L'autorizzazione alle indagini finanziarie non necessita di motivazione

per procedere alle indagini finanziarie su un contribuente, l’autorizzazione concessa dall’ufficio gerarchicamente competente non necessita di motivazioni, in quanto si tratta di un mero atto autorizzativo

Si conferma la linea della Corte di Cassazione. Con l’ordinanza n. 16579 del 2 luglio 2013, la Suprema Corte ha ribadito l’indirizzo già espresso con la sentenza n. 16874 del 21/07/2009, secondo cui: ”In tema di accertamento dell’IVA, l’autorizzazione prescritta dall’art. 51, secondo comma, n. 7 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 (nel testo, applicabile ‘ratione temporis’, risultante dalle modifiche introdotte dall’art. 18, secondo comma, lett. c) e d), della legge 30 dicembre 1991, n. 413) ai fini dell’espletamento delle indagini bancarie risponde a finalità di mero controllo delle dichiarazioni e dei versamenti d’imposta e non richiede alcuna motivazione; pertanto, la mancata esibizione della stessa all’interessato non comporta l’illegittimità dell’avviso di accertamento fondato sulle risultanze delle movimentazioni bancarie acquisite dall’Ufficio o dalla Guardia di Finanza, potendo l’illegittimità essere dichiarata soltanto nel caso in cui dette movimentazioni siano state acquisite in materiale mancanza dell’autorizzazione, e sempre che tale mancanza abbia prodotto un concreto pregiudizio per il contribuente” (conforme Cass. Sez. 5, Sentenza n. 14023 del 15/06/2007; più recentemente anche Cass. 5849/2012).

 

Il nostro pensiero

Dall’analisi della norma emerge innanzitutto che, a differenza di quanto previsto dall’art. 52 del D.P.R. n. 633/72, che, per procedere agli “accessi, impone agli impiegati di essere muniti di “apposita autorizzazione“, rilasciata dal capo dell’ufficio, “che ne indichi lo scopo, nell’ art. 51, c. 2, n. 2, del citato D.P.R., non vi è traccia dell’eventuale obbligo di indicazione né dello “scopo né del “motivo e, a fortiori, di un obbligo di motivazione (ovverosia indicazione delle ragioni logiche e giuridiche che li sorreggono) dei provvedimenti previsti per l’iter (meramente) acquisitivo dei conti correnti bancari e/o postali ivi regolato.

Pertanto, l’esercizio del potere di indagine finanziaria rientra nel più ampio genus dei poteri di controllo, senza specificazione di nessuna particolare circostanza giustificativa; la “previa autorizzazione non deve contenere nessuna spiegazione delle ragioni che hanno indotto il Direttore regionale o il comandante ad autorizzare il proprio Ufficio ad effettuare la richiesta a detti enti.

Infatti, eventuali illegittimità nell’ambito del procedimento amministrativo di accertamento diventano censurabili davanti al giudice tributario soltanto quando, traducendosi in un concreto pregiudizio per il contribuente, vengano ad inficiare il risultato finale del procedimento e, quindi, l’accertamento medesimo (cfr. Cass. n. 18836/06).

L’interpretazione esposta non contrasta con nessuno dei fondamentali diritti del contribuente: né con il diritto di difesa (art. 24 Cost.), perché, non essendo prevista nessuna forma di contraddittorio obbligatorio nella fase preimpositiva, l’esercizio di quel diritto non trova nessun ostacolo nella sede propria (quella giurisdizionale); né con il diritto alla riservatezza, avendo il legislatore attenuato in parte il c.d. segreto bancario e, di conseguenza, la riservatezza concernente il suo contenuto almeno nei riguardi degli uffici fiscali.

Se l’esibizione dell’autorizzazione non è necessaria (e quindi, di fatto, il contribuente non conosce i motivi che stanno alla base delle indagini), è perché proprio il dettato normativo di riferimento non prevede espressamente che l’atto autorizzativo debba spiegare le ragioni del controllo avviato, dovendosi ravvisare nell’organo deputato al rilascio dell’autorizzazione solo un potere di controllo di legittimità (che l’ufficio richiedente, per esempio, abbia inoltrato la richiesta alla Direzione regionale competente territorialmente).

Ricordiamo, tuttavia, che secondo quanto indicato nella C.M. n. 32/2006, che l’odierna Cassazione interpreta in maniera diversa, l’autorizzazione “deve contemplare in modo indefettibile il requisito essenziale dei motivi sottostanti l’indagine, in ossequio al principio di trasparenza e di effettività della tutela giurisdizionale di ogni soggetto” (puntualizzato dalla citata C.M. n. 32/2006)

Essa deve indicare il contribuente da sottoporre ad indagini, il periodo temporale da controllare, e deve riferirsi alla copia dei suoi conti intrattenuti con la banca, con la specificazione dei rapporti inerenti e connessi, e gli istituti di credito, postali e gli altri organismi cui si intende inoltrare la richiesta.

Gli organi competenti al rilascio dell’autorizzazione devono valutare la sussistenza dei requisiti di legittimazione e di merito, dandone atto nella motivazione dello stesso atto autorizzativo.

Ricordiamo ancora che la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 14026 del 3 agosto 2012 (ud. 4 aprile 2012) ha ritenuto infondato il vizio di nullità della sentenza della CTR in ordine alla mancanza di motivazione dell’autorizzazione di richiesta di indagini bancarie. La sentenza di prime cure aveva accolto il ricorso introduttivo del contribuente, annullando l’avviso di accertamento in quanto nè tale atto, nè la autorizzazione del Direttore regionale “esplicitavano i presupposti rilevanti ed i motivi che suggeriscono di procedere in termini così approfonditi nella vita privata del contribuente“. Le “autorizzazioni” contemplate dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, c. 1 e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, c. 2, “non necessitano di autonoma motivazione in considerazione della assenza di una specifica previsione normativa che imponga tale requisito dell’atto, come emerge anche dal raffronto con le disposizioni contenute nel D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52 (estese alla materia delle imposte sui redditi in virtù del rinvio operato dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 33, comma 1) che disciplinano le autorizzazioni agli accessi nei locali destinati all’esercizio di attività commerciali, agricole, artistiche o professionali (per le quali è richiesta, peraltro, soltanto la indicazione dello scopo: art. 52, comma 1), ovvero alla esecuzione di accessi in locali adibiti anche ad abitazione (per le quali è richiesta anche autorizzazione del procuratore della Repubblica: art. 52, comma 1, ultima parte) ovvero alla esecuzione di perquisizioni domiciliari (per le quali è richiesta la autorizzazione del Procuratore della Repubblica che può essere rilasciata ‘soltanto in caso di gravi indizi di violazioni delle norme del presente decreto’, art. 52, comma 2), la mancanza di una previsione normativa espressa che prescriva la motivazione delle autorizzazioni di cui all’art. 51, comma 2, nn. 6 bis, 7 e 7 bis (ed analogamente ex art. 32, comma 1 stessi numeri) iene giustificata con la riconduzione della acquisizione di notizie, informazioni, documenti – anche presso banche, istituti di credito, società di intermediazione finanziaria. Amministrazione postale – alle competenze ed al potere di verifica delle situazioni reddituali e patrimoniali dei contribuenti (in funzione dell’eventuale successiva attivazione del procedimento di accertamento) attribuiti per legge (art. 95 Cost., comma 3; D.P.R. n. 600 del 1973, art. 31; D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, comma 1) alla Amministrazione finanziaria. Per quanto in particolare concerne la richiesta alle banche di fornire dati, notizie e documenti relativi ai servivi prestati e rapporti intrattenuti con i propri clienti, si è rilevato che la autorizzazione ha per oggetto una ‘richiesta’ che è rivolta esclusivamente all’ente che intrattiene i rapporti con il contribuente (‘deve essere indirizzata al responsabile’ della struttura, sede od ufficio), con la conseguenza che, non essendo legittimato detto ente a contestare la verifica fiscale condotta nei confronti di un soggetto diverso (il cliente), al quale invece la richiesta (e tanto meno la autorizzazione) non deve essere comunicata, il requisito formale della motivazione dell’atto autorizzativo appare logicamente del tutto inutile (cfr. Corte cass. 5 sez. 21.7.2009 n. 16874 che richiama il precedente della 5 sez. 15.6.2007 n. 14023 secondo cui la norma tributaria configura la esistenza della autorizzazione come condizione di legittimità dell’attività di verifica e dell’atto di accertamento, ma non richiede, tuttavia, la preventiva notifica od esibizione di tale atto all’interessato che potrà lamentare eventuali pregiudizi subiti mediante la impugnazione dell’atto di accertamento)”.

Il nomen juris (autorizzazione) riferito all’atto permissivo contemplato dalle predette norme tributarie non può ritenersi ex se dirimente all’individuazione della natura e degli effetti giuridici, che deve invece essere riconosciuta in base alla concreta funzione che l’atto viene a svolgere nella relazione di tipo organizzativo e procedimentale che si instaura tra gli uffici appartenenti alla medesima Amministrazione finanziaria e gli altri atti ed attività che convergono nell’attuazione delle competenze riservate ex lege a detti uffici.

L’autorizzazione interviene tra uffici inseriti nella medesima organizzazione pubblica, collocati in rapporto di subordinazione gerarchica, con la conseguenza che non è dato ipotizzare una diversificazione di interessi pubblici facenti capo a ciascun ufficio, dovendo invece ravvisarsi un’identità di competenza tra l’ufficio superiore e quello locale: tanto consente di attribuire alla predetta autorizzazione una preminente funzione organizzativa, mediante la quale il titolare dell’ufficio regionale cui è demandata la competenza di disporre l’acquisizione di dati, notizie ed informazioni anche attraverso indagini bancarie, assolve più agevolmente e speditamente il proprio compito legittimando l’ufficio inferiore alla relativa attività.

Venendo detta “autorizzazione” ad operare sul piano delle relazioni organizzative tra uffici del medesimo ente pubblico, rimane esclusa la natura “provvedimentale” di tale atto, in quanto inidoneo a produrre effetti giuridici all’esterno della organizzazione e ad incidere sulla sfera giuridica di terzi. Nel diritto pubblico, infatti, l’autorizzazione si configura come provvedimento terminale di un autonomo procedimento amministrativo volto alla cura di un interesse (pubblico) distinto da quello perseguito dal soggetto autorizzato: l’autorizzazione è normalmente diretta alla verifica di presupposti o requisiti o condizioni predeterminati dalla legge in funzione dello svolgimento di attività (generalmente dei privati), ed assume quindi la funzione di controllo preventivo di conformità ai requisiti di legge, ovvero la funzione di accertamento della compatibilità dell’attività autorizzata con le esigenze di cura o tutela di altri interessi che potrebbero risultarne pregiudicati. In tali casi il rapporto che si instaura tra il soggetto autorizzante e il soggetto autorizzato implica una relazione di autonomia degli interessi che fanno capo a tali soggetti, venendo a comporre la legge attributiva del potere autorizzatorio il potenziale conflitto tra detti interessi, secondo uno schema di subordinazione.

In senso conforme registriamo la sentenza della Corte di Cassazione n.1099 del 17 gennaio 2013, secondo cui il difetto di motivazione non rende invalida l’autorizzazione all’accesso ai conti bancari del contribuente e quindi inutilizzabili le risultanze probatorie così ottenute. Infatti, l’autorizzazione necessaria agli uffici per richiedere alle aziende ed istituti di credito copia dei conti correnti intrattenuti con il contribuente, con la specificazione di tutti i rapporti inerenti o connessi a tali conti, è un mero atto interno al procedimento amministrativo, privo di rilievo esterno e di natura non provvedimentale. Già In apertura, la sentenza testualmente afferma che “l’autorizzazione necessaria agli uffici per richiedere alle aziende ed istituti di credito copia dei conti correnti intrattenuti con il contribuente, con la specificazione di tutti i rapporti inerenti o connessi a tali conti, è un atto interno al procedimento amministrativo, privo di rilievo esterno e di natura non provvedimentale. La giurisprudenza ha affermato che essa – e la relativa richiesta – non devono essere obbligatoriamente corredate dell’indicazione del motivo, dello scopo o delle ragioni logiche e giuridiche poste a fondamento di essa o della preventiva richiesta, perché l’art. 51, secondo comma, n. 7, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, nel testo introdotto con l’art. 18 della legge 30 dicembre 1991, n. 413, applicabile “ratione temporis”, collega l’esercizio del potere di richiedere l’indicata documentazione con il generale potere di controllo della dichiarazione, senza prevedere, a differenza di quanto dispone testualmente il successivo art. 52 per gli accessi domiciliari, la necessità di precisare alcuna particolare circostanza giustificativa (cosi la sentenza n. 5849 del 13/04/2012 e la sentenza n. 16874 del 21/07/2009)”.

 

30luglio 2013

Roberta De Marchi