesso, non può non rilevarsi la carenza e comunque l’erroneità della motivazione di siffatti classamenti degli appartamenti adibiti ad “affittacamere” da cat. A/2 (civili abitazioni) a cat. D/2 (alberghi e pensioni), posto che tale attività non è equiparabile né ad un albergo, né ad una pensione, risultando invece un’attività di tipo “extralberghiero”, e che in base alla normativa di riferimento e alla stessa Circolare dell’Agenzia del Territorio n. 6/2006, deve essere svolta in unità immobiliari adibite ad uso abitativo, quali quelle classificabili quindi nella categoria catastale “A”.
Ed invero, esaminando in primo luogo la normativa di riferimento, è d’obbligo richiamare il Regolamento Regionale della Regione Lazio n. 16 del 24.10.2008, il quale disciplina (cfr. art. 1, comma 2) i “procedimenti finalizzati alla classificazione delle strutture ricettive extralberghiere e al rilascio delle autorizzazioni per l’esercizio delle relative attività”.
E tra le strutture ricettive “extralberghiere” (differenti da alberghi e pensioni) rientrano in primo luogo gli “affittacamere”, oltre agli “ostelli per la gioventù”, alle “case e appartamenti per vacanze”, agli “ostelli per ferie”, ecc., come d’altra parte specifica il cennato Regolamento Regionale all’art. 2 (“Definizioni”), comma 1, lett. a) – e).
Con particolare riguardo, poi, agli “affittacamere”, il successivo art. 4, comma 1, richiede espressamente che tale attività sia esercitata all’interno di locali adibiti a civile abitazione, e quindi classificabili nella categoria catastale “A”, e non certo nella categoria “D”, che invece concerne gli “immobili a destinazione speciale”.
Dispone, infatti, la citata norma quanto segue:
“Gli affittacamere posseggono tutti i seguenti requisiti funzionali e strutturali:
a) locali in possesso dei requisiti minimi previsti per la civile abitazione dalla normativa vigente …”
Ulteriore conferma dell’obbligo per cui l’attività di “affittacamere” debba essere esercitata in locali adibiti ad uso di civile abitazione (cat. “A”) è poi rinvenibile nel combinato disposto dell’art. 5 (rubricato “Classificazione delle strutture”) e dell’allegato A1 al predetto Regolamento Regionale.
Ed infatti, il citato art. 5, al comma 2, dispone che “La provincia, sulla base dei requisiti stabiliti dall’art. 4 e di quanto previsto dalla tabella dei requisiti minimi di classificazione di cui agli allegati A1, A2, A3, A4 e A5, procede ai sensi dell’art. 4, comma 2, lettera b) della l.r. 13/2007, all’attribuzione della classifica:
-
degli affittacamere, con un numero variabile da 1 a 3 categorie;”
Orbene, il richiamato allegato A1 al predetto Regolamento Regionale espressamente impone, al punto 1.06.c., rubricato “Tipologie catastali di appartenenza”, che l’attività di “affittacamere” sia svolta in unità immobiliari classificabili nel gruppo catastale “A” (A/1, A/2, ecc.), e quindi in appartamenti, non menzionando minimamente la possibilità dello svolgimento dell’attività medesima in locali classificabili in cat. D/2 (e, più in generale, in cat. “D”), come invece pretenderebbe l’Agenzia delle Entrate per mezzo dell’immotivato riclassamento operato con i predetti avvisi di accertamento.
A riprova di ciò basti considerare che se, per qualsivoglia ragione, il fondamentale requisito del classamento nel gruppo catastale “A” dei locali adibiti ad “affittacamere” dovesse venire a mancare, la Provincia potrebbe addirittura revocare l’autorizzazione concessa per lo svolgimento dell’attività medesima.
In tal senso dispone il comma 3 del citato art. 5, secondo cui
“Qualora vengano a mancare i requisiti di classificazione la provincia, svolti i dovuti accertamenti, effettua il declassamento d’ufficio a categoria inferiore o, in caso di categoria unica, la cancellazione, dandone comunicazione al comune competente”.
Correttamente, dunque, chi invia al Comune la c.d. “Segnalazione certificata di inizio di attività di affittacamere” dichiara che i locali oggetto dell’attività rientrano nella categoria catastale A2: differentemente, se i locali rientrassero nella cat. D/2 (alberghi e pensioni), il Comune non potrebbe rilasciare alcuna autorizzazione per lo svolgimento dell’attività di “affittacamere”.
E’ infine importante sottolineare che il fatto che le attività alberghiere debbano essere esercitate in locali classificati in cat. D/2, mentre le attività extralberghiere (tra le quali rientrano gli “affittacamere”) debbano invece essere esercitate in locali classificabili nel gruppo catastale “A”, trova altra importante conferma nella stessa Circolare dell’Agenzia del Territorio n. 4/2006: ed infatti, a pag. 15 della Circolare cit., la nota 13 afferma quanto segue:
“Un esempio tipico è costituito dalle residenze turistiche alberghiere, che sono generalmente composte da una struttura alberghiera intesa in senso tradizionale, e da abitazioni con ingresso del tutto autonomo dalle strade pubbliche; in relazione alle situazioni di fatto, si potrà ragionevolmente attribuire alla prima lacategoria D/2 ed alle seconde una dellepertinenti categorie del gruppo A”.
In altri termini, l’Agenzia del Territorio contraddice apertamente l’operato dell’Agenzia delle Entrate (che come è noto ha di recente “inglobato” la stessa Agenzia del Territorio) distinguendo nella citata Circolare, da un lato, le strutture alberghiere, classificabili in cat. D/2 e, dall’altro, le differenti “abitazioni con ingresso del tutto autonomo dalle strade pubbliche” – quali sono di regola gli appartamenti adibiti ad “affittacamere” – invece classificabili nelle “pertinenti categorie del gruppo A”.
Ciò posto, si ricorda che è possibile contestare la legittimità di siffatti avvisi di accertamento catastale mediante la proposizione di ricorso alla Commissione Tributaria territorialmente competente entro il termine di 60 giorni dalla ricezione della notifica.
Si ricorda, inoltre, che la presentazione di una mera istanza di autotutela non sospende i termini per il ricorso, e che difficilmente l’Agenzia delle Entrate vi risponderà prima della scadenza di quest’ultimo.
Avv. Giuseppe Marino
22 marzo 2014