Accertamento sintetico: i coefficienti presuntivi non si toccano

la Corte di Cassazione ha recentemente blindato l’accertamento sintetico stabilendo che il giudice tributario non può togliere agli indicatori di reddito la capacità contributiva presuntiva fissata dal Legislatore

Con l’Ordinanza n. 2015 del 29 gennaio 2014 (ud. 5 dicembre 2013) la Corte di Cassazione ha blindato l’accertamento sintetico.

 

Il principio espresso

Questa Corte (Cass. n. 1909/2007) ha ritenuto che il giudice tributario, una volta accertata l’effettività fattuale degli specifici ‘elementi indicatori di capacità contributiva’ esposti dall’Ufficio, non ha il potere di togliere a tali ‘elementi’ la capacità presuntiva ‘contributiva’ che il legislatore ha connesso alla loro disponibilità, ma può soltanto valutare la prova che il contribuente offra in ordine alla provenienza non reddituale (e, quindi, non imponibile o perchè già sottoposta ad imposta o perché esente) delle somme necessarie per mantenere il possesso dei beni indicati dalla norma“.

Allo stesso modo, “questa Corte (Cass. n. 5991/2006) ha ritenuto che l’accertamento sintetico, con metodo induttivo, consentito all’amministrazione finanziaria dalle norme contenute nel D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 38, commi 4 e 5, consiste nell’applicazione di presunzioni semplici, in virtù delle quali l’ufficio finanziario è legittimato a risalire da un fatto noto a quello ignorato (sussistenza di un certo reddito e, quindi, di capacità contributiva). La suddetta presunzione semplice genera peraltro l’inversione dell’onere della prova, trasferendo al contribuente l’impegno di dimostrare che il dato di fatto sul quale essa si fonda non corrisponde alla realtà. A tali principi non risulta essersi attenuta la decisione impugnata laddove ha ritenuto documentati i redditi delle collaboratrici domestiche sulla base di dichiarazioni del contribuente”.

Brevi note

Nell’accertamento sintetico, il giudice tributario che abbia accertato la sussistenza degli indici rivelatori non ha il potere di togliere a tali elementi la capacità contributiva presuntiva che il legislatore ha connesso alla loro disponibilità, ma può soltanto valutare la prova che il contribuente offra in ordine alla provenienza non reddituale degli stessi.

 

Tale principio era stato già espresso dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 2726 del 4 febbraio 2011 (ud. del 10 dicembre 2010). Allora, la Corte ha rilevato che (cfr. anche Cass. nn. 1909/2007 e 16284/2007), in tema di accertamento sintetico, nel testo originariamente vigente, gli elementi indicativi di capacità contributiva costituiscono una presunzione legale, ai sensi dell’art. 2728 c.c., perchè è la stessa legge che impone di ritenere conseguente al fatto (certo) di tale disponibilità la esistenza di una capacità contributiva. Pertanto, il giudice tributario, una volta accertata l’effettività fattuale degli specifici “elementi indicatori di capacità contributiva” esposti dall’Ufficio, non ha il potere di togliere a tali “elementi” la capacità presuntiva “contributiva” che il legislatore ha connesso alla loro disponibilità, “ma può soltanto valutare la prova che il contribuente offra in ordine alla provenienza non reddituale (e, quindi, non imponibile o perchè già sottoposta ad imposta o perchè esente) delle somme necessarie per mantenere il possesso dei beni indicati dalla norma“.

Analogamente, va richiamata la sentenza della Cassazione n. 14778/2000, secondo cui l’accertamento sintetico consiste nell’applicazione di presunzioni semplici, in virtù delle quali l’ufficio finanziario è legittimato a risalire da un fatto noto a quello ignorato (sussistenza di un certo reddito e, quindi, di capacità contributiva). La suddetta presunzione semplice genera peraltro l’inversione dell’onere della prova, trasferendo al contribuente l’impegno di dimostrare che il dato di fatto sul quale essa si fonda non corrisponde alla realtà.

 

La sentenza che si annota, inoltre, non si discosta dai principi espressi dalla stessa Corte di Cassazione nel corso ancora degli ultimi anni.

Con la sentenza n. 12187 del 26 maggio 2009 (ud. del 6 maggio 2009) la Suprema Corte ha affermato che la disponibilità di beni/indici rappresenta una presunzione di “capacità contributiva” da qualificare “legale” ai sensi dell’art. 2728 c.c., “perché è la stessa legge che impone di ritenere conseguente al fatto (certo) di tale disponibilità la esistenza di una capacità contributiva“. Ciò posto, allora il giudice tributario, una volta accertata l’effettività fattuale degli specifici “elementi indicatori di capacità contributiva” esposti dall’Ufficio, non ha il potere di togliere a tali “elementi” la capacità presuntiva “contributiva” che il legislatore ha connesso alla loro disponibilità, “ma può soltanto valutare la prova che il contribuente offra in ordine alla provenienza non reddituale (e, quindi, non imponibile o perché già sottoposta ad imposta o perché esente) delle somme necessarie per mantenere il possesso dei beni indicati dalla norma, e, più in generale, che il reddito presunto non esiste o esiste in misura inferiore (v. pure Cass. nn. 16284/2007,19252/2005)”.

 

E con la sentenza n. 14168 del 6 luglio 2012 la Corte di Cassazione ha affermato che la capacità reddituale, determinata attraverso gli indici di capacità contributiva previsti dagli appositi decreti ministeriali, ha valore di presunzione legale relativa. Pertanto, la presenza e la disponibilità dei beni indice, nonché lo scostamento rilevato tra il reddito sinteticamente accertabile e il reddito dichiarato, sposta sul contribuente l’onere probatorio, il quale non potrà comunque dimostrare che il possesso/disponibilità di quel determinato bene/indice comporta spese di gestione inferiori a quelle statisticamente calcolate dal redditometro, ma potrà solo addurre il possesso di redditi esenti o tassati alla fonte.

In maniera secca e netta la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 25386 del 26 ottobre 2007 (dep. il 5 dicembre 2007) aveva già avuto modo di affermare che gli accertamenti effettuati mediante redditometro sisottraggono all’obbligo di motivazione ex art. 3, c. 2, della L. 7 agosto1990, n. 241, con la conseguenza che l’Amministrazione finanziaria è esonerata da qualunque prova ulteriore rispetto ai fatti indicativi di capacità contributiva individuati dal redditometro e posti a base della pretesa fiscale (nel caso di specie: possesso di automobili), gravando sul contribuente l’onere di dimostrare che il reddito presupposto sulla base del redditometro non esiste o esiste in misura inferiore. Per la Corte, “in presenza di dati certi ed incontestati, non è consentito pretendere una motivazione specifica dei criteri in concreto adottati per pervenire alle poste di reddito fissate in via sintetica nel cosiddetto redditometro, in quanto esse, proprio per fondarsi su parametri fissati in via generale, si sottraggono all’obbligo di motivazione, secondo il principio stabilito dall’art. 3, secondo comma, della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Cass. 327/06), e l’Amministrazione Finanziaria resta dispensata da qualunque ulteriore prova rispetto ai fatti indicativi di capacità contributiva, individuati dal redditometro stesso e posti a base della pretesa tributaria (nella specie, il possesso di automobili}, gravando sul contribuente l’onere di dimostrare che il reddito presunto sulla base del redditometro non esiste o esiste in misura inferiore (Cass. 10350/03)”.

In applicazione del dettato normativo, a fronte della disponibilità di alcuni beni corrisponde un reddito accertabile, salva prova diversa del contribuente.

Il beneficio fiscale di cui al comma 6, dell’articolo 38, del D.P.R. n. 600/73 è comunque subordinato all’esercizio, da parte del contribuente interessato, della facoltà di provare che la maggiore disponibilità economica accertata sinteticamente non dipenda da redditi prodotti nell’anno o dipenda da redditi esenti da imposta od in ordine ai quali sia stata già effettuata la ritenuta alla fonte a titolo di imposta.

Pertanto, qualora il contribuente non si attivi in tal senso, la concessione del beneficio in argomento, non potrà aver luogo.

La determinazione sintetica del reddito effettuata sulla base del cosiddetto vecchio “redditometro” non impedisce però al contribuente di dimostrare l’inesistenza o la minore entità degli indici, per essere gli stessi eventualmente in contrasto con le circostanze del caso concreto.

Il ricorso al redditometro esonera quindi l’Amministrazione da qualunque ulteriore prova e le consente di emettere un valido avviso di accertamento ricorrendo ad un mero calcolo matematico; resta onere del contribuente fornire la prova contraria a quanto dedotto attraverso il “redditometro“.

Orbene, secondo un orientamento giurisprudenziale costante (Cass., Sez. trib., 17 giugno 2002, n. 8655, conforme a 7 maggio 1995, n.2653, 28 ottobre 1995, n. 13089 e 13 novembre 2001, n. 14691), in tema di accertamento delle imposte sui redditi, ai fini dell’adozione del metodo di accertamento sintetico, di cui all’art. 38, c. 4, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, è sufficiente che vi siano elementi e circostanze di fatto certi che, provando un determinato ammontare di spesa, presuppongono la disponibilità di un corrispondente reddito globale, senza la necessità di conoscere i cespiti certi dai quali il reddito stesso possa derivare, restando a carico del contribuente l’onere di provare l’inesistenza della capacità reddituale e, in particolare, della base di cui si tratta.

Il thema decidendum rimane comunque circoscritto alla questione della sufficienza della prova, che il contribuente deve offrire, sul fatto che l’elemento posto dagli organi di controllo, a base della presunzione di reddito, non è invece indice di capacità contributiva ( per esempio, che il denaro utilizzato per l’acquisto sia di un terzo soggetto; ma occorre, in questo caso, che il contribuente dia contezza della tracciabilità del denaro, non bastando la sola affermazione che l’incremento patrimoniale è frutto di un prestito o di un regalo).

6 marzo 2014

Gianfranco Antico