L'importanza della notificazione dell'atto presupposto

in sede di ricorso tributario, l’atto presupposto non notificato dal fisco deve essere necessariamente impugnato insieme all’atto successivo? alcune opzioni di strategia processuale…

Facoltà

L’art. 19, comma 3, D.Lgs. n. 546/1992, dispone che la mancata notificazione di atti autonomamente impugnabili, adottati precedentemente all’atto notificato, ne consente l’impugnazione unitamente a quest’ultimo.

Tale disposizione configura l’ipotesi della mancata notifica degli atti presupposti (avvisi di accertamento, avvisi di irrogazione delle sanzioni, avvisi di liquidazione e cartelle di pagamento) rispetto a quelli successivi (avvisi di liquidazione, cartelle di pagamento, avvisi di mora, iscrizioni di ipoteca e fermi amministrativi), regolarmente posti a conoscenza dell’interessato e riguardo ai quali decorrono i termini per agire in giudizio.

Nulla impone al contribuente di impugnare, unitamente all’atto successivo, quello che l’Amministrazione finanziaria avrebbe dovuto notificargli anteriormente.

Non esiste, de iure condito, alcun obbligo in tal senso, essendo sancita una mera facoltà per il ricorrente (Cass. civ. Sez. V, Sent., 19-07-2013, n. 17687). L’interessato, quindi, può liberamente scegliere, in relazione alle proprie strategie processuali e alle situazioni che gli si prospettano, se proporre un ricorso cumulativo (investendo, così, anche l’atto presupposto non notificato) o se limitarsi a impugnare il solo atto conseguente, notificato, deducendone l’illegittimità per la presenza del vizio proprio della mancata obbligatoria previa notifica dell’atto antecedente. Il contribuente può limitarsi a contestare un atto deducendo il vizio proprio della mancata notifica di un atto prodromico, senza che sussista l’obbligo di impugnazione di quest’ultimo.Spetta al giudice, interpretando il ricorso, cogliere la scelta del contribuente. Qualora l’intenzione del ricorrente sia quella di impugnare esclusivamente l’atto successivo (per il suddetto vizio proprio), la Commissione dovrà verificare la sussistenza o meno della notifica dell’atto prodromico, sancendo la nullità del secondo atto in difetto.

Nell’ipotesi di impugnazione che vada al di là del notificato atto seguente, invece, l’organo giudicante è tenuto, nel rispetto del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato (art. 112 c.p.c.), a decidere anche in ordine al rapporto sottostante che, cristallizzabile nell’atto non notificato, sfocia comunque nell’atto giunto a conoscenza.

 

OMISSIONE DELLA NOTIFICAZIONE ATTO PRESUPPOSTO

Alla luce dell’insegnamento delle sezioni unite del giudice di legittimità (Cass., sez. un., sent. 4 marzo 2008, n. 5791) la correttezza del procedimento di formazione della pretesa tributaria è assicurata mediante il rispetto di una sequenza ordinata secondo una progressione di determinati atti, con le relative notificazioni, destinati, con diversa e specifica funzione, a farla emergere e a portarla nella sfera di conoscenza dei destinatari, allo scopo, soprattutto, di rendere possibile per questi ultimi un efficace esercizio del diritto di difesa. Nella predetta sequenza, l’omissione della notificazione di un atto presupposto costituisce vizio procedurale che comporta la nullità dell’atto consequenziale notificato.

Tale nullità può essere fatta valere dal contribuente mediante la scelta o di impugnare, per tale semplice vizio, l’atto consequenziale notificatogli (rimanendo esposto all’eventuale successiva azione dell’amministrazione, esercitabile soltanto se siano ancora aperti i termini per l’emanazione e la notificazione dell’atto presupposto) o di impugnare cumulativamente anche quest’ultimo (non notificato) per contestare radicalmente la pretesa tributaria. Con la conseguenza che spetta al giudice di merito, la cui valutazione, se congruamente motivata, non sarà censurabile in sede di legittimità interpretare la domanda proposta dal contribuente al fine di verificare se egli abbia inteso far valere la nullità dell’atto consequenziale in base all’una o all’altra opzione; compete al giudice di merito, interpretando la domanda, verificare la scelta compiuta dal contribuente, con la conseguenza che nel primo caso deve verificare solo la sussistenza o meno del difetto di notifica al fine di pronunciarsi sulla nullità dell’atto consequenziale (con eventuale estinzione della pretesa tributaria a seconda se i termini di decadenza siano o meno decorsi), nel secondo la pronuncia deve riguardare l’esistenza o no di tale pretesa (Cass. sent. 3 luglio 2008, n. 18356).

È affetto da nullità l’atto impositivo per il quale risulti omessa la notificazione al contribuente dell’atto che ne costituisce antecedente logico e presupposto giuridico e tale invalidità derivata può essere fatta valere in sede di impugnazione per mezzo di apposito motivo di ricorso (Cass., sez.trib., sent. 5 ottobre 2007 n. 20935).

In definitiva, costituisce principio consolidato l’affermazione secondo cui l’omissione della notificazione di un atto presupposto costituisce vizio procedurale che comporta la nullità dell’atto consequenziale notificato e tale nullità può essere fatta valere dal contribuente mediante la scelta di impugnare, per tale vizio, l’atto consequenziale notificatogli (Cass., sez.trib., sent. 18 gennaio 2008 n. 1024).

La conseguente nullità della notifica dell’accertamento, poi, non può certo ritenersi sanata a seguito dell’impugnazione della cartella di pagamento, essendo evidente che il raggiungimento dello scopo non può che essere rappresentato dall’impugnazione dell’atto invalidamente notificato e non di un atto diverso, che nella definitività del primo trovi soltanto il suo presupposto (Cass.n. 15849/2006).

 

VIZI PROPRI

Giova osservare che una volta affermata la impugnabilità dell’atto presupposto è evidente che resta preclusa la possibilità di far valere contro la successiva cartella vizi propri di quel titolo ormai irretrattabile (art. 19 D.Lgs. n. 516/1992) né possano entrare in gioco problemi di decadenza che presuppongono che la cartella abbia costituito il primo atto con il quale è stata esercitata la pretesa erariale (Cass. n. 17202/2009).

L’omessa impugnazione di una cartella di pagamento in termini di legge rende l’atto inoppugnabile e il pagamento dell’imposta richiesta con l’atto di riscossione non è idoneo a riaprire, attraverso l’istituto del rimborso, il termine scaduto, al fine di contrastare un rapporto tributario ormai esaurito. Pertanto il successivo silenzio-rifiuto sull’istanza di rimborso della somma pagata in adempimento della cartella non è autonomamente impugnabile, atteso che tale comportamento amministrativo è, sia pure implicitamente, meramente confermativo del precedente provvedimento costituito dall’avviso di liquidazione e, come tale, in ragione di un siffatto rapporto di consequenzialità, si sottrae ad autonoma impugnazione (Cass. 28 luglio 2010, n. 17587).

La mancata notificazione della cartella di pagamento comporta un vizio della sequenza procedimentale dettata dalla legge, la cui rilevanza non è esclusa dalla possibilità, riconosciuta al contribuente dall’art. 19, c. 3, D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, di esercitare il proprio diritto di difesa a seguito della notificazione dell’avviso di mora, e che consente dunque al contribuente di impugnare quest’ultimo atto, deducendone la nullità per omessa notifica dell’atto presupposto o contestando, in via alternativa, la stessa pretesa tributaria azionata nei suoi confronti. In entrambi i casi, la legittimazione passiva spetta all’ente titolare del credito tributario e non già al concessionario al quale, se è fatto destinatario dell’impugnazione, incombe l’onere di chiamare in giudizio il predetto ente, se non vuole rispondere dell’esito della lite, non essendo il giudice tenuto a disporre d’ufficio l’integrazione del contraddittorio, in quanto non è configurabile nella specie un litisconsorzio necessario (Cass.13 settembre 2010, n. 19476).

 

20 settembre 2013

Ignazio Buscema

 

Allegato

Cass. civ. Sez. V, Sent., 19-07-2013, n. 17687

FattoDirittoP.Q.M.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Presidente –

Dott. VIRGILIO Biagio – Consigliere –

Dott. GRECO Antonio – Consigliere –

Dott. CIGNA Mario – Consigliere –

Dott. CRUCITTI Roberta – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici in Roma, via dei Portoghesi n. 12 è elettivamente domiciliata;

– ricorrente –

contro

B.C.eT. (Bollettino Contributi e Tasse) s.r.l., in liquidazione, in persona del liquidatore pro tempore, rappresentata e difesa per procura in calce al controricorso dagli Avv.ti DAL BORGO ARCANGELO e Ilaria Romagnoli ed elettivamente domiciliata presso lo studio di quest’ultima in Roma, via Andronico n. 24;

– controricorrente –

avverso la sentenza n.20/28/07 della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, depositata il 16.4.2007;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 23.5.2013 dal Consigliere Dott. Roberta Crucitti;

udito per la ricorrente l’Avv. Paola Zerman;

udito per la controricorrente l’Avv.Ilaria Romagnoli;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SORRENTINO Federico, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Svolgimento del processo

La Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, in accoglimento dell’appello proposto dalla Bollettino Contributi e Tasse s.r.l., ed in totale riforma della sentenza di primo grado, dichiarava nullo l’avviso di accertamento, relativo ad irpeg dell’anno di imposta 1993, per mancata notificazione dello stesso presso la sede legale della società e, conseguentemente, non dovute le imposte.

I giudici di appello ritenevano che non fosse sufficiente la notificazione dell’avviso, effettuata al Curatore fallimentare che ebbe a rifiutarsi di ricevere l’atto, ma che fosse, altresì, necessaria, pur nella pendenza del fallimento, la notificazione dell’avviso di accertamento e della cartella presso la sede sociale.

Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione, affidato a sette motivi, Agenzia delle Entrate.

Ha resistito con controricorso la società.

 

Motivi della decisione

1. Per ragioni di ordine logico e processuale delle questioni devolute all’esame di questa Corte va, da primo, esaminato, involgendo un questione preliminare, il sesto motivo di ricorso con il quale, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, la ricorrente deduce la nullità dell’intero giudizio per non avervi preso parte anche il Concessionario del servizio riscossione tributi.

1.1. Il motivo è infondato alla luce dei principi sanciti da questa Corte secondo cui “nelle liti riguardanti l’impugnazione della cartella esattoriale la legittimazione passiva spetta all’ente titolare del credito tributario” e che “la tardività della notificazione della cartella di pagamento non costituisce in ogni caso, vizio proprio di questa tale da legittimare in via esclusiva il concessionario a contraddire nel relativo giudizio”, in quanto la tempestività della notificazione della cartella esattoriale è espressione del principio di garanzia, da parte dell’ordinamento, dell’interesse del contribuente alla conoscenza, in termini, certi, della pretesa tributaria derivante dalla liquidazione delle dichiarazioni, interesse che si correla a posizioni di obbligo imputabili all’ente impositore (Cass. n. 22939/2007; id. n. 933/2009;

n. 8613/2011; n. 1532/ 2012).

2. Con il primo motivo di ricorso si deduce la violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, comma 3, per non avere la Commissione tributaria lombarda dichiarato l’inammissibilità del ricorso in quanto la contribuente non aveva impugnato unitamente alla cartella anche l’avviso di accertamento. 2.1. Il motivo è infondato.

Le Sezione Unite di questa Corte hanno fissato il principio, cui si ritiene dare continuità, per cui “In materia di riscossione delle imposte, atteso che la correttezza del procedimento di formazione della pretesa tributaria è assicurata mediante il rispetto di una sequenza procedimentale di determinati atti, con le relative notificazioni, allo scopo di rendere possibile un efficace esercizio del diritto di difesa del destinatario, l’omissione della notifica di un atto presupposto costituisce un vizio procedurale che comporta la nullità dell’atto consequenziale notificato. Poichè tale nullità può essere fatta valere dal contribuente mediante la scelta, consentita dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 19, comma 3, di impugnare solo l’atto consequenziale notificatogli (avviso di mora, cartella di pagamento, avviso di liquidazione), facendo valere il vizio derivante dall’omessa notifica dell’atto presupposto, o di impugnare cumulativamente anche quello presupposto (nell’ordine, cartella di pagamento, avviso di accertamento o avviso di liquidazione) non notificato, facendo valere i vizi che inficiano quest’ultimo, per contestare radicalmente la pretesa tributaria spetterà al giudice di merito, interpretando la domanda, verificare la scelta compiuta dal contribuente, con la conseguenza che, nel primo caso, dovrà verificare solo la sussistenza o meno del difetto di notifica al fine di pronunciarsi sulla nullità dell’atto consequenziale (con eventuale estinzione della pretesa tributaria a seconda se i termini di decadenza siano o meno decorsi), nel secondo la pronuncia dovrà riguardare l’esistenza, o no, di tale pretesa” (SS.UU n. 5791/2008).

3.Con il terzo, il quarto ed il quinto motivo la ricorrente – premesso che in atti era pacifico che l’avviso venne notificato al curatore del fallimento della società, all’epoca sottoposta a procedura concorsuale – censura, sotto l’egida della violazione di legge, la sentenza impugnata per non avere ritenuto sufficiente tale notificazione ed avere, ritenuto, la necessità di ulteriore notificazione dell’avviso di accertamento e della cartella presso la sede sociale.

4. I motivi sono infondati.

L’argomentazione giuridica svolta dai Giudici di appello relativamente alla necessità di notificazione dell’atto anche alla società e costituente ratio decidendi autonomamente idonea a sorreggere la decisione, è, infatti, in linea con la giurisprudenza di questa Corte in materia di notificazione degli atti del rapporto tributario a soggetto fallito.

Si è, infatti, più volte affermato il principio, cui si ritiene dare continuità, secondo cui l’accertamento tributario, se inerente a crediti i cui presupposti si siano determinati, come nella specie, prima della dichiarazione di fallimento del contribuente o nel periodo d’imposta in cui tale dichiarazione è intervenuta, deve essere notificato non solo al curatore – in ragione della partecipazione di detti crediti al concorso fallimentare, o, comunque, della loro idoneità ad incidere sulla gestione delle attività e dei beni acquisiti al fallimento – ma anche al contribuente, il quale non è privato, a seguito della dichiarazione di fallimento, della sua qualità di soggetto passivo del rapporto tributario e resta esposto ai riflessi, anche di carattere sanzionatorio, che conseguono alla definitività dell’atto impositivo (Cass. n. 2910 del 06/02/2009). Ed, ancora, in termini, (Cass. n. 6476 del 19/03/2007 la quale, nell’affermare il medesimo principio, ha rilevato come l’accertamento operato dall’ufficio non può che decorrere, per il fallito, dal momento in cui sia eseguita nei suoi confronti la notifica del relativo avviso, ed egli sia così posto nell’effettiva condizione di difendersi. “Ciò comporta, da una parte, la non definitività di un avviso di accertamento non notificato all’amministratore di una società fallita, ma al solo curatore, e, dall’altra, il disconoscimento di una solidarietà passiva fra il curatore e l’amministratore o i soci di una società di persone fallita, qualora questi ultimi non siano stati messi a conoscenza nei modi di legge dell’accertamento notificato al solo curatore”.

7. Il rigetto dei superiori motivi comporta l’assorbimento del settimo motivo con il quale si deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21, comma 1, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, sul presupposto della rituale notificazione della cartella al curatore nel 2001 mentre il ricorso venne proposto solo in data 28.9.2005.

8. In ossequio al principio di soccombenza le spese liquidate, come in dispositivo sulla base dei parametri di cui al D.M. n. 140 del 2012, vanno poste a carico di Agenzia delle Entrate.

 

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna Agenzia delle Entrate alla refusione in favore della controricorrente delle spese del grado di legittimità che si liquidano in complessivi Euro 12.500,00 di cui Euro 200 per esborsi, oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 23 maggio 2013.

Depositato in Cancelleria il 19 luglio 2013