L'azione di responsabilità contro il socio di SRL non amministratore e responsabile di atti dannosi

Anche il socio di Srl, che si ingerisce nella gestione degli affari sociali, si espone ad azione di responsabilità in base ad una specifica norma del codice civile.

L’azione di responsabilità contro il socio di SRL non amministratore che si ingerisce nella gestione degli affari sociali, che ha deciso o autorizzato il compimento di atti dannosi per la società, i soci o i terzi

Nelle società a responsabilità limitata la partecipazione sociale può essere connotata da un profilo personalistico, di regola assente nella S.p.a: nelle s.r.l., infatti, l’autonomia statutaria consente modelli di amministrazione molto vari che vanno dall’opzione in cui il potere gestorio è interamente affidato all’organo amministrativo, ovvero all’opzione in cui il potere gestorio è interamente rimesso alla sfera decisionale dei soci, rendendo di fatto “svuotato” l’organo amministrativo.

Preso atto che nelle s.r.l. possono essere attribuiti ai soci anche poteri gestori (simili a quelli previsti in capo agli amministratori) e al fine di evitare una diversità di trattamento circa le ripercussioni di responsabilità derivanti dagli atti di gestione compiuti dai soci stessi, rispetto a quelli compiuti dagli amministratori, il legislatore ha introdotto, all’interno del codice civile (art. 2476 comma 7), una particolare responsabilità in capo al socio c.d. “gestore”: in buona sostanza, è prevista una responsabilità (che opera in solido con quella già prevista per gli amministratori) in capo a quei soci che hanno intenzionalmente deciso o autorizzato il compimento di atti dannosi per la società, i soci o i terzi.

In altri termini, affinché un socio di s.r.l. possa essere convenuto in giudizio a titolo di corresponsabilità con gli amministratori, è necessario che si verifichi l’esistenza di una decisione o autorizzazione intenzionale che, a seguito della relativa esecuzione, provochi un danno nei confronti della società, dei soci o i terzi. Ulteriore elemento soggettivo e costitutivo alla concretizzazione della responsabilità dei soci – e preliminare alla verifica del danno – risiede nel carattere intenzionale che deve avere la decisione o l’autorizzazione espressa dal socio.

E’ pacifico affermare, infatti, che, proprio in considerazione della plausibile numerosità dei soggetti facenti parte dell’organo assembleare, con l’inserimento di tale requisito (intenzionalità), il legislatore abbia inteso differenziare, all’interno della compagine sociale, i soci che non hanno preso parte alla delibera o decisione dannosa (in quanto assenti o astenuti) dai soci che risultavano consenzienti e consapevoli delle implicazioni conseguenti. Sul punto, autorevole dottrina è concorde nel ritiene che, l’intenzionalità è rappresentata dal dolo del socio, il quale tramite l’organo amministrativo mette in atto un atto formalmente deciso e/o autorizzato da parte di un diverso organo societario con l’intento e la volontà di cagionare un danno.

Come già anticipato, l’art. 2476 comma 7 c.c. presuppone la corresponsabilità degli amministratori con il socio gestore: è impensabile, infatti, configurare la responsabilità del socio in assenza di quella degli amministratori ed, in particolare, di quegli amministratori che hanno partecipato concretamente alla realizzazione dell’evento dannoso. A titolo esemplificativo, ancorché non esaustivo, potrebbe configurarsi una responsabilità del socio ex art. 2476, comma 7, c.c. nelle seguenti ipotesi:

  • approvazione da parte del socio di un bilancio falso, con la consapevolezza che i dati sono stati alterati (attraverso la sopravvalutazione delle poste attive e l’occultamento delle perdite) con il fine ultimo di non perdere i fidi bancari;

  • autorizzazione alla vendita ad un prezzo inferiore a quello di mercato di un cespite patrimoniale, con la consapevolezza di danneggiare la società e di pregiudicare la garanzia dei creditori;

  • cessione di un ramo d’azienda ad un’altra società, della quale il socio che decide è compartecipe, operazione che artatamente pregiudichi gli interessi di altri soci.

Non può comunque essere sottaciuta, nelle ipotesi descritte, la difficoltà di dimostrare il comportamento doloso del socio.

In nessun caso, peraltro, la qualifica di socio gestore deve essere confusa con quella di “amministratore di fatto” che riguarda colui che, seppur non investito formalmente di alcuna carica sociale, gestisce e amministra in piena autonomia e indipendenza la società evitando così di essere soggetto a responsabilità, per il semplice fatto di essere privo di formale investitura all’esercizio dei poteri di gestione. A tale proposito, gli elementi che contraddistinguono l’amministratore di fatto dal socio gestore possono così individuarsi:

  • l’amministratore di fatto può anche essere un soggetto diverso dal socio della società;

  • il compimento autonomo e indipendente, da qualsivoglia decisione o autorizzazione di soggetti terzi, per l’attuazione dell’atto dannoso;

  • è necessaria la continuità nello svolgimento delle funzioni gestorie, non occasionale come potrebbe essere per il socio.

Si rammenta, infine, che, l’azione di responsabilità relativa alla norma in oggetto può essere esercitata anche dal curatore fallimentare, ai sensi dell’art. 146, comma 2 della legge fallimentare, il quale diventa titolare delle azioni che prima dell’instaurarsi della procedura fallimentare potevano essere esercitate dalla società e dai creditori.

 

7 agosto 2013

Sandro Cerato