Fatture false: a chi spetta l'onere della prova?

nei casi relativi alla contestazione di fatture inesistenti il Fisco ha prodotto una distinzione nell’onere della prova fra quanto deve provare il fisco per sostenere l’inesistenza dell’operazione e quanto deve provare il contribuente per provare la correttezza del proprio operato

Con la sentenza n. 17428 del 17 luglio 2013 (ud. 26 aprile 2013) la Corte di Cassazione ribadisce che, in materia di operazioni inesistenti, la prova è del contribuente.

 

LA SENTENZA

In continuità dell’orientamento consolidato della giurisprudenza di questa Corte in materia di fatture per operazioni inesistenti, va ribadito che qualora l’Amministrazione contesti indebite detrazione di iva e deduzione di costi fatturati, fornendo elementi anche semplicemente presuntivi, purchè oggettivi, atti ad asseverare l’emissione di fatture in assoluta assenza di corrispondente prestazione – è onere del contribuente, che rivendichi la legittimità dei costi fatturati e quella della detrazione dell’i.v.a. correlativamente indicata, fornire la prova dell’effettiva esistenza delle operazione. Ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21, la fattura è, infatti, documento idoneo a rappresentate operazioni rilevanti ai fini fiscali, ma, in presenza di elementi seriamente inducenti a ritenere l’insussistenza di corrispondente prestazione commerciale, perde detta idoneità, così determinandosi il passaggio sul contribuente dell’oneredi dimostrare l’effettiva esistenza delle operazioni rappresentate (così da ultimo e tra le tante Cass. n. 6229/13).

 

Breve nota

E’ ormai costante ed uniforme il pensiero della Cassazione, tant’è che la Corte richiama un suo ultimo pronunciamento (la sentenza n. 6229/2013) dove i giudici hanno ribadito che, in ordine alle c.d. fatture per operazioni oggettivamente inesistenti (espressione cartolare, cioè, di operazioni commerciali mai poste in essere da alcuno) “la giurisprudenza di questa Corte è consolidatamente orientata a ritenere (cfr., tra le altre, Cass. 9108/12, 12802/11, 2598/10, 9958/08, 2847/08, 1023/08, 26130/07, 21953/07, 1727/07) che – qualora l’Amministrazione contesti indebite detrazione di iva e deduzione di costi fatturati, fornendo elementi, anche semplicemente presuntivi, purchè oggettivi, atti ad asseverare (D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 39, comma 1 lett. d, e art. 40, e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, comma 2) l’emissione di fatture in assoluta assenza di corrispondente prestazione – è onere del contribuente, che rivendichi la legittimità della deduzione degli esborsi fatturati e quella della detrazione dell’iva correlativamente indicata, fornire la prova dell’effettiva esistenza delle operazioni”. Infatti, la fattura è, “documento idoneo a rappresentare operazioni rilevanti a fini fiscali, ma, in presenza di elementi seriamente inducenti a ritenere l’insussistenza di corrispondente prestazione commerciale, perde detta idoneità (non insorgendo il diritto alla deduzione e quello alla detrazione fiscale per il mero fatto dell’indicazione in fattura dell’operazione commerciale: v. C.G. 31.1.2013 in causa C – 642/11, punto 30, e l’ulteriore giurisprudenza ivi richiamata), così determinandosi il passaggio sul contribuente dell’onere di dimostrare l’effettiva esistenza delle operazioni rappresentate”.

Sempre di recente, con sentenza n. 8211 dell’11 aprile 2011 (ud. del 10 marzo 2011) la Corte di Cassazione aveva confermato l’orientamento assunto (in tema di accertamento delle imposte sui redditi, qualora sia contestata la deducibilità dei costi documentati da fatture relative ad operazioni asseritamene inesistenti, l’onere di fornire la prova che l’operazione rappresentata dalla fattura non è stata mai posta in essere incombe all’Amministrazione finanziaria la quale adduca la falsità del documento (e quindi l’esistenza di un maggior imponibile), e può essere adempiuto, ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, anche sulla base di presunzioni semplici, purchè gravi, precise e concordanti, non ostandovi il divieto della doppia presunzione, il quale attiene esclusivamente alla correlazione tra una presunzione semplice con altra presunzione semplice, e non può quindi ritenersi violato nel caso in cui da un fatto noto si risalga ad un fatto ignorato, che a sua volta costituisce la base di una presunzione legale” (Corte cass. 5′ sez. 18.01.2008 n. 1023; id. 5′ sez. 28.04.2010 n. 10157) e “null’altro l’ufficio è tenuto a provare, se non quanto emerge dal procedimento deduttivo fondato sulle risultanze esposte, mentre grava sul contribuente l’onere di dimostrare la regolarità delle operazioni effettuate, anche in relazione alla contestata antieconomicità delle stesse, senza che sia sufficiente invocare l’apparente regolarità delle annotazioni contabili, perchè proprio una tale condotta è di regola alla base di documenti emessi per operazioni inesistenti o di valore di gran lunga eccedente quello effettivo” (Corte cass. 5′ sez. 16.01.2009 n. 951).

Principio, peraltro ancora espresso con l’ordinanza n. 23533 del 20 dicembre 2012 (ud. 19 settembre 2012) dove la Corte di Cassazione ha posto in capo al contribuente l’onere della prova (In materia IVA, la fattura è documento idoneo a provare un costo dell’impresa; nell’ipotesi di fatture che l’amministrazione ritenga relative ad operazioni in tutto o in parte inesistenti, non spetta al contribuente provarne l’effettività, ma all’Amministrazione stessa dedurre argomenti idonei a palesare l’inesistenza o la diversa e minore entità dell’operazione oggetto della fattura. Tuttavia, qualora l’amministrazione fornisca sufficienti elementi per sostenere l’affermazione che alcune fatture riflettono operazioni in tutto o in parte fittizie, l’onere di dimostrare l’effettiva esistenza e consistenza di tali operazioni si sposta sul contribuente (Cass. 31.03.2008, n. 8247). Tuttavia l’A. F., per disattendere la contabilità del contribuente, deve indicare qualche elemento, anche indiziario, che infici la contabilità e non può limitarsi a una generale ed apodittica non accettazione della documentazione del contribuente, essendo suo onere quello di indicare specificamente gli elementi, anche indiziali, sui quali si fonda la contestazione (Cass. n. 21953/2007; Cass. n. 1727/2007)”. Osserva la Corte che “ai fini della prova dell’esistenza di un’operazione non è sufficiente produrre la relativa fattura in quanto l’emissione della fattura può prescindere dall’effettiva stipulazione della cessione; perciò il contribuente, a fronte della contestazione dell’Amministrazione circa l’inesistenza di un’operazione, ha l’onere di dimostrare la effettività del contratto e non può limitarsi a dar prova dell’emissione della fattura. (Cass. 27 ottobre 2010 n. 21949). Va, infatti, ribadito che la fattura commerciale non è prova documentale circa l’esistenza dell’operazione), infatti la fattura commerciale, per la sua formazione unilaterale e la sua inerenza a un rapporto già formato tra le parti, ha natura di atto partecipativo e non di prova documentale”.

E anche precedentemente, con la sentenza n. 21707 del 22 ottobre 2010 (ud. del 12 luglio 2010) la Corte di Cassazione ha affermato che è principio consolidato “che la prova dell’effettiva esistenza dell’operazione non può essere tratta dalla sola esibizione delle fatture, atteso che il meccanismo elusivo consistente nel contabilizzare operazioni inesistenti presuppone, per definizione, l’approntamento di tale documentazione formale (Cass. n. 21953/2007)”, e che la prova dell’effettività delle operazioni non può essere vinta dal contribuente mediante la mera esibizione delle fatture non prova niente (Cass. sentenza n. 21303/2008 secondo cui “detta prova non può, peraltro, essere costituita dalla sola esibizione dei mezzi di pagamento, che normalmente vengono utilizzati fittiziamente, e che, pertanto, rappresentano un mero elemento indiziario, la cui presenza (o assenza) deve essere valutata nel contesto di tutte le altre risultanze processuali“)

 

3 settembre 2013

Francesco Buetto