Operazioni antieconomiche: IVA indetraibile?

in caso di contestazione di operazioni antieconomiche (nel caso di specie consulenze pagate per somme non congrue e non credibili) diventa indetraibile anche l’Iva sulle fatture considerate elusive?

Con la sentenza n. 27199 del 4 dicembre 2013 (ud. 15 ottobre 2013) la Corte di Cassazione ha ritenuto indetraibile l’Iva non congrua pagata per una maxi-consulenza.

 

IL PROCESSO

Con avviso di rettifica notificato da parte dell’allora ufficio Iva di San Remo, l’Amministrazione contestava ad una società di capitali che l’importo fatturato nei suoi confronti da parte di una società di consulenza era eccessivo e sproporzionato rispetto alla prestazione ricevuta riguardante contabilità generale ed Iva, consulenze contrattuali ed assistenza negli adempimenti amministrativi e fiscali e, ridotta la prestazione fatturata da lire 250.000.000 a lire 20.000.000, contestava l’indebita detrazione di lire 43.700.000 risultante dalla dichiarazione IVA 1995.

Il contribuente presentava ricorso avverso l’avviso di rettifica davanti alla CTP di Imperia la quale espletava una CTU da cui risultava che il valore delle prestazioni professionali fatturate non ammontava a lire 250.000.000 ma a lire 122.456.743. La CTP accoglieva, quindi, in parte il ricorso.

Su ricorso in appello proposto dalla società contribuente, la CTR della Liguria confermava in lire 122.456.000 il valore della fatturazione a carico della società.

 

I MOTIVI DELLA DECISIONE

La Corte, innanzitutto, premette che, in tema di accertamento dell’IVA, “il ricorso al metodo induttivo è consentito ed ammissibile anche in presenza di contabilità formalmente regolare (ai sensi del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 54), quando tuttavia l’attendibilità della stessa risulti inficiata da presunzioni contrarie, anche semplici, purchè gravi, precise e concordanti”, evidenzia “che con accertamento insindacabile in sede di legittimità la CTP ha espletato una CTU da cui risultava che il valore delle prestazioni professionali fatturate … non ammontava a lire 250.000.000 come fatturato ma a lire 122.456.743”.

Ciò premesso, in base all’orientamento della Suprema Corte (sent. n. 11599 del 18/05/2007), “nel giudizio tributario, una volta contestata dall’erario l’antieconomicità di una operazione posta in essere dal contribuente che sia imprenditore commerciale, diviene onere del contribuente stesso dimostrare la liceità fiscale della suddetta operazione, ed il giudice tributario non può, al riguardo, limitarsi a constatare la regolarità della documentazione cartacea (nella fattispecie, la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza della commissione tributaria regionale, la quale, avendo l’amministrazione contestato ad una società il noleggio di beni a canone superiore al prezzo di acquisto dei beni stessi, aveva ritenuto non provata la sovrafatturazione dei costi di noleggio, sulla base della mera corrispondenza delle fatture – peraltro riconosciute false dal giudizio penale – alle somme annotate in bilancio)”.

Inoltre, osserva la Corte, “che vertendosi in tema di detrazione d’imposta, spettava al contribuente dimostrare anche l’effettivo pagamento del corrispettivo in eccesso pagamento di cui non ha fornito la prova”.

 

Breve nota

La sentenza è sicuramente interessante in quanto blocca la detraibilità dell’Iva in eccesso, o meglio non congrua (nel caso di specie acclarata da una CTU).

Ricordiamo, pero, che la Corte di Cassazione con la sentenza n. 22130 del 27 settembre 2013 (ud. 8 aprile 2013) la Corte di Cassazione ha affermato che l’antieconomicità è senza Iva. Davanti alla Corte veniva posta alla sua attenzione la questione concernente la legittimità dell’operato dell’amministrazione finanziaria che provvede alla rettifica delle dichiarazioni dei contribuenti considerando antieconomiche determinate scelte imprenditoriali, in base al principio secondo cui, chiunque svolga un’attività economica dovrebbe, secondo l’id quod plerumque accidit, indirizzare le proprie condotte verso una riduzione dei costi ed una massimizzazione dei profitti, in tal modo valutando negativamente, ai fini fiscali, le condotte improntate all’eccessività di componenti negativi o all’immotivata compressione di componenti positivi di reddito. Se con specifico riferimento alle imposte sui redditi, la sentenza afferma che la Corte “ha reiteratamente riconosciuto che rientra nei poteri dell’amministrazione finanziaria la valutazione di congruità dei costi e dei ricavi esposti nel bilancio e nelle dichiarazioni e la rettifica di queste ultime, anche se non ricorrano irregolarità nella tenuta delle scritture contabili o vizi degli atti giuridici compiuti nell’esercizio d’impresa, con negazione della deducibilità di parte di un costo sproporzionato ai ricavi o all’oggetto dell’impresa – cfr.Cass. n. 12813/2000 (con riferimento all’ILOR); Cass. n. 9497/2008 e Cass. n. 3243/2013, Cass. n. 1711/2007 (con riferimento all’IRPEG); Cass. n. 7487/2002; Cass. n. 10802/2002; Cass. n. 5463/2003; Cass. n. 398/2003; Cass. n. 19150/2003”, la stessa Suprema Corte ritiene che non sia possibile “applicare direttamente ed automaticamente i principi espressi in tema di imposizione diretta con riguardo al tema dell’antieconomicità all’interno dell’IVA, a ciò ostando la particolare natura del tributo da ultimo descritto, tutto correlato al principio di neutralità che si esprime attraverso il riconoscimento ad ogni fornitore o prestatore di servizio che ha corrisposto l’IVA per l’acquisto di beni o servizi di detrarre l’IVA relativa ai costi sostenuti secondo il noto meccanismo della detrazione. Infatti, il sistema delle detrazioni è inteso ad esonerare interamente l’imprenditore dall’IVA dovuta o pagata nell’ambito di tutte le sue attività economiche. Il sistema comune dell’IVA garantisce, in tal modo, la neutralità dell’imposizione fiscale per tutte le attività economiche, indipendentemente dallo scopo o dai risultati delle dette attività, purchè queste siano, in linea di principio, di per sè soggette all’IVA (v., segnatamente, sentenze Gabalfrisa e a., cit., punto 44; 21 febbraio 2006, Halifax e a., C-255/02, Racc. pag. I 1609, punto 78, nonchè Mahagèben e David, cit., punto 39;Corte giust. 6 settembre 2012, C-324/1 l.Gabor Toth, p. 24-“. Sul punto viene richiamato il pensiero della Corte di Giustizia che ha sottolineato “la centralità del diritto di detrazione nel meccanismo dell’IVA, diritto che, in linea di principio, non può subire limitazioni, essendo inteso ad esonerare interamente l’imprenditore dall’IVA dovuta o pagata nell’ambito delle sue attività economiche. Ed è proprio questo meccanismo a consentire la perfetta neutralità dell’imposizione fiscale che si interrompe allorchè il bene o servizio viene reso al consumatore finale”. La Corte Europea ha altresì affermato che “la circostanza che un’operazione economica sia effettuata ad un prezzo superiore o inferiore al prezzo di costo, e dunque a un prezzo superiore o inferiore al prezzo normale di mercato, è irrilevante (v., Corte giust. 20 gennaio 2005, causa C- 412/03, Hotel Scandio Gasaback, punto 22)”. E, “si è, nella medesima direzione, precisato che qualora beni e servizi siano forniti a un prezzo artificialmente basso o elevato fra parti che godono entrambe interamente del diritto a detrazione dell’IVA, non può sussistere, in tale fase, alcuna elusione o evasione fiscale. E’ solo a livello del consumatore finale che un prezzo artificialmente basso o elevato può comportare una perdita di gettito fiscale – cfr. Corte giust. 26 aprile 2012, cause riunite C-621/10 e C-129/11, Balkan p. 47-“. Ritiene, quindi, il collegio “che in condizioni normali non sia consentito all’amministrazione di rideterminare il valore delle prestazioni e dei servizi acquistati dall’imprenditore escludendo il diritto a detrazione per le ipotesi in cui il valore dei beni e servizi sia ritenuto antieconomico e dunque diverso da quello da considerare normale o comunque sia tale da produrre un risultato antieconomico. Tale verifica l’amministrazione potrà solamente fare allorchè la riscontrata antieconomicità rilevi quale indizio di non verità della fattura, nel senso di non verità dell’operazione, oppure di non verità del prezzo o, ancora, di non esistenza dell’inerenza e cioè della destinazione del bene o del servizio acquistati ad essere utilizzati per operazioni assoggettate ad IVA. Se dunque l’amministrazione riesce a dimostrare l’antieconomicità manifesta e macroscopica, come tale esulante dal normale margine di errore di valutazione economica, spetterà all’imprenditore dimostrare che la prestazione del bene o del servizio presenta comunque le caratteristiche per ritenersi reale ed inerente rispetto all’attività svolta”.

L’antieconomicità può costituire, quindi, indizio di abuso del diritto che presuppone un uso “artificioso” di una forma giuridica e cioè l’uso concreto di essa non per l’affare per il quale essa è tipicamente prevista, ma per uno scopo diverso, univocamente ed esclusivamente rivolto a perseguire un indebito risparmio fiscale.

 

15 gennaio 2014

Roberta De Marchi