nel processo tributario è vietata la prova testimoniale, tuttavia la giurisprudenza ammette la possibilità di utilizzare in sede processuale le dichiarazioni di terzi a supporto del materiale probatorio
Con la sentenza n. 22519 del 2 ottobre 2013 (ud. 12 giugno 2013) la Cassazione torna ad occuparsi di “dichiarazioni testimoniali”.
Il PROCESSO
L’Agenzia delle Entrate ricorre per la cassazione della sentenza con la quale la CTR del Lazio, rigettandone l’appello, aveva confermato la sentenza di primo grado di accoglimento dei ricorsi proposti avverso gli avvisi di accertamento per Irpeg ed Ilor relativi all’anno di imposta 1993.
Con detti avvisi, scaturiti in esito ad indagini svolte dalla Guardia di Finanza, l’allora l’Ufficio delle Imposte di Roma aveva rettificato la dichiarazione annuale della società, contestandole di avere indebitamente usufruito di costi indeducibili in quanto connessi ad operazioni inesistenti.
I Giudici di appello ritennero che le dichiarazioni di natura tecnica rilasciate da terzi soggetti, concorrenti, utilizzabili solo come elementi indiziari, non erano stati supportati da adeguati riscontri oggettivi.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Costituisce principio costantemente affermato da questa Corte quello per cui “in tema di contenzioso tributario le dichiarazioni di terzi raccolte dai verificatori ed inserite nel processo verbale di constatazione non hanno natura di prova testimoniale, bensì di mere informazioni acquisite nell’ambito di indagini amministrative, che possono essere utilizzate quando abbiano trovato riscontro nelle risultanze dell’accesso diretto dei verbalizzanti e non siano specificamente smentite dalla controparte. Nè è con ciò violato il principio della parità delle armi di cui all’art. 111 Cost., atteso che – in forza di quanto affermato dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 18 del 2000 – anche il contribuente può produrre documenti contenenti dichiarazioni rese da terzi in sede extraprocessuale con il medesimo valore probatorio” (Cass. n. 16032/2005; id. n. 2805/2009).
Ed invero, il Giudice di appello nel limitarsi ad affermare che le dichiarazioni dei terzi hanno mero valore indiziario e che i riscontri oggettivi agli stessi, nella fattispecie, non erano stati resi noti, “ha del tutto omesso di valutare elementi oggettivi (quali l’omesso rinvenimento nel corso dell’operazione di verifica delle fatture relative ai costi ritenuti non deducibili e la circostanza che la società fornitrice non fosse in possesso dei macchinari e/o attrezzature nonchè del personale specializzato necessari) puntualmente indicati dalla ricorrente, in ossequio al principio di autosufficienza, che, per la loro decisività, ove esaminati, avrebbero potuto condurre ad una diversa soluzione in punto di sufficienza ai fini della sussistenza delle presunzioni”.
Brevi note
Le risultanze emergenti da dichiarazioni rese da terzi in sede extraprocessuale non hanno valore probatorio pieno, ma possono essere utilizzate solo quando trovino ulteriore riscontro nelle risultanze del processo. E nel caso specifico l’informazione del terzo (consulente del fornitore) è suffragata da ulteriori riscontri documentali.
La prova testimoniale richiamata dall’art.7 del D.Lgs. n. 546/1992, ed esclusa, è esclusivamente quella che si forma in sede processuale, restando possibile la formalizzazione di dichiarazioni verbali rese agli organi operanti, le quali pur non essendo prove immediatamente fruibili hanno valenza indiziaria.
Tali dichiarazioni non possono avere natura di prova certa ed inequivoca, ma semmai di mero indizio bisognevole di ulteriori supporti, non potendosi ad esse attribuire il significato e la portata della prova testimoniale, atteso che, a differenza di quest’ultima, non sono assunte con le garanzie e le modalità rigidamente previste nel codice di procedura civile.
In quest’ultimo periodo, si segnalano ancora una serie di sentenze della Corte di Cassazione sulle dichiarazioni di terzi in genere. Sul punto, fra le più recenti, si richiamano i seguenti pronunciamenti.
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Sentenza n. 14290 del 19 giugno 2009 (ud. del 4 marzo 2009), secondo cui le dichiarazioni rese da terzi e raccolte dalla polizia tributaria possono assumere valenza di indizi utilizzabili dal giudice non essendo annoverabili fra le prove testimoniali per difetto dei presupposti di sostanza e di forma. Infatti, “l’esclusione della prova testimoniale è dettata da un’esigenza di speditezza del processo tributario (cfr. Cassazione civile, sez. 1′, n. 12854 del 19 dicembre 1997) e non comporta l’inutilizzabilità delle dichiarazioni di terzi rese ai verbalizzanti, secondo quanto chiarito dalla stessa giurisprudenza richiamata dalla società ricorrente (si veda in particolare Cassazione civile, sezione 5′, n. 19114 del 29 settembre 2005 secondo la quale le dichiarazioni di terzi raccolte dalla Polizia tributaria ed inserite nel processo verbale di constatazione non hanno natura di testimonianza bensì di mere informazioni acquisite nell’ambito di indagini amministrative, sfornite, pertanto, ex se, di efficacia probatoria, con la conseguenza che esse risultano del tutto inidonee, di per sè, a fondare un’affermazione di responsabilità del contribuente in termine di imposta, potendo soltanto (come nella specie) fornire un ulteriore riscontro a quanto già accertato e provato aliunde in sede di procedimento tributario)”. Osserva, quindi, la Corte che “coerentemente a questa giurisprudenza la motivazione della C.T.R. non fonda affatto la decisione su tali dichiarazioni dei terzi ma si limita a rilevare che, contrariamente a quanto affermato nella motivazione della C.T.P., le affermazioni della Guardia di Finanza trovano invece riscontro nella quasi totalità delle dichiarazioni rese dai terzi”.
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Sentenza n. 28004 del 30 dicembre 2009 (ud. del 10 novembre 2009), secondo cui il divieto di ammissione della “prova” testimoniale nel giudizio innanzi alle Commissioni tributarie, sancito dall’art. 7, c. 4, del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, si riferisce “alla prova testimoniale quale prova da assumere nel processo con le garanzie del contraddittorio e non implica, pertanto, l’impossibilità di utilizzare, ai fini della decisione, le dichiarazioni che gli organi dell’Amministrazione finanziaria sono autorizzati a richiedere anche ai privati nella fase amministrativa di accertamento anche sul conto di un determinato contribuente (D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 32, comma 1; D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 51)”. Tuttavia, “tali dichiarazioni, proprio perchè assunte in sede extraprocessuale, rilevano quali semplici elementi indiziari, il cui valore può essere sempre contestato dal contribuente nell’esercizio del suo diritto di difesa ; conseguentemente, le dichiarazioni di terzi raccolte dalla Polizia tributaria ed inserite nel processo verbale di constatazione non hanno natura di testimonianza (quand’anche siano state, come nella specie, già rese in seno a procedimento penale), bensì di mere informazioni acquisite nell’ambito di indagini amministrative, sfornite, pertanto, ex se, di efficacia probatoria, con la conseguenza che esse risultano del tutto inidonee, di per sé, a fondare un’affermazione di responsabilità del contribuente in termine di imposta, potendo soltanto fornire un eventuale ulteriore riscontro a quanto già accertato e provato aliunde in sede di procedimento tributario (cfr. Cass. n. 3526/2002) od avere un valore probatorio proprio degli elementi indiziari, i quali possono concorrere a formare il convincimento del giudice, ma non sono idonei a costituire, da soli, il fondamento della decisione (Corte Cost. sent. n. 18 del 2000, cfr. anche Cass. nn. 903/2000, 4269/2000)”.
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Sentenza n. 12763 del 10 giugno 2011 (ud. del 2 febbraio 2011), con cui la Corte di Cassazione ha ritenuto che il divieto di assunzione di talune fonti di prova (giuramento e prova testimoniale) non implica l’inutilizzabilità delle dichiarazioni raccolte dall’Amministrazione (ovvero rese in favore del contribuente) nella fase procedimentale e rese da soggetti terzi rispetto al rapporto giuridico d’imposta, dovendosi attribuire alle medesime valenza di elementi indiziari che, qualora rivestano i caratteri di gravità, precisione e concordanza, possono assumere natura di presunzione anche ove desumibili dall’utilizzo come fonte di atti di un giudizio civile o penale. Dalla sentenza impugnata si evince che il giudice di appello pone a base della sua decisione, essenzialmente, l’affermazione secondo cui “l’accertamento … appare … non motivato e privo degli elementi necessari per sostenerlo, anche perchè, per la determinazione del reddito l’Ufficio si è basato sulle dichiarazioni rese nel corso delle indagini da soggetti terzi, ed in particolare da quelle rilasciate da tale Circo Pasquale, dichiarazioni che non possono trovare ingresso nel processo tributario stante l’esplicito divieto posto alla testimonianza dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 7”. Il richiamo a tale “divieto” evidenzia la mancata considerazione delle “dichiarazioni rese nel corso delle indagini da soggetti terzi” e, quindi, in sostanza, la (volontariamente, perchè ritenuta oggetto di allegazione inutilizzabile) omessa considerazione degli elementi probatori offerti dall’Ufficio a suffragio della sua pretesa fiscale, anche quanto all’esistenza di una società di fatto tra padre e figlio. Siffatto richiamo, per la Corte, mostra, altresì, l’erronea ricognizione dell’effettiva latitudine della norma di cui al comma 4 (numerazione originaria) del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 7, (per il quale nel processo tributario “non sono ammessi il giuramento e la prova testimoniale“) essendo pacifico nella giurisprudenza di questa Corte (cfr., da ultimo, Cass., trib., 10 marzo 2010 n. 5746, la quale richiama Cass. n. 903 del 2002 e n. 9402 del 2007, ex multis) che il “divieto” detto, diversamente da quanto ritenuto nella sentenza impugnata, “si riferisce” soltanto “alla prova testimoniale da assumere nel processo” (“che è necessariamente orale, di solito ad iniziativa di parte, richiede la formulazione di specifici capitoli, comporta il giuramento dei testi, e riveste, conseguentemente, un particolare valore probatorio“) ma “non implica … l’inutilizzabilità, ai fini della decisione, delle dichiarazioni raccolte dall‘Amministrazione nella fase procedimentale e rese da terzi e cio
è da soggetti terzi rispetto al rapporto tra il contribuente – parte e l’Erario“: “tali dichiarazioni“, infatti, hanno comunque “il valore probatorio proprio degli elementi indiziari” per cui “danno luogo a presunzioni” (costituenti prove dei fatti ex art. 2727 c.c. e ss.) “qualora rivestano i caratteri di gravità, precisione e concordanza di cui all’art. 2729 c.c.”. La “natura e la valenza di elementi indiziari, nel processo tributario, del contenuto delle dichiarazioni” dette, inoltre, “non muta” sia che la “acquisizione delle dichiarazioni di terzi sia realizzata in via diretta in fase di verifica” sia nel caso in cui si utilizzino “come fonte gli atti di un giudizio civile o penale“. Il giudice tributario, infatti (Cass., trib., 14 maggio 2010 n. 11785), “nell’esercizio dei propri autonomi poteri di valutazione … del materiale probatorio acquisito agli atti (art. 116 c.p.c.)“, deve (“in ogni caso“) verificare la “rilevanza” di quel “materiale” (anche di quello penale) nello “ambito specifico” (tributario) “in cui esso è destinato ad operare“.
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Sentenza n. 21813 del 5 dicembre 2012 (ud. 29 ottobre 2012), secondo cui le dichiarazioni del terzo, acquisite dalla G.d.F. e trasfusenel p.v.c., a sua volta recepito dall’avviso diaccertamento, “hanno valore indiziario, concorrendo a formare ilconvincimento del giudice (C. 9876/11). Il tutto, se riveste i caratteriall’art. 2729 c.c., da luogo a presunzioni semplici (D.P.R. n. 600, art. 39,e D.P.R. n. 633, art. 54), generalmente ammissibili nel contenziosotributario, nonostante il divieto di prova testimoniale (C. 9402/07)… Le dichiarazioni, invece, dei terzi raccolte da verificatori o finanzieri e inserite, anche per riassunto, nel processo verbale di constatazione, hanno natura di mere informazioni acquisite nell’ambito di indagini amministrative e sono, pertanto, pienamente utilizzabili quali elementi di convincimento (cfr. C. 20032/11)”, fermo restando che, in base al principio del giusto processo e della parità di armi processuali tra le parti, “è riconosciuta ampia facoltà di prova contraria, potendosi il contribuente avvalersi, se lo ritenga, anche di analoghi mezzi conoscitivi da riversare nel processo (C. Cost. 109/07)”.
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Sentenza n. 7714 del 27 marzo 2013 con cui la Corte di Cassazione ribadisce che nell’ambito del processo tributario ciò che è vietato è soltanto la diretta assunzione, da parte del giudice tributario, nel contraddittorio delle parti, della narrazione dei fatti della controversia compiuta da un terzo, che assume – in forza delle norme del codice di rito – la qualità di testimone. Tale narrazione, invero, in quanto richiedente la formulazione di specifici capitoli e la prestazione di un giuramento da parte del terzo assunto quale teste, acquista un particolare valore probatorio (Cass. 903/02, 20032/11), ma, al contempo, richiede un maggiore dispendio di tempo e di attività processuali delle parti. “Di contro, è di piena evidenza che siffatto divieto non può considerarsi operativo per la diversa fonte di prova – connotata da una maggiore immediatezza di percezione del contenuto probatorio da parte del giudicante – costituita dal documento che racchiude le dichiarazioni del terzo. Sul piano generale, invero, tale diversità si rivela anzitutto sotto il profilo materiale e sostanziale, dando vita il documento ad un’entità che, a differenza dell’altra, sì concreta in una res cartacea, e non in un soggetto dichiarante. Trattasi, inoltre, di una fonte di prova diversa dalla testimonianza anche sul piano processuale, essendo la prova documentale soggetta ad una disciplina differenziata da quella della prova testimoniale, poiché finalizzata – a differenza di quest’ultima, che richiede il compimento delle diverse attività di deduzione, ammissione ed assunzione (artt. 244 e ss. c.p.c.) – ad assicurarne esclusivamente la corretta “produzione” nel giudizio, nel rispetto del principio del contraddittorio e del diritto di difesa delle parti (art. 24, co. 1 d.lgs. 546/92, art. 87 disp. att. c.p.c). Le cennate differenze sostanziali e processuale esistenti tra le due fonti di prova, dunque, ne giustificano ampiamente la differente regolamentazione anche nel processo tributario, nel quale il documento, oltre ad essere producibile – come dianzi detto – anche in appello, sì sottrae, altresì, al divieto di utilizzazione anche nel giudizio di primo grado, che concerne esclusivamente la prova testimoniale”.
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Sentenza n. 9552 del 19 aprile 2013 (ud. 25 settembre 2012) dove la Corte di Cassazione ha ritenuto che le “informazioni testimoniali” hanno valore indiziario e non si pongono in contrasto con l’art. 7 del D.Lgs. n. 546/92. Nel caso specifico, trattasi di dichiarazioni rese dal contabile di una società fornitrice. Osserva il collegio “che il divieto di ammissione della prova testimoniale nel giudizio davanti alle commissioni tributarie, sancito dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 4, comma 4, si riferisce alla prova testimoniale da assumere nel processo – che è necessariamente orale, di solito ad iniziativa di parte, richiede la formulazione di specifici capitoli, comporta il giuramento dei testi, e riveste, conseguentemente, un particolare valore probatorio -, e non implica, pertanto, l’inutilizzabilità, ai fini della decisione, delle dichiarazioni raccolte dall’Amministrazione nella fase procedimentale e rese da ‘terzi’, e cioè da soggetti terzi rispetto al rapporto tra il contribuente-parte e l’Erario”. La Corte definisce tali dichiarazioni come “informazioni testimoniali”, che “hanno il valore probatorio proprio degli elementi indiziari, e devono pertanto essere necessariamente supportate da riscontri oggettivi (Corte cost., sentenza n. 18 del 2000) (Cass. 2002/903; cfr. Cass. 2005/16032; 2011/20032)”.
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Ordinanza n. 10252 del 2 maggio 2013 (ud. 27 febbraio 2013) dove la Corte di Cassazione, richiamando un proprio precedente, ribadisce che “il divieto di ammissione della prova testimoniale nel giudizio davanti alle commissioni tributarie, sancito dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 4, comma quarto, si riferisce alla prova testimoniale da assumere nel processo – che è necessariamente orale, di solito ad iniziativa di parte, richiede la formulazione di specifici capitoli, comporta il giuramento dei testi, e riveste, conseguentemente, un particolare valore probatorio -, e non implica, pertanto, l’inutilizzabilità, ai fini della decisione, delle dichiarazioni raccolte dall’Amministrazione nella fase procedimentale e rese da ‘terzi’, e cioè da soggetti terzi rispetto al rapporto tra il contribuente – parte e l’Erario. Tali informazioni testimoniali hanno il valore probatorio proprio degli elementi indiziari, e devono pertanto essere necessariamente supportate da riscontri oggettivi (così, tra le varie, Cass. 903/02)”.
4 dicembre 2013
Roberta De Marchi