Redditometro: per gli investimenti immobiliari vale il prezzo accertato ai fini del registro

per il vecchio redditometro, ai fini di una corretta valutazione degli investimenti immobiliari, fa fede il prezzo accertato per i trasferimenti di tali immobili ai fini dell’imposta di registro

Con l’Ordinanza n. 16334 del 28 giugno 2013 (ud. 12 giugno 2013) la Corte di Cassazione ha affermato che, ai fini del calcolo dell’incremento patrimoniale, occorre tenere conto non del prezzo indicato in atto ma del valore accertato (peraltro, nel caso di specie definito per omessa impugnazione).

 

IL FATTO

L’accertamento in questione trova origine dalla rettifica operata in considerazione dell’incremento patrimoniale rappresentato dall’acquisto, tra l’altro, di un immobile, effettuato dal contribuente nell’anno 2000.

L’Ufficio, rideterminata la spesa per l’acquisto di detto immobile da 180 milioni di lire (dichiarati nel rogito) a 551 milioni di lire (accertati ai fini dell’imposta di registro con avviso non impugnato), aveva spalmato il valore di tale incremento patrimoniale (e di altri che in questa sede non rileva menzionare) nell’anno dell’acquisto e nei cinque precedenti, secondo il disposto dell’art. 38, c. 5, del D.P.R. n. 600/73, nel testo applicabile ratione temporis.

La Commissione Tributaria Regionale ha disatteso la contestazione mossa dalla contribuente ordine alla valutazione dell’incremento patrimoniale effettuata dall’Ufficio con riferimento a detto immobile, argomentando che: “si tratta di una compravendita la cui determinazione in sede di registro non è stata contestata dalla controparte e come tale resasi definitiva“.

 

LA SENTENZA

In apertura, la Corte richiama dei precedenti giurisprudenziali secondo cui:

  • con riferimento all’accertamento delle plusvalenze imponibili ai fini dell’imposta sui redditi, i principi relativi alla determinazione del valore di un bene che viene trasferito sono diversi a seconda dell’imposta che si deve applicare, sicchè quando si discute di imposta di registro si ha riguardo al valore di mercato del bene, mentre quando si discute di una plusvalenza realizzata nell’ambito di un’impresa occorre verificare la differenza realizzata tra il prezzo di acquisto e il prezzo di cessione (Cass. sent. 23608/11);

  • sussiste una presunzione semplice, superabile dalla prova contraria eventualmente offerta dal contribuente, di conformità tra il valore di mercato definitivamente accertato ai fini dell’imposta di registro ed il prezzo incassato per la vendita, sul quale calcolare la plusvalenza imponibile ai fini dell’imposta sui redditi (sentt. 14581/01, 21055/05, 4057/07, 5070/11).

 

La Suprema Corte, quindi, ritiene che il principio giurisprudenziale, elaborato in materia di tassazione delle plusvalenze patrimoniali, di presunzione semplice di corrispondenza tra il prezzo di trasferimento di un cespite e il valore definitivamente attribuito a tale cespite ai fini dell’imposta di registro operi sempre in materia di accertamento dell’imposta sui redditi, ossia non soltanto quando il prezzo di trasferimento di un cespite rilevi come prezzo ricevuto (ai fini della tassazione della plusvalenza del venditore), “ma anche quando esso rilevi come prezzo pagato (ai fini della determinazione della spesa per incrementi patrimoniali sostenuta dal compratore, e quindi, ai fini della determinazione sintetica del reddito del compratore stesso nell’anno dell’acquisto ed in quelli precedenti)”.

Tuttavia, la Suprema Corte rileva che la sentenza gravata, ritenendo provato che la spesa sostenuta dalla contribuente per l’acquisto dell’immobile corrispondesse al valore del suddetto cespite accertato ai fini dell’imposta di registro, “ha applicato una presunzione semplice effettivamente desumibile dall’ordinamento; ma ha omesso di motivare sulle circostanze di fatto dedotte dal contribuente per superare detta presunzione”.

Infatti, la Commissione Tributaria Regionale, pur dando atto delle giustificazioni addotte da parte della contribuente, non ha svolto sulle stesse alcuna argomentazione motivazionale, nemmeno per contestarne la attendibilità o la concludenza, così incorrendo nel denunciato vizio di motivazione.

E pertanto la Corte cassa la sentenza gravata e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale del Lazio, perchè si attenga al principio di diritto che, “ai fini della determinazione della spesa per incrementi patrimoniali, funzionale alla determinazione sintetica del reddito D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 38, comma 5 – il prezzo versato per l’acquisto di un bene si deve presumere, fino a prova contraria il cui onere grava sul contribuente, corrispondente al valore definitivamente attribuito a tale bene ai fini dell’imposta di registro; e, conseguentemente, motivi sulle circostanze, sopra richiamate, dedotte dalla contribuente per superare la suddetta presunzione semplice“.

 

BREVI NOTE

Lo strumento dell’accertamento sintetico (vecchio regime), applicando i coefficienti di reddito che ne stanno alla base, sul possesso di beni-indici, a cui vengono ricollegati redditi presunti, permette di trovare soluzioni accertative, sul piano operativo, che possano determinare l’ottimizzazione delle risorse disponibili per il perseguimento dell’efficienza, dell’efficacia e dell’economicità nell’azione amministrativa.

Il metodo di controllo segue un ragionamento logico che spesso è convincente già di per sé per verificare, così come affermava l’Amministrazione finanziaria già nel lontano 19811, il “trend di vita del contribuente e delle altre persone fisiche che risultano a suo caricoe risponde alla domanda che qualsiasi comune cittadino si fa: come è possibile che Tizio, con un reddito di 20.000 mila euro annui possa permettersi un’autovettura di grossa cilindrata, una casa al mare…?

Come affermato dalla più autorevole dottrina2, “… un maggior reddito viene perciò presunto in base alla spesa per consumi o investimenti attinenti alla sfera privata della persona fisica, a prescindere da una individuazione delle fonti di produzione del reddito stesso, quali potrebbero essere l’impresa, il lavoro, il capitale, etc.; la norma utilizza cioè un procedimento logico a ritroso, presumendo – salvo prova contraria – che le spese siano state finanziate prima di tutto con il reddito del periodo d’imposta“.

Nella precedente formulazione (ante modifiche apportate dal D.L. n. 78/2010), l’art. 38, c. 4, del D.P.R. n. 600/19733, permette all’ufficio finanziario, in base ad elementi e circostanze di fatto certi, indipendentemente dalle disposizioni recate dai commi precedenti e dall’art. 39, del citato D. P. R. n. 600/1973, di determinare sinteticamente il reddito complessivo netto del contribuente, quando il reddito accertabile si discosta per almeno un quarto da quello dichiarato.

Il successivo comma 5 dispone che qualora l’ufficio determini sinteticamente il reddito complessivo netto in relazione alla spesa per incrementi patrimoniali, la stessa si presume sostenuta, salvo prova contraria, con redditi conseguiti, in quote costanti, nell’anno in cui è stata effettuata e nei quattro precedenti.

Il contribuente ha facoltà di dimostrare, attraverso idonea e probante documentazione, sia prima che dopo la notificazione dell’avviso di accertamento, che il maggior reddito determinato o determinabile sinteticamente è costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta.

Con appositi decreti ministeriali sono stabilite le modalità in base alle quali l’ufficio può determinare induttivamente il reddito o il maggior reddito in relazione ad elementi indicativi di capacità contributiva individuati con lo stesso decreto, quando il reddito dichiarato non risulta congruo rispetto ai predetti elementi per due o più periodi d’imposta.

Gli elementi indicativi di capacità contributiva, inclusi nella Tabella allegata al D.M. 10 settembre 1992, ed a quelli successivi, rilevano come disponibilità da parte del contribuente persona fisica.

La circolare n. 101/E del 30 aprile 1999, nell’offrire agli uffici chiarimenti ed indicazioni di carattere operativo sull’utilizzazione dell’accertamento sintetico, aveva già posto in risalto che “in sede di valutazione delle prove giustificative addotte dal contribuente“ occorre attenersi “ai necessari principi di ragionevolezza, al fine di pervenire a determinazioni reddituali convincenti e sostenibili, secondo gli ordinari canoni probatori“ e “considerata l’inevitabile imprecisione dello strumento presuntivo attualmente in vigore … si sottolinea l’esigenza di un suo attento e ponderato utilizzo da parte degli uffici, soprattutto nei casi in cui la ricostruzione presuntiva del reddito sia essenzialmente fondata su fatti-indice che costituiscono soddisfacimento di bisogni primari o che sono caratterizzati da elevata rigidità (in particolare, spese per l’abitazione e spese per mutui immobiliari)“. Lo stesso documento di prassi del 1999 segnala, altresì, “come lo strumento dell’accertamento sintetico assuma una particolare utilità per la determinazione dei redditi nei confronti dei soggetti coinvolti in fenomeni di criminalità organizzata e dei soggetti sottoposti a misure di prevenzione patrimoniale (sequestro, confisca), sulla base degli elementi e delle circostanze di fatto comunque acquisiti“. In ordine alla cd. prova contraria, la citata circolare n. 101/1999 evidenzia, “in primo luogo la necessità di permettere al contribuente di provare preventivamente che il reddito determinabile sinteticamente trova giustificazione, in tutto o in parte, nel possesso di redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta o ad imposta sostitutiva, ovvero in altre circostanze di fatto quali, ad esempio, disinvestimenti patrimoniali, percezione di indennizzi che legittimamente non hanno concorso alla determinazione del reddito, atti di liberalità degli ascendenti. Tale prova potrà essere richiesta in fase istruttoria (questionario, verbale di colloquio) ovvero con l’invito di comparizione previsto, ai fini dell’accertamento con adesione, dall’art. 5, comma 1, del D.Lgs. n. 218 del 1997”. Quindi, antecedentemente o successivamente all’emissione dell’atto, a secondo dei casi, in sede di contraddittorio in senso lato, il contribuente, al fine di modificare, ridurre o annullare la pretesa impositiva, può dimostrare che il bene o il servizio è nella disponibilità di altri soggetti titolari di reddito, ovvero che la disponibilità del bene o del servizio non si è avuta per l’intero anno di imposta, ovvero che il reddito o il maggior reddito accertato sinteticamente è costituito, in tutto o in parte, da redditi esenti o già assoggettati a ritenuta a titolo di imposta, ovvero da regalie o prestiti comunque documentati (attraverso assegni o bonifici bancari, per esempio), ovvero da disinvestimenti patrimoniali. Si ricorda che il citato documento dell’Amministrazione finanziaria, C.M. n. 101/E del 30 aprile 1999, “sottolinea, inoltre, la necessità di procedere sempre ad un esame complessivo della posizione reddituale dell’intero nucleo familiare del contribuente, essendo evidente come frequentemente gli elementi indicativi di capacità contributiva rilevanti ai fini dell’accertamento sintetico possano trovare spiegazione nei redditi posseduti da altri componenti il nucleo familiare. Particolare rilievo, ai fini dell’applicazione dell’accertamento sintetico, assumono le spese per incrementi patrimoniali (acquisti di immobili, investimenti finanziari) che, secondo quanto stabilito dal co. 5 del citato art. 38, si presumono sostenute, salvo prova contraria, con redditi conseguiti in quote costanti nell’anno in cui sono state effettuate e nei cinque precedenti. Parimenti, significativo rilievo possono assumere altre eventuali manifestazioni di agiatezza diverse da quelle specificamente considerate nel decreto ministeriale del 10.9.1992“.

Successivamente, la circolare n.49/2007, nel riprendere sostanzialmente le precedenti istruzioni operative, invita gli Uffici ad esaminare esaminare “la documentazione prodotta dal contribuente, valutandone la probatorietà in relazione al possesso ed effettivo utilizzo nello specifico periodo d’imposta, nell’ambito del biennio oggetto di controllo, di:

  • redditi esenti;

  • redditi assoggettati a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta;

  • somme riscosse a titolo di disinvestimenti patrimoniali nonché vagliare eventuali diverse giustificazioni, anche riferibili ai componenti il nucleo familiare, dello stesso tenore documentale, che pur non essendo espressamente considerate nel sesto comma dell’art. 38 del d.P.R. n. 600 del 1973 sono tuttavia suscettibili di apprezzamento, quali ad esempio: – utilizzo di finanziamenti; – utilizzo di somme di denaro derivanti da eredità, donazioni, vincite, ecc.; – utilizzo di effettivi redditi conseguiti a fronte di importi fiscali convenzionali (ad esempio, i redditi agrari tassati non in base al reddito effettivamente prodotto, bensì alle rendite catastali aggiornate); – utilizzo di somme riscosse, fuori dall’esercizio dell’impresa, a titolo di risarcimento patrimoniale”.

 

In sede di accertamento sintetico si realizza, a nostro avviso, una inversione dell’onere della prova, che passa sul contribuente.

La prova contraria, nei casi in cui l’amministrazione finanziaria proceda all’accertamento dei redditi del contribuente in base alla presunzione secondo cui l’acquisto di beni di ingente valore è indizio del possesso di un reddito adeguato a sorreggere l’acquisto stesso, può essere fatta valere dal contribuente con qualsiasi mezzo.

L’accertamento sintetico consiste nell’applicazione di presunzioni, in virtù delle quali l’ufficio finanziario è legittimato a risalire da un fatto noto (i.e. l’esborso di rilevanti somme di denaro per l’acquisto di beni) a quello ignorato (sussistenza di un certo reddito e, quindi, di capacità contributiva).

La suddetta presunzione semplice genera, peraltro, l’inversione dell’onere della prova, trasferendo al contribuente l’impegno di dimostrare che il dato di fatto sul quale essa si fonda non corrisponde alla realtà (Cass. n. 14778/2000), o darne comunque una diversa valutazione.

Il thema decidendum rimane perciò circoscritto alla questione della sufficienza della prova, che il contribuente deve offrire, sul fatto che l’elemento posto dal Fisco a base della presunzione di reddito non è invece dimostrativo di capacità contributiva.

La giurisprudenza, più volte, si è occupata della questione, affermando, in pratica, che in tema di accertamento sintetico è sufficiente che vi siano elementi e circostanze di fatto certi che, provando un determinato ammontare di spesa, presuppongono la disponibilità di un corrispondente reddito globale, senza la necessità di conoscere i cespiti certi dai quali il reddito stesso possa derivare, restando a carico del contribuente l’onere di provare l’inesistenza della capacità reddituale. Il possesso di alcuni beni (auto, immobile, mutuo, premio annuo di assicurazione) che costituisca elemento di fatto e circostanza certa, vale a giustificare il ricorso all’accertamento sintetico ex art. 38, D.P.R. n. 600/1973 da parte dell’Amministrazione finanziaria.

Nel caso in questione, oggi sottoposto alla Corte di Cassazione, il prezzo accertato ai fini dell’imposta di registro, e non contestato, gioca ai fini del calcolo dell’incremento patrimoniale, salva prova da parte del contribuente che il trasferimento dell’immobile è avvenuto al prezzo indicato in atto.

 

17 luglio 2013

Gianfranco Antico

1 Circ. n. 27 (prot. n. 7/2648) del 14 agosto 1981 – Dir. II.DD.

2 R.Lupi, Manuale giuridico professionale di diritto tributario, III edizione, Milano, 2001, pag.591.

3 D.P.R. n. 600/73 – Art.38 – Rettifica delle dichiarazioni delle persone fisiche

1.Omissis

2.Omissis

3.Omissis

4. L’ufficio, indipendentemente dalle disposizioni recate dai commi precedenti e dall’art.39, può, in base ad elementi e circostanze di fatto certi, determinare sinteticamente il reddito complessivo netto del contribuente in relazione al contenuto induttivo di tali elementi e circostanze quando il reddito complessivo netto accertabile si discosta per almeno un quarto da quello dichiarato. A tal fine, con decreto del Ministro delle Finanze, da pubblicare nella Gazzetta ufficiale, sono stabilite le modalità in base alle quali l’ufficio può determinare induttivamente il reddito o il maggio reddito in relazione ad elementi indicativi di capacità contributiva individuati con lo stesso decreto, quando il reddito dichiarato non risulta congruo rispetto ai predetti elementi per due o più periodi d’imposta.

5. Qualora l’ufficio determini sinteticamente il reddito complessivo netto in relazione alla spesa per incrementi patrimoniali, la stessa si presume sostenuta, salvo prova contraria, con redditi conseguiti, in quote costanti, nell’anno in cui è stata effettuata e nei quattro precedenti ( parole sostituite alle precedenti “nei cinque precedenti” dall’art.2, comma 14-quater, D.L. 30 settembre 2005, n. 203, convertito, con modificazioni, dalla L. 2 dicembre 2005, n.248, in vigore dal 3 dicembre 2005. Ai sensi dell’art.2, comma 14-quinquies, D.L. 30 settembre 2005, n. 203, convertito dalla L. 2 dicembre 2005, n.248, la disposizione ha effetto per gli accertamenti notificati a decorrere dal 3 dicembre 2005).

6. Il contribuente ha facoltà di dimostrare, anche prima della notificazione dell’accertamento, che il maggio reddito determinato o determinabile sinteticamente è costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta. L’entità di tali redditi e la durata del loro possesso devono risultare da idonea documentazione.

7. Dal reddito complessivo determinato sinteticamente non sono deducibili gli oneri di cui all’art.10 del decreto indicato nel secondo comma. Agli effetti dell’imposta locale sui redditi il maggior reddito accertabile sinteticamente è considerato reddito di capitale salva la facoltà del contribuente di provarne l’appartenenza ad altre categorie di redditi.

8. Le disposizioni di cui al quarto comma si applicano anche quando il contribuente non ha ottemperato agli inviti disposti dagli uffici ai sensi dell’art.32, primo comma, nn.2), 3) e 4).