La mancata esibizione di documenti in fase di verifica

occorre prestare la massima attenzione nel deposito della documentazione richiesta onde evitare che la stessa non possa più essere esibita ed utilizzata nel processo tributario

Con la sentenza n. 28271 del 18 dicembre 2013 (ud. 4 novembre 2013) la Corte di Cassazione ha confermato che per costante giurisprudenza “i documenti prodotti dal contribuente nel giudizio tributario in cui si controverta sull’IVA, dei quali abbia in precedenza rifiutato l’esibizione all’amministrazione finanziaria, non possono essere presi in considerazione ai fini del decidere, anche in assenza di una eccezione in tal senso dell’amministrazione resistente” (cfr. Corte cass. Sez. U, Sentenza n. 45 del 25/2/2000; id. Sez. 5, Sentenza n. 13511 del 26/5/2008; id. Sez, 5, Sentenza n. 7269 del 26/3/2009; id. Sez, 5, Sentenza n. 21768 del 14/10/2009; id. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 10448 del 6/5/2013).

Né, prosegue la sentenza è “necessario verificare la sussistenza di eventuali condizioni (forza maggiore; caso fortuito) non imputabili al contribuente che hanno determinato l’omessa esibizione dei registri contabili (circostanze peraltro neppure allegate dal resistente)”, né occorre “accertare l’elemento soggettivo della condotta omissiva del contribuente che, secondo un più risalente orientamento della giurisprudenza di questa Corte, implicava oltre la coscienza e la volontà del rifiuto anche il dolo – costituito dalla volontà del contribuente di impedire che, nel corso dell’accesso, possa essere effettuata l’ispezione del documento – rimanendo quindi esclusa la operatività del divieto di utilizzazione in sede contenziosa dei documenti non esibiti, in caso di mera negligenza ed imperizia nella custodia e conservazione degli stessi (cfr. SU n. 45/2000, cit), orientamento successivamente corretto dalla più recente giurisprudenza che ha ritenuto applicabile il divieto – previsto dal D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 52, comma 5 – di utilizzazione probatoria, ai fini dell’accertamento in sede amministrativa o contenziosa, dei libri, delle scritture e dei documenti di cui si è rifiutata l’esibizione, non solo nell’ipotesi di rifiuto (per definizione ‘doloso’) dell’esibizione, ma anche nei casi in cui il contribuente dichiari, contrariamente al vero, di non possedere o sottragga all’ispezione i documenti in suo possesso, ancorchè non al deliberato scopo di impedirne la verifica, ma per errore non scusabile, di diritto o di fatto (dimenticanza, disattenzione, carenze amministrative, ecc.) e, quindi, anche per colpa semplice (cfr. 5 sez. n. 7269/2009; id. n. 21768/2009; id. n. 10448/2013, cit)”.

Per la Corte, in forza delle previsioni dell’art. 51, c. 2, n. 4, e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 55, c. 2, la richiesta di esibizione dei documenti deve essere effettivamente conforme al modello legale definito dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, c. 4 ,e dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, cc. 3 e 4 (nel testo modificato dalla L. 18 febbraio 1999, n. 28, art. 25). E “la conseguenza della inutilizzabilità nel giudizio tributario, a favore del contribuente, dei documenti non esibiti nella fase istruttoria amministrativa è ricollegata ad una specifica richiesta dell’Ufficio accertatore che deve rispondere a determinati requisiti formali (trasmissione dell’invito a mezzo raccomandata con avviso di ricevimento; assegnazione di un termine non inferiore a gg. 15, prorogabile; avviso al contribuente delle conseguenze processuali determinate dalla mancata esibizione dei documenti; facoltà del contribuente di evitare tali conseguenze depositando i documenti in allegato al ricorso introduttivo dimostrando che la impossibilità di ottemperanza era dipesa da causa non imputabile): ne segue che una richiesta di esibizione di scritture, fatture od altri documenti commerciali e contabili formulata dall’Ufficio con modalità difformi dallo schema legale descritto è inidonea, in caso di inottemperanza del contribuente, a produrre gli effetti giuridici preclusivi previsti dalle norme tributarie”.

Sul punto vengono richiamate le considerazioni svolte nel precedente pronunciamento della Corte (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 453 del 10/01/2013), secondo cui “L’invio del questionario innesta, in seno al procedimento di accertamento della veridicità delle dichiarazioni dei contribuenti, un subprocedimento, che si dipana in più passaggi, consistenti:

– nell’invio del questionario, con la fissazione di un termine minimo a carico del contribuente per l’adempimento degli inviti o delle richieste rivoltegli;

– nell’avvertimento da parte dell’ufficio delle conseguenze derivanti al contribuente dall’inottemperanza a tali inviti o richieste;

– nella risposta del contribuente che fornisca dati e documenti richiesti, ovvero;

– nell’inottemperanza del contribuente alle richieste rivoltegli”.

Tale subprocedimento “è dettato allo scopo di favorire il dialogo tra le parti, in vista di un chiarimento delle reciproche posizioni, capace di escludere l’instaurazione del contenzioso (Cass. 30 dicembre 2009, n. 28049), in base a quei canoni di lealtà, correttezza e collaborazione, che sono necessariamente implicati …quando siano in gioco obblighi di solidarietà come quello in materia tributaria” (Corte cost., 25 luglio 2000, n. 351).

Il legislatore, quindi, “ha sanzionato con la preclusione dell’inutilizzabilità la condotta del contribuente che si sottrae al dialogo con l’amministrazione, ponendo il divieto di allegazione di dati e documenti non forniti nella sede precontenziosa (divieto che, ha precisato la Consulta, ha rilievo esclusivamente processuale, in quanto tale inidoneo menomare il principio di capacità contributiva: Corte costituzionale, ordinanza 7 giugno 2007, n. 181)…“.

Brevi note

La disposizione dettata dal D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 52, c. 5 (richiamato dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 33, c. 1), prevede che “i libri, registri, scritture e documenti di cui è rifiutata l’esibizione” (“per rifiuto di esibizione si intendono anche la dichiarazione di non possedere i libri, registri, documenti e scritture e la sottrazione di essi alla ispezione“) “non possono essere presi in considerazione a favore del contribuente ai fini dell’accertamento in sede amministrativa o contenziosa“.

Sul punto, con sentenza n. 18921 del 16 settembre 2011 (ud. del 27 aprile 2011) la Corte di Cassazione ha affermato che non è sufficiente una generica richiesta da parte degli accertatori affinché sia ritenuto sussistente il rifiuto del contribuente all’esibizione ed il conseguente divieto di utilizzo del medesimo materiale documentale in sede amministrativa e/o giurisdizionale.

Conseguentemente, secondo la giurisprudenza di legittimità (Cass., trib., 25 gennaio: 2010 n. 1344), l’applicazione del divieto “presuppone uno specifico comportamento del contribuente, che, in quanto volto a sottrarsi alla prova, fornisca validi elementi per dubitare della genuinità dei documenti la cui esistenza emerga nel corso del giudizio“.”

La disposizione, quindi, “trova applicazione soltanto in presenza di una specifica richiesta o ricerca da parte dell’Amministrazione e di un rifiuto o di un occultamento da parte del contribuente, non essendo sufficiente che quest’ultimo non abbia esibito ai verbalizzanti i documenti successivamente prodotti in sede giudiziaria (v. tra le altre Cass. n. 9127 del 2006)“.

Sempre la Corte di Cassazione (sentenza n. 9127 del 1° febbraio 2006, dep. il 19 aprile 2006) ha affermato che l’art. 52, c. 5, del D.P.R. n. 633/1972 (richiamato dall’art. 33 del D.P.R. n. 600/1973) va letto ed interpretato “in coerenza ed alla luce del diritto alla difesa, scolpito nell’art. 24 della Costituzione, e del principio della capacità contributiva (art. 53 della Costituzione). Le norme costituzionali non impediscono certo di porre ragionevoli limiti al diritto alla prova, con conseguente tassazione di cespiti che il contribuente potrebbe dimostrare inesistenti; ma impongono di procedere ad un’interpretazione rigorosa di disposizioni quale il citato art. 52, comma 5, del D.P.R. n. 633/1972. Appare, in proposito, di particolare rilievo l’esigenza che vi sia stata un’attività di ricerca della documentazione da parte dell’Amministrazione ed un rifiuto da parte del contribuente (rifiuto cui è equiparata la dichiarazione di non possedere i documenti, o la sottrazione dolosa di essi al controllo). Ed è ovvio come simile procedura di richiesta o ricerca da parte dell’Amministrazione e di rifiuto (o occultamento) da parte del contribuente sia in concreto concepibile quasi esclusivamente in riferimento ai documenti di cui è obbligatoria la tenuta. In altre parole, la limitazione alla possibilità della prova è collegata ad uno specifico comportamento del contribuente, che si sottrae alla prova stessa, e dunque fornisce validi elementi per dubitare della genuinità di documenti che abbiano a riaffiorare nel corso del giudizio. Ciò costituisce una giustificazione ragionevole della loro inutilizzabilità; del resto temperata dalla possibilità riconosciuta al contribuente di dimostrare la non volontarietà della sottrazione originaria della documentazione (così come affermato da Cass. 28 gennaio 2002, n. 1030)”.

La stessa Corte di Cassazione (sentenza n. 22765 del 28 ottobre 2009, ud. del 5 giugno 2009) ha ritenuto che costituisce ius receptum nella giurisprudenza di legittimità il principio secondo il quale il divieto di utilizzo di documenti non esibiti in sede di accesso, ispezione, verifica o esplicita richiesta da parte dell’Amministrazione finanziaria è subordinato al rifiuto a seguito di specifica domanda dei soggetti accertatori riferita a specifica documentazione. Sebbene integrino la fattispecie sia il rifiuto dell’esibizione quanto la falsa dichiarazione di non possesso dei documenti anche ove riconducibile ad errore non scusabile, di diritto o di fatto, il tenore letterale della disposizione di cui all’art. 52, D.P.R. n. 633/1972 esclude dal novero delle ipotesi di divieto richieste generiche e non circostanziate o determinate. Infatti, “questa Corte ha più volte affermato che il divieto di utilizzo in sede giudiziaria di documenti non esibiti in sede amministrativa (D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52) costituisce un limite all’esercizio dei diritti di difesa e dunque si giustifica solo in quanto costituiscano il rifiuto di una documentazione specificamente richiesta dagli agenti accertatori”. La giurisprudenza della Corte ammette che il divieto di utilizzare documenti scatti “non solo nell’ipotesi di rifiuto (per definizione doloso) dell’esibizione, ma anche nei casi in cui il contribuente dichiari, contrariamente al vero, di non possedere o sottragga all’ispezione i documenti in suo possesso, ancorché on al deliberato scopo di impedirne la verifica, ma per errore non scusabile, di diritto o di fatto (dimenticanza, disattenzione, carenze amministrative ecc.) e, quindi, per colpa (Cass. 26 marzo 2009, n. 7269). Esige però, in conformità alla lettera della legge, che sussista una specifica richiesta degli agenti accertatori, non potendo costituire rifiuto la mancata esibizione di un qualcosa che non venga richiesto (Cass. 19 aprile 2006, n. 9127)”.

Sempre la Corte di Cassazione, con sentenza n. 1344 del 25 gennaio 2010 (ud. del 19 novembre 2009) ha affermato che Secondo la giurisprudenza di questo giudice di legittimità, il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52, comma 5, richiamato dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 33, (il quale esclude la possibilità di prendere in considerazione a favore del contribuente, in sede amministrativa e contenziosa, i documenti – libri, scritture, registri, etc. – che non siano stati acquisiti durante gli accessi perchè il contribuente ha rifiutato di esibirli o perchè ha dichiarato di non possederli, o perché li ha comunque sottratti al controllo) presuppone uno specifico comportamento del contribuente, che, in quanto volto a sottrarsi alla prova, fornisca validi elementi per dubitare della genuinità dei documenti la cui esistenza emerga nel corso del giudizio. La norma, pertanto, trova applicazione soltanto in presenza di una specifica richiesta o ricerca da parte dell’Amministrazione e di un rifiuto o di un occultamento da parte del contribuente, non essendo sufficiente che quest’ultimo non abbia esibito ai verbalizzanti i documenti successivamente prodotti in sede giudiziaria (v. tra le altre Cass. n. 9127 del 2006), con la conseguenza che parte ricorrente avrebbe dovuto allegare (e in maniera autosufficiente, ossia riportando in ricorso gli atti e/o documenti dai quali tali circostanze emergevano) che vi era stata una specifica richiesta dell’amministrazione in ordine alla documentazione de qua e che il contribuente ne aveva rifiutato l’esibizione dichiarando di non possederla o comunque sottraendola al controllo, con uno specifico comportamento volto a sottrarsi alla prova”. La Corte, sul punto, lamenta, invece, che la ricorrente si è limitata “ad affermare in ricorso che dal p.v.c. risultava che la parte aveva dichiarato di non aver conservato gli estratti dei conti correnti, ma senza riportare l’atto per esteso, al fine di una valutazione complessiva”.

E la mancata presentazione degli atti richiesti in sede di verifica fiscale, con riserva di produrli successivamente in giudizio, equivale al rifiuto di esibizione. E’ questo, in estrema sintesi, il pensiero espresso dalla Corte di Cassazione, nella sentenza n. 8109 del 23 maggio 2012 (ud. 31 gennaio 2012). La (confessata) volontaria mancata esibizione (peraltro, non altrimenti giustificata) alla Guardia di Finanza, “in sede di verifica“, dei “documenti” (a spiegazione della quale non si è nemmeno adombrato un qualsivoglia “errore“, quand’anche “non sanabile“), giuridicamente integra il “rifiuto” di esibizione sanzionato dalla norma in quanto questa attesa la finalità perseguita di “contemperare il diritto di difesa del cittadino col principio di buona amministrazione, parimenti costituzionalizzato (art. 97 Cost.) e, quindi, non disinvoltamente sacrificabili in presenza di comportamenti che ne ostacolino ingiustificatamente la realizzazione“, come precisato nella richiamata decisione del 1995 della Corte “non attribuisce al contribuente nessuna facoltà di scelta tra esibizione immediata agli inquirenti o differita (in giudizio): la riserva espressa dalla contribuente, quindi, si rivela evidentemente illegittima perchè, nella sostanza, suppone una interpretazione della norma che ne rimette l’effettiva osservanza al mero arbitrio del contribuente”.

E con la sentenza n. 27595 del 10 dicembre 2013 (ud. 13 novembre 2013) la Corte di Cassazione, tornando ad occuparsi di rifiuto di esibizione di documenti fiscali, ha osservato che è indubbio che la sanzione dell’inutilizzabilità dei documenti di cui sia stata rifiutata l’esibizione in sede di verifica, prevista dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52, c. 5, “non presuppone necessariamente che il rifiuto di esibizione sia stato doloso, ossia finalizzato ad impedire l’attività di accertamento, ben potendo tale sanzione applicarsi anche quando detto rifiuto sia dipeso da errore non scusabile, di diritto o di fatto, dovuto a dimenticanza, disattenzione, carenze amministrative o altro (in questo senso, si vedano le sentenze di questa Corte nn. 21768/09, 7269/09). Tuttavia, perchè sia preclusa la utilizzazione in sede amministrativa o contenziosa di un documento, è pur sempre necessario non solo, come precisato già nelle suddette sentenze di questa Corte, che esso sia stato richiesto in sede di verifica (non potendo costituire rifiuto la mancata esibizione di qualcosa che non si è richiesto), ma anche che alla richiesta di esibizione il contribuente fosse in condizione di corrispondere positivamente adottando l’ordinaria diligenza, ossia che il documento richiesto fosse in suo possesso o fosse da lui agevolmente e tempestivamente reperibile, in originale o in copia, presso chi lo possedeva”. Nel caso di specie, i giudici di merito hanno escluso che fossero inutilizzabili documenti la cui mancata esibizione in sede di verifica era dipesa dalla “manifesta difficoltà di reperimento“, espressione da intendere come equivalente a “difficoltà di reperimento non superabile con l’ordinaria diligenza“.

20 gennaio 2014

Francesco Buetto