La responsabilità degli amministratori dell'associazione (sportiva e non)

il diritto commerciale prevede che gli amministratori di un’associazione non riconosciuta siano responsabili solidalmente ed illimitatamente delle obbligazione assunte in nome e per conto dell’associazione

L’art. 38 c.c. prevede che delle obbligazioni assunte dalle persone che rappresentano l’associazione non riconosciuta risponde tanto l’associazione con il proprio fondo che personalmente e solidalmente le persone che hanno agito in nome e per conto dell’associazione medesima.

Le condizioni necessarie affinché sorga la responsabilità personale e solidale, prevista ex art. 38 c.c., in capo agli amministratori delle associazioni non riconosciute, per le obbligazioni fiscali facenti capo all’ente sono le seguenti .

La responsabilità personale e solidale, prevista dall’art. 38 c.c., di colui che agisce in nome e per conto dell’associazione non riconosciuta non è collegata alla mera titolarità della rappresentanza dell’associazione stessa,bensì all’attività negoziale concretamente svolta per suo conto e risoltasi nella creazione di rapporti obbligatori fra l’ente ed i terzi. La responsabilità personale e solidale di colui che agisce in nome e per conto dell’associazione non riconosciuta ai sensi dell’art. 38 c.c., non è collegata alla mera titolarità della rappresentanza formale dell’associazione ovvero il legale rappresentante non risponde in automatico ma si fonda sull’attività negoziale concretamente svolta e sulle obbligazioni assunte verso i terzi che hanno confidato sulla solvibilità e sul patrimonio di chi ha concretamente agito, si applica anche ai debiti di natura tributaria (Cass. civ. Sez. V, 10-09-2009, n. 19486).

Tale responsabilità non concerne, neppure in parte, un debito proprio dell’associato, ma ha carattere accessorio, anche se non sussidiario, rispetto alla responsabilità primaria dell’associazione, con la conseguenza che l’obbligazione, avente natura solidale, di colui che ha agito per essa è inquadrabile fra quelle di garanzia ex lege, assimilabili alla fideiussione (cfr., ex plurimis, Cass. 25748/08, 29733/11). La responsabilità personale e solidale, prevista dall’art. 38 c.c., di colui che agisce in nome e per conto dell’associazione non riconosciuta non è collegata alla mera titolarità della rappresentanza dell’associazione, bensì all’attività negoziale concretamente svolta per conto di essa e risoltasi nella creazione di rapporti obbligatori fra questa e i terzi. Tale responsabilità non concerne, neppure in parte, un debito proprio dell’associato, ma ha carattere accessorio, anche se non sussidiario, rispetto alla responsabilità primaria dell’associazione stessa, con la conseguenza che l’obbligazione, avente natura solidale, di colui che ha agito per essa è inquadrabile fra quelle di garanzia ex lege.

La ratio della previsione di una responsabilità personale e solidale, in aggiunta a quella del fondo comune, delle persone che hanno agito in nome e per conto dell’associazione, è volta a contemperare l’assenza di un sistema di pubblicità legale riguardante il patrimonio dell’ente, con le esigenze di tutela dei creditori (che abbiano fatto affidamento sulla solvibilità e sul patrimonio di dette persone), e trascende, pertanto, la posizione astrattamente assunta dal soggetto nell’ambito della compagine sociale, ricollegandosi piuttosto ad una concreta ingerenza dell’agente nell’attività dell’ente (Cass. 5746/07).

Ne consegue, dunque, che chi invoca in giudizio tale responsabilità ha l’onere di provare la concreta attività svolta in nome e nell’interesse dell’associazione, non essendo sufficiente la prova in ordine alla carica rivestita all’interno dell’ente (cfr., ex plurimis, Cass. 26290/07, 25748/08). Il principio suesposto, in riferimento alla responsabilità solidale, exart. 38 c.c., di coloro che agiscono in nome per conto dell’associazione non riconosciuta, ponendo in essere, a prescindere dalla rappresentanza formale dell’ente, la concreta attività negoziale riferibile all’associazione stessa, è ritenuto applicabile anche ai debiti di natura tributaria (v. Cass. 16344/08, 19486/09), pur senza trascurare, tuttavia, una caratteristica fondamentale che connota siffatte obbligazioni. Il principio in questione non esclude, peraltro, che per i debiti d’imposta, i quali non sorgono su base negoziale, ma ex lege al verificarsi del relativo presupposto, sia chiamato a rispondere solidalmente, tanto per le sanzioni pecuniarie quanto per il tributo non corrisposto, il soggetto che, in forza del ruolo rivestito, abbia diretto la complessiva gestione associativa nel periodo considerato. Ciò nondimeno, il richiamo all’effettività dell’ingerenza – implicito nel riferimento all’aver “agito in nome e per conto dell’associazione“, contenuto nell’art. 38 c.c., vale a circoscrivere la responsabilità personale del soggetto investito di cariche sociali alle sole obbligazioni che siano concretamente insorte nel periodo di relativa investitura (v. Cass. 5746/07).

La responsabilità per le obbligazioni sociali, anche di natura tributaria, deve essere circoscritta a quelle sole obbligazioni che siano insorte nel periodo di relativa investitura di ciascun componente del consiglio direttivo (Cass. 5746/07). Ed infatti, posto che la rappresentanza dell’ente spetta in via di principio al legale rappresentante exart. 36 c.c., e che il consiglio direttivo ha, di conseguenza, per lo più compiti consultivi del presidente, l’assunzione della qualità di soggetto passivo di imposta a carico di ciascun singolo componente di detto organo direttivo, richiede la prova dell’effettiva insorgenza delle obbligazioni in discussione nel periodo di investitura di ciascuno del predetti componenti del consiglio direttivo. Poichè, invero, la responsabilità personale di ciascuno dei suddetti soggetti è circoscritta al periodo in cui la sua ingerenza nell’attività dell’ente, per l’investitura nella carica sociale, deve considerarsi effettiva, costituisce onere dell’Ufficio provare tale circostanza (Cass. 25748/08), in quanto costitutiva del proprio diritto ad azionare la pretesa nei confronti dello stesso soggetto. La responsabilità ex art. 38 c.c. non può sussistere sic et simpliciter in capo a chi rappresenta legalmente l’associazione a prescindere dalla prova che il titolare della carica abbia agito in concreto o meno per conto dell’ente (Corte di Cassazione, Sent. n. 16486/2009).

Il rappresentante legale non è automaticamente responsabile dei tributi non versati all’erario. Sarà il fisco a dover provare, al di là della qualifica formale, il coinvolgimento del vertice nelle irregolarità con la dichiarazione o con le fatture.Chi invoca in giudizio tale responsabilità ha l’onere di provare la concreta attività svolta in nome e nell’interesse dell’associazione, non essendo sufficiente la sola prova in ordine alla carica rivestita all’interno dell’ente. Gli organi rappresentativi rispondono quindi personalmente degli atti compiuti, e cioè di quegli atti che abbiano compiuto esercitando il loro potere rappresentativo.La sola circostanza di detenere una carica sociale o di avere partecipato alla delibera dell’atto non involge la corresponsanbilità per i debiti dell’ente (sent. n. 236/1978 Cass. sent. n. 236/1978): “la responsabilità solidale e personale che grava su coloro che agiscono per nome e per conto dell’associazione a norma dell’art.38 c.c., non è connessa genericamente alla veste di rappresentante, bensì si verifica solo in relazione all’attività spiegata in concreto dai singoli agenti e nei limiti degli impegni da essi effettivamente assunti in nome e per conto dell’associazione, ed il vincolo solidale che ne deriva riguarda solo le persone che abbiano agito in relazione ad un determinato atto o negozio, fonte diretta di responsabilità patrimoniale“. La responsabilità prevista dall’articolo 38 del codice civile sorge a carico delle persone fisiche che hanno svolto attività negoziale manifestando ai terzi la volontà dell’ente collettivo. Questa responsabilità solidale, come ripetutamente affermato dalla Corte suprema (27/12/1991, n. 13946; 6/8/2002, n. 11759; 7/12/2004, n. 11759), non concerne un debito proprio dell’associato ma ha carattere accessorio rispetto alla responsabilità primaria dell’associazione, che realizza la propria garanzia patrimoniale attraverso il fondo comune (art. 37 c.c.). Ne consegue che l’obbligazione, di natura solidale, di colui che ha agito per la associazione costituisce obbligazione di garanzia ex lege, assimilabile alla fideiussione. La responsabilità, di cui all’articolo 38 del codice civile, delle persone che hanno agito in nome e per conto dell’associazione non riconosciuta, non grava su tutti coloro che, essendo successivamente a capo di questa, ne assumano la rappresentanza, ma riguarda esclusivamente le persone suddette, a tutela dei terzi che con esse siano venute in rapporto negoziale, facendo affidamento sulla loro solvibilità e sul loro patrimonio personale, sicché il semplice avvicendarsi nelle cariche sociali del sodalizio non comporta alcun fenomeno di successione nel debito. Il titolo di responsabilità testè richiamato non discende dalla mera titolarità di una carica associativa. Non è rilevante che l’azione del creditore sia proposta dopo la cessazione della carica di presidente dell’associazione medesima. Il presidente di un sodalizio non riconosciuto è passivamente legittimato all’azione del creditore anche dopo la cessazione della carica con riguardo alle obbligazioni risalenti al periodo in cui egli aveva esercitato le funzioni di presidente (Cass. civ. Sez. III, 12-01-2005, n. 455).

La responsabilità personale e solidale di colui che agisce in nome e per conto di un’associazione non riconosciuta (collegata non alla mera titolarità della rappresentanza dell’associazione, ma all’attività negoziale concretamente svolta per conto di essa, concretantesi nella creazione di rapporti obbligatori fra questa ed i terzi) non è riferibile, neppure in parte, ad un’obbligazione propria dell’associato, ma ha carattere accessorio rispetto alla responsabilità primaria dell’associazione stessa, di talché detta obbligazione (di natura solidale) è legittimamente inquadrabile fra quelle di garanzia ex lege, assimilabili alla fideiussione. Ne consegue che tale responsabilità grava esclusivamente sui soggetti che hanno agito in nome e per conto dell’associazione, attesa l’esigenza di tutela dei terzi che, nell’instaurazione del rapporto negoziale, abbiano fatto affidamento sulla solvibilità e sul patrimonio dei detti soggetti, non potendo il semplice avvicendamento nelle cariche sociali del sodalizio comportare alcun fenomeno di successione nel debito in capo al soggetto subentrante, con esclusione di quello che aveva in origine contratto l’obbligazione. In tema di responsabilità per le obbligazioni assunte in nome e per conto di un’associazione non riconosciuta, atteso che ai sensi dell’art. 38 c.c. il soggetto che abbia concretamente agito deve essere riconosciuto responsabile in via personale e solidale con l’associazione stessa, non sussiste il beneficio della preventiva escussione di quest’ultima, in quanto la medesima norma prevede per il creditore solo la possibilità, ma non l’obbligo, di far valere i propri diritti sul fondo comune (Trib. Bologna Sez. II, 14-02-2011).

La responsabilità solidale prevista dall’art. 38 c.c. per colui che ha agito in nome e per conto dell’associazione non riconosciuta non concerne, neppure in parte, un debito proprio dell’associato, ma ha carattere accessorio, anche se non sussidiario, rispetto alla responsabilità primaria dell’associazione stessa; consegue che l’obbligazione, avente natura solidale, di colui che ha agito per essa è inquadrabile fra quelle di garanzia ex lege, assimilabili alla fideiussione, e che il diritto del terzo creditore è assoggettato alla decadenza di cui all’art. 1957 c.c. secondo i principi riguardanti la fideiussione solidale, per cui non si richiede la tempestiva escussione del debitore principale ma, ad impedire l’estinzione della garanzia, è indispensabile che il creditore eserciti tempestivamente l’azione nei confronti, a sua scelta, del debitore principale o del fideiussore (Cass. civ. Sez. III, 07-12-2004, n. 22982).

 

12 ottobre 2013

Ignazio Buscema

 

Allegato

Cass. civ. Sez. V, Sent., 06-09-2013, n. 20485

FattoDirittoP.Q.M.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ADAMO Mario – Presidente –

Dott. VALITUTTI Antonio – rel. Consigliere –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. PERRINO Angelina Maria – Consigliere –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 10566/2009 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

– ricorrente –

contro

C.N., P.M., C.F., C.G. C.;

– intimati –

Nonchè da:

P.M., C.N., C.G.C., C. F., elettivamente domiciliati in ROMA VIA SIMON BOCCANEGRA 8, presso lo studio dell’avvocato CATANIA ANTONINO, che li rappresenta e difende giusta delega in calce;

– controricorrenti incidentali –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE;

– intimato –

avverso la sentenza n. 308/2007 della COMM. TRIB. REG. di ROMA, depositata il 10/03/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 09/04/2013 dal Consigliere Dott. ANTONIO VALITUTTI;

udito per il ricorrente l’Avvocato GUIDA che ha chiesto l’accoglimento;

udito per il controricorrente l’Avvocato CATANIA che ha chiesto il rigetto e accoglimento incidentale;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FIMIANI Pasquale, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso principale, inammissibilità incidentale.

 

Svolgimento del processo

1. Con sentenza n. 308/36/07, depositata il 10.3.08, la Commissione Tributaria Regionale del Lazio rigettava l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate – Ufficio di Civitavecchia avverso la decisione di primo grado con la quale era stato accolto il ricorso proposto da C.G.C., C.F., C.N. e P.M. nei confronti delle cartelle di pagamento, emesse dall’Amministrazione finanziaria ai fini IVA per l’anno di imposta 1997.

2. La CTR – confermando sul punto la decisione di primo grado – riteneva, invero, che i ricorrenti, in quanto non essendo amministratori dell’Associazione Culturale l’Altana, debitrice di imposta per omesse fatturazioni e registrazioni di fatture, ma solo soci del sodalizio, fossero sforniti di legittimazione passiva a fronte della pretesa tributaria azionata dall’Amministrazione finanziaria.

3. Per la cassazione della sentenza n. 308/36/07 ha proposto ricorso l’Agenzia delle Entrate articolando due motivi, ai quali i resistenti hanno replicato con controricorso, contenente, altresì, ricorso incidentale condizionato affidato a due motivi.

 

Motivi della decisione

1. A seguito di processo verbale di constatazione n. 102/99 – nel quale l’Ufficio accertava, nei confronti dell’Associazione Culturale l’Altana, la sussistenza di violazioni IVA per omesse fatturazioni e registrazioni relative all’anno di imposta 1997 – veniva notificato alla predetta associazione avviso di accertamento, cui faceva seguito, per mancato pagamento da parte dell’ente, la notifica di distinte cartelle esattoriali nei confronti di C.G. C., C.F., C.N. e P.M., considerati dall’Ufficio “soci e membri del consiglio direttivo dell’ente”.

1.1. Le suddette cartelle di pagamento venivano, quindi, impugnate dai destinatari, i quali eccepivano la loro carenza di legittimazione passiva a fronte della pretesa fiscale azionata nei loro confronti dall’Amministrazione finanziaria, essendo l’associazione cessata nel 1998, e non avendo essi istanti contratto obbligazioni in nome e per conto della medesima, ai sensi dell’art. 38 c.c..

1.2. Tali deduzioni dei ricorrenti venivano condivise dalla CTP di Roma, avverso la cui decisione, favorevole ai contribuenti, l’Agenzia delle Entrate proponeva appello, disatteso dalla CTR del Lazio.

Avverso la sentenza di seconde cure ha, pertanto, proposto ricorso per cassazione l’Amministrazione finanziaria, sulla base di due censure.

2. Con i due motivi di ricorso – che, per la loro intima connessione vanno esaminati congiuntamente – l’Agenzia delle Entrate denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 36 e 38 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè l’omessa motivazione su un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5.

2.1. Osserva, invero, l’Amministrazione ricorrente che il tale essendo l’Associazione Culturale l’Altana – in caso di cessazione dell’ente (nella specie verificatasi nell’anno 1998) e di decesso del presidente del sodalizio, dovrebbe cedere a carico, nell’impossibilità di investirne il legale rappresentante, non solo dei soci che abbiano agito in nome e per conto dell’ente, ma anche, in via personale e solidale, di coloro che ne abbiano avuto la direzione, per essere stati componenti del consiglio direttivo dell’associazione. Tale rilievo, mosso dall’Amministrazione ai contribuenti, sia nei rispettivi atti impositivi che nei due gradi di merito del giudizio, avrebbe dovuto, pertanto, indurre la CTR – ad avviso dell’Agenzia delle Entrate – a considerare i medesimi soggetti passivi d’imposta.

2.2. Tanto più che il giudice di appello avrebbe del tutto mancato di valutare – di qui il dedotto vizio di omessa motivazione – le risultanze del processo verbale di constatazione, dal quale si sarebbe desunto, in maniera evidente, che C.G.C., C.F., C.N. e P.M. erano, oltre che soci, membri del consiglio direttivo dell’ente, e perciò investiti di poteri di rappresentanza e direzione dell’Associazione Culturale l’Altana.

3. Il ricorso è infondato.

3.1. Va osservato, infatti, che – secondo il costante insegnamento di questa Corte – la responsabilità personale e solidale, prevista dall’art. 38 c.c., di colui che agisce in nome e per conto dell’associazione non riconosciuta non è collegata alla mera titolarità della rappresentanza dell’associazione stessa, bensì all’attività negoziale concretamente svolta per suo conto e risoltasi nella creazione di rapporti obbligatori fra l’ente ed i terzi. Si è, altresì, precisato – al riguardo – che tale responsabilità non concerne, neppure in parte, un debito proprio dell’associato, ma ha carattere accessorio, anche se non sussidiario, rispetto alla responsabilità primaria dell’associazione, con la conseguenza che l’obbligazione, avente natura solidale, di colui che ha agito per essa è inquadrabile fra quelle di garanzia “ex lege”, assimilabili alla fideiussione (cfr., ex plurimis, Cass. 25748/08, 29733/11).

3.2. D’altro canto, la ratio della previsione di una responsabilità personale e solidale, in aggiunta a quella del fondo comune, delle persone che hanno agito in nome e per conto dell’associazione, è volta a contemperare l’assenza di un sistema di pubblicità legale riguardante il patrimonio dell’ente, con le esigenze di tutela dei creditori (che abbiano fatto affidamento sulla solvibilità e sul patrimonio di dette persone), e trascende, pertanto, la posizione astrattamente assunta dal soggetto nell’ambito della compagine sociale, ricollegandosi piuttosto ad una concreta ingerenza dell’agente nell’attività dell’ente (Cass. 5746/07).

Ne consegue, dunque, che chi invoca in giudizio tale responsabilità ha l’onere di provare la concreta attività svolta in nome e nell’interesse dell’associazione, non essendo sufficiente la prova in ordine alla carica rivestita all’interno dell’ente (cfr., ex plurimis, Cass. 26290/07, 25748/08).

3.3. Il principio suesposto, in riferimento alla responsabilità solidale, ex art. 38 c.c., di coloro che agiscono in nome per conto dell’associazione non riconosciuta, ponendo in essere, a prescindere dalla rappresentanza formale dell’ente, la concreta attività negoziale riferibile all’associazione stessa, è stato – dipoi – ritenuto da questa Corte applicabile anche ai debiti di natura tributaria (v. Cass. 16344/08, 19486/09), pur senza trascurare, tuttavia, una caratteristica fondamentale che connota siffatte obbligazioni.

Si è – per vero – rilevato, in proposito, che il principio in questione non esclude, peraltro, che per i debiti d’imposta, i quali non sorgono su base negoziale, ma “ex lege” al verificarsi del relativo presupposto, sia chiamato a rispondere solidalmente, tanto per le sanzioni pe-cuniarie quanto per il tributo non corrisposto, il soggetto che, in forza del ruolo rivestito, abbia diretto la complessiva gestione associativa nel periodo considerato. Ciò nondimeno, il richiamo all’effettività dell’ingerenza – implicito nel riferimento all’aver “agito in nome e per conto dell’associazione”, contenuto nell’art. 38 c.c. – vale a circoscrivere la responsabilità personale del soggetto investito di cariche sociali alle sole obbligazioni che siano concretamente insorte nel periodo di relativa investitura (v. Cass. 5746/07).

3.4. Tutto ciò premesso, va rilevato che, nel caso concreto, la pretesa fiscale azionata nei confronti degli odierni resistenti non è in alcun modo fondata – come si evince sia dal ricorso che dalla memoria ex art. 378 c.p.c., dell’Agenzia delle Entrate – sul fatto che i medesimi abbiano svolto attività negoziale in nome e per conto dell’ente; circostanza, del resto, esclusa dalla stessa sentenza impugnata, non gravata sul punto dall’Amministrazione finanziaria. E neppure è controverso che nessuno di essi abbia mai rivestito la qualità di legale rappresentante del sodalizio, come – del pari – accertato dalla stessa sentenza di seconde cure.

3.5. In realtà, l’individuazione dei resistenti quali soggetti passivi dell’obbligazione tributaria azionata risulta effettuata dall’Agenzia delle Entrate sulla base del rilievo – smentito dall’impugnata sentenza, che li ha considerati come “semplici soci” – che i medesimi avrebbero assunto, in qualche modo, la direzione dell’associazione, per essere stati membri del consiglio direttivo dell’ente.

Ed a supporto di tale argomentazione, l’Amministrazione ha trascritto nel ricorso per cassazione le parti essenziali dell’atto di appello, nel quale la medesima evidenziava alla CTR che i destinatari delle cartelle di pagamento in contestazione “non erano semplici soci ma membri del consiglio direttivo e, perciò, investiti di poteri di rappresentanza e direzione dell’ente”. Siffatta qualità degli odierni resistenti si desumerebbe, invero, dal processo verbale di constatazione – del pari trascritto, in parte qua, nel ricorso per cassazione – nel quale C.G.C., C.F., C.N. e P.M. venivano indicati espressamente come “membri” di detto consiglio, e non come semplici soci. Sicchè la sentenza di seconde cure andrebbe cassata – a parere della ricorrente – per non avere la CTR tenuto conto di siffatte risultanze decisive, emergenti dagli atti del giudizio di secondo grado.

3.6. Tali censure dell’Amministrazione, tuttavia, a giudizio della Corte, non colgono nel segno.

3.6.1. La suesposta esigenza che anche coloro i quali, in forza del ruolo rivestito nell’associazione, abbiano diretto la gestione associativa abbiano realizzato un’effettiva ingerenza nell’attività dell’ente, comporta – come dianzi detto – che la responsabilità per le obbligazioni sociali, anche di natura tributaria, debba essere circoscritta a quelle sole obbligazioni che siano insorte nel periodo di relativa investitura di ciascun componente del consiglio direttivo (Cass. 5746/07).

Ed infatti, posto che la rappresentanza dell’ente spetta in via di principio al legale rappresentante ex art. 36 c.c., e che il consiglio direttivo ha, di conseguenza, per lo più compiti consultivi del presidente, l’assunzione della qualità di soggetto passivo di imposta a carico di ciascun singolo componente di detto organo direttivo – ipotizzata, nel caso di specie, dall’Amministrazione finanziaria – avrebbe richiesto la prova dell’effettiva insorgenza delle obbligazioni in discussione nel periodo di investitura di ciascuno del predetti componenti del consiglio direttivo. Poichè, invero, la responsabilità personale di ciascuno dei suddetti soggetti è circoscritta al periodo in cui la sua ingerenza nell’attività dell’ente, per l’investitura nella carica sociale, deve considerarsi effettiva, costituiva onere dell’Ufficio provare tale circostanza (Cass. 25748/08), in quanto costitutiva del proprio diritto ad azionare la pretesa nei confronti dello stesso soggetto.

3.6.2. Per contro, dall’esame del processo verbale di constatazione, nell’unica parte trascritta nel ricorso, è dato desumere esclusivamente che C.G.C., C.F., C. N. e P.M. erano ivi indicati come componenti del consiglio direttivo del sodalizio, ma senza specificazione alcuna nè della data della nomina, nè di quella di cessazione dalla carica, ai fini del riscontro della loro effettiva ingerenza nella gestione dell’ente nel periodo in considerazione.

4. Per tutte le ragioni suesposte, pertanto, il ricorso dell’Agenzia delle Entrate non può che essere rigettato, con conseguente condanna della ricorrente soccombente alle spese del presente giudizio, nella misura di cui in dispositivo.

 

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione;

rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al rimborso delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 2.500,00, oltre Euro 200,00 per esborsi ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Tributaria, il 9 aprile 2013.

Depositato in Cancelleria il 6 settembre 2013.