Il commercialista ed il cliente che non paga: qual è il corretto comportamento professionale?

In questo momento di grave crisi economica è sempre più frequente il problema di incassare le parcelle per attività svolta a favore di clienti morosi: qual è il corretto comportamento professionale da tenere in queste situazioni

commercialista ed il cliente che non pagaCommercialisti sospesi tra obblighi del dovere e monitoraggio dei flussi finanziari indispensabili per il mantenimento della struttura professionale.

Il vincolo nella gestione degli adempimenti imposti dal legislatore suggerisce normalmente ai Colleghi la prosecuzione del mandato anche in virtù di eventuali profili di responsabilità per inadempimenti che potrebbero essere valutati alla stregua del dovere di diligenza.

La morosità del cliente legittima, in ogni caso, il recesso o la sospensione del servizio di assistenza contabile dopo aver dato un ampio preavviso. Regole deontologiche e possibili profili penali impongono, tuttavia, la restituzione della documentazione contabile e societaria.

[NdR: vedi anche: Mancato pagamento Ri.Ba. ai fornitori: segnalazione alla Centrale Rischi? – FAQ del Commercialista telematico]

La tenuta delle scritture contabili: obbligo di diligenza

A seguito del conferimento dell’incarico si instaura tra il depositario delle scritture contabili ed il cliente un rapporto che attribuisce a quest’ultimo la pretesa di esigere lo svolgimento della specifica attività oggetto del contratto, a fronte di una controprestazione in denaro.

Il consulente ha nei confronti del proprio cliente una responsabilità di natura contrattuale che determina, in caso di inadempimento, l’obbligo da parte del consulente di risarcire i danni subiti dal cliente1.

Ci si chiede quindi a quali condizioni può essere ravvisata la responsabilità del commercialista che assiste il cliente nella gestione degli adempimenti considerato che in questa ipotesi si può ritenere, in linea di principio, che trattasi di una obbligazione di mezzi e non di risultato2.

La normativa di riferimento risiede nel testo dell’art. 1176, c. 2, c.c. – rubricato ‘Diligenzanell’adempimento’ – secondo cui

“nell’adempimento delle obbligazioni inerenti all’esercizio di un’attività professionale, la diligenza deve valutarsi con riguardo alla natura dell’attività esercitata”.

Con riferimento al grado di diligenza che il professionista deve impiegare nello svolgimento della sua attività appaiono indicative le conclusioni raggiunte dalla sentenza della Suprema Corte di Cassazione sezione III, Sentenza n. 18612, del 5 agosto 2013, secondo cui

“… ai fini del giudizio di responsabilità nei confronti del professionista, rilevano le modalità dello svolgimento della sua attività in relazione al parametro della diligenza fissato dall’art. 1176 c.c., comma 2, che è quello della diligenza del professionista di media attenzione e preparazione. “.

Adempimento delle proprie obbligazioni

In termini generali la circostanza che il cliente non abbia pagato la parcella riferita all’assistenza contabile non può essere posta quale condizione, dal consulente, per il corretto adempimento delle proprie obbligazioni.

Secondo l’accezione comune un professionista non potrebbe rifiutarsi di aggiornare la contabilità di un proprio cliente (per esempio una società) adducendo come giustificazione il fatto che quest’ultimo sia moroso verso il professionista stesso.

Nonostante l’insolvenza del cliente il commercialista potrebbe, infatti, essere tenuto a risarcire i danni derivanti dal mancato rispetto di obblighi fiscali e/o contributivi dello stesso suo cliente, in virtù del mancato rispetto dell’obbligo di diligenza professionale.

Lo stesso dicasi per la mancata attività di trasmissione telematica del modello UNICO che, per i suoi caratteri meramente materiali, è stata ritenuta dal alcuni autori espressiva di obbligazione di risultato3.

In sostanza, l’aver affidato ad altri l’incarico della tenuta delle scritture contabili, non esonera la società dal dovere di controllare che il compito sia stato portato a termine puntualmente e correttamente(Corte di Cassazione 12/09/1989, Sentenza n. 12071); tuttavia il consulente potrebbe essere:

  • passibile di azione civile da parte del cliente (pur se inadempiente) per violazione dell’obbligo di diligenza,
  • individuato quale concorrente nell’illecito costituito dalla violazione di irregolare tenuta della contabilità (Corte di Cassazione, 14/02/2011, Sentenza n. 3651) obbligo che fa capo alla società.

Recesso (e sospensione) dell’assistenza contabile

Cosa fare quindi quando un cliente non paga, nonostante l’invio della fattura o della notula per le prestazioni rese?

In questi casi il professionista può esercitare, ai sensi dell’art. 1373 c.c. il recesso unilaterale dal contratto di assistenza che si concretizza nella manifestazione di volontà con cui una parte contrattuale produce lo scioglimento totale o parziale del rapporto giuridico.

Secondo il codice civile, infatti, se a una delle parti è attribuita la facoltà di recedere dal contratto, tale facoltà può essere esercitata finché il contratto non abbia avuto un principio di esecuzione. Nei contratti a esecuzione continuata o periodica, tale facoltà può essere esercitata anche successivamente, ma il recesso non ha effetto per le prestazioni già eseguite o in corso di esecuzione.

In virtù delle presumibili pattuizioni contrattuali apposte nell’accordo di tenuta delle scritture contabili, il consulente provvederà alla messa in mora del cliente mediante invio di una lettera raccomandata con avviso di ricevimento nella quale si solleciterà il pagamento dell’importo dovuto dando un termine per l’adempimento.

Tale preavviso consente al cliente di rivolgersi a un altro commercialista onde provvedere per tempo ai propri impegni con l’erario.

Decorso il temine il cliente (se non paga) è sicuramente insolvente ed il consulente avrà certamente la possibilità di agire poi in tribunale per ottenere il dovuto.

Sospensione dell’assistenza contabile

Oltre all’ipotesi di recesso unilaterale la sospensione dell’assistenza per la tenuta della contabilità e nell’espletamento degli adempimenti fiscali e contributivi può essere attivata dal consulente, anche al verificarsi delle condizioni previste dagli artt. 1460 e 1461 c.c. dettati rispettivamente in materia di eccezione di inadempimento e mutamento nelle condizioni patrimoniali dei contraenti.

Nei contratti con prestazioni corrispettive, ciascuno dei contraenti, infatti, può rifiutarsi di adempiere la sua obbligazione, se l’altro non adempie o non offre di adempiere contemporaneamente la propria, salvo che termini diversi per l’adempimento siano stati stabiliti dalle parti o risultino dalla natura del contratto. Ed ancora ciascun contraente può sospendere l’esecuzione della prestazione da lui dovuta, se le condizioni patrimoniali dell’altro sono divenute tali da porre in evidente pericolo il conseguimento della controprestazione, salvo che sia prestata idonea garanzia.

La conoscenza per via diretta della <cartella clinica economica> del cliente, agevola in questo senso il consulente consentendogli di eccepire il (probabile) inadempimento e tutelarsi, cautelativamente, in assenza del previo intervento del Giudice.

Come osservato in dottrina (ROPPO) l’eccezione di inadempimento, rispetto al recesso unilaterale ex art. 1373 c.c. è un rimedio non distruttivo, bensì solo sospensivo, del rapporto contrattuale: essa si può attivare quando la parte che eccepisce ha ancora interesse all’esecuzione e al mantenimento del rapporto contrattuale (poiché, ove invece l’inadempimento di controparte sia definitivo, il rimedio corretto sarà la risoluzione del contratto).

In giurisprudenza è stato, tra l’altro, affermato che l’esercizio dell’eccezione d’inadempimento ex art. 1460 c.c.:

  • trova applicazione anche con riferimento ai contratti ad esecuzione continuata o periodica (cfr. Corte di Cassazione, 10/1/1981, n. 213), nonché in presenza di contratti collegati (Corte di Cassazione, 17/3/2006, n. 5938; Corte di Cassazione 28/5/2003, n. 8467)
  • prescinde dalla responsabilità della controparte, atteso che è meritevole di tutela l’interesse della parte a non eseguire la propria prestazione senza ricevere la controprestazione, al fine di evitare di venire ad essere posta in una situazione di diseguaglianza rispetto alla controparte. E ciò pure allorquando il mancato adempimento della prestazione dipende dalla sopravvenuta relativa impossibilità per causa non imputabile al debitore (Corte di Cassazione 16/2/2006, n. 3440).

Anche in questa ipotesi, l’interruzione momentanea della prestazione periodica o continuativa andrebbe certamente preceduta dall’ invio di una lettera raccomandata con avviso di ricevimento ove il professionista avviserà il cliente di voler esercitare il suo diritto di sospendere l’adempimento della sua obbligazione.

Morosità del cliente e ritenzione della documentazione contabile e societaria

Ci si chiede, a questo punto, se il mancato pagamento degli onorari consenta al professionista di trattenere i documenti ed i libri contabili del cliente fino all’integrale soddisfacimento della pretesa.

Diciamo subito che a norma dell’articolo 2235 del codice civile, il prestatore d’opera non può ritenere le cose e i documenti ricevuti, se non per il periodo strettamente necessario alla tutela dei propri diritti secondo le leggi professionali.

Nella motivazione di un isolato precedente di legittimità in materia è stato affermato che l’art. 2235 c.c.

ponendo una regola ed una eccezione quanto al diritto di ritenzione dei documenti, non può riguardare che il periodo successivo all’esaurimento della prestazione dovuta e, più precisamente, il periodo in cui deve procedersi alla liquidazione degli onorari al professionista” con la precisazione che tale norma “ha per scopo precipuo di limitare quella autotutela del diritto al pagamento degli onorari che potrebbe derivare dalla ritenzione dei documenti” (cfr. Corte di Cassazione,16/02/1965 n. 241)

Relativamente alle professioni <contabili> il previgente art. 49, comma primo del D.P.R. 27/10/1953, n. 1067, prevedeva che “I dottori commercialisti non possono (potessero) ritenere gli atti, i documenti e le scritture ricevute dai clienti allegando il mancato pagamento degli onorari e dei diritti loro dovuti o il mancato rimborso delle spese da essi sostenute”. Tuttavia il secondo comma del citato art. 49, D.P.R. n. 1067/53, assicurava una forma di tutela dell’iscritto all’Ordine professionale regolamentando una procedura di conciliazione4 secondo cui

Su reclamo dell’interessato il Consiglio ordina(va) al dottore commercialista di depositare gli atti, i documenti e le scritture nella propria sede e si adopera(va) per la composizione amichevole della vertenza”.

In vigenza di tale disposizione l’omessa consegna della documentazione al cliente <moroso> da parte del professionista generava l’irrogazione di sanzione disciplinare da parte dell’Ordine di appartenenza ed esponeva il consulente anche a procedure giudiziali ingiuntive per la restituzione di tutti5 i documenti (consegnati dal cliente o predisposti dal professionista nell’esercizio dell’attività professionale) da parte del cliente stesso.

Senonché, l’art. 76 del D.P.R. 28/05/2005, n. 1067, ha abrogato il D.P.R. 27/10/1953, n. 1067: sono state quindi eliminate le norme che vietavano al dottore commercialista ed al ragioniere di ritenere le scritture contabili, i libri sociali e la documentazione di supporto del cliente.

La soppressione di tali decreti e la mancanza di una disposizione analoga nel testo del D.lgs. n. 139 del 2005, pone notevoli incertezze6 sulla legittimità (o meno) di un comportamento posto in essere dal consulente che trattiene in studio le <carte> del cliente inadempiente fino al soddisfacimento del credito, considerata la rilevanza della condotta esclusivamente sul piano deontologico e non su quello civilistico.

In tal senso, il testo dell’art. 25 del Codice deontologico Consiglio Nazionale Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili approvato il 9/7/2008 ed aggiornato al 01/09/2010, esclude che il dottore commercialista possa ritenere i documenti e gli atti per il mancato pagamento degli onorari o per il mancato rimborso delle spese anticipate7.

In definitiva, trattenere la documentazione del cliente moroso fino al pagamento dell’onorario non esporrebbe più (il condizionale è d’obbligo) il commercialista o il ragioniere ad ingiunzioni giudiziarie per la consegna dei documenti ma unicamente a sanzioni disciplinari irrogabili da parte dell’Ordine di appartenenza.

Tuttavia, se apparirebbe (in via ipotetica e meramente interpretativa) scongiurato il pericolo di procedibilità della azione giudiziaria in sede civile nei confronti del professionista, la violazione dell’obbligo di restituzione di libri contabili e documenti potrebbe configurare profili penali quali la consumazione del reato di appropriazione indebita ai sensi dell’art. 646 del codice penale.

A tal proposito appare eloquente la soluzione giurisprudenziale offerta dalla Corte di Cassazione, Sezione II Penale, nella sentenza24 febbraio – 12 giugno 2009, n. 24487, che ha ravvisato gli estremi del reato di cui all’art. 646 del codice penale nel comportamento di un professionista (odontoiatra) che si era rifiutato di riconsegnare alla paziente una radiografia con la giustificazione che la consegna sarebbe potuta avvenire solo previo pagamento dell’onorario.

In adesione all’impostazione elaborata dai Giudici penali non può negarsi che anche le fatture e gli altri documenti contabili e societari sono da considerare di proprietà del cliente. Ciò significa che la (impropria) detenzione della documentazione per finalità diverse da quelle necessarie per lo svolgimento dell’assistenza contabile determinerebbe a nostro parere, in linea di diritto, ipotesi di appropriazione della cosa altrui integrando il reato di cui all’art. 646 del c.p.

 

10 dicembre 2013

Attilio Romano

 

NOTE

1Relativamente alla responsabilità del prestatore d’opera, l’art. 2236 c.c., evidenzia quanto segue “Se la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, il prestatore d’opera non risponde dei danni, se non in caso di dolo o colpa grave”. La Suprema Corte, in materia, ha stabilito che per la responsabilità professionale del prestatore d’opera intellettuale, la legge prevede un’attenuazione della normale responsabilità nei casi di problemi particolarmente complessi, nel senso che il professionista è tenuto al risarcimento del danno unicamente per dolo o colpa grave. L’art. 2236 c. c. limita dunque la responsabilità del prestatore d’opera, circoscrivendola ai soli casi di dolo o colpa grave, qualora il professionista si trovi di fronte a problemi tecnici di speciale difficoltà. Questi ultimi devono intendersi come quei casi, spesso oggetto di dibattiti e studi dagli esiti tra loro opposto, caratterizzati dalla straordinarietà e particolare eccezionalità del loro manifestarsi, dalla novità della loro emersione, e che come tali non possono esser ricompresi nell’ambito del sapere più ordinario.

2 Al contrario, per le attività squisitamente <professionali> si può supporre la sussistenza in casi specifici, di un’obbligazione di risultato. Infatti, recenti decisioni del S.C. hanno posto in crisi la tradizionale distinzione fra obbligazioni di mezzi ed obbligazioni di risultato (cfr. Cass. 26 febbraio 2002, cit. con riguardo all’ipotesi di responsabilità da parere stragiudiziale decettivo). Ed ancora lo studio di una pratica per trovare una soluzione al fine di ottenere il riconoscimento di una qualifica superiore (Cass. 230/2010), ovvero la mancata informazione, in sede di parere stragiudiziale, della possibilità che venga eccepita la prescrizione (Cass. 16023/2002), o la decadenza dalle prove (Cass. 5325/1993).

3 V. CONFORTI – R. CACCAVO, La responsabilità del commercialista per le violazioni commesse nell’attività di consulenza e assistenza professionale, www.diritto.it.

4Sebbene la norma prevedesse in via di principio la procedura ad iniziativa del cliente, prassi interpretativa ormai consolidata faceva ritenere ammissibile anche il deposito ad iniziativa del professionista. Per quanto attiene poi il tempo in cui i documenti potevano rimanere depositati presso l’Ordine si riteneva che, in considerazione della formulazione del secondo comma dell’articolo 49 del D.P.R. n. 1067/53, i documenti potevano essere ritenuti fino a quando il Consiglio dell’Ordine si fosse adoperato per la composizione amichevole della controversia. Esperito il tentativo di conciliazione, indipendentemente dal suo esito, l’Ordine avrebbe dovuto provvedere alla restituzione dei documenti al loro legittimo proprietario.

5 Tribunale di Reggio Emilia 13.11.2002 citata da I.P. CIMINO, Manuale Operativo per la tutela del credito, HALLEY Editrice.

6 Cfr. I.P. CIMINO, op. cit.

7 Regole diverse operano per colo che esercitano professione legale L’art. 42 del Codice deontologico della professione di Avvocato, <Restituzione di documenti>, prevede al primo comma, dapprima, che: L’avvocato è in ogni caso obbligato a restituire senza ritardo alla parte assistita la documentazione dalla stessa ricevuta per l’espletamento del mandato quando questa ne faccia richiesta, ma – al secondo comma – che il medesimo può trattenere copia della documentazione, senza il consenso della parte assistita, solo quando ciò sia necessario ai fini della liquidazione del compenso e non oltre l’avvenuto pagamento. In tal senso cfr. Cassazione Civile SS.UU. Sentenza 8/2/2011, n. 3033.
Vedi anche: Cliente che non paga: proposta dal CNDC l’autocancellazione del professionista come depositario delle scritture contabili