Le indagini finanziarie contro il professionista

lo strumento delle indagini finanziarie è fondamentale quando si devono contrastare i fenomeni di esercizio abusivo (cioè in nero) della libera professione.

Con la sentenza n. 2894 del 7 febbraio 2013 (ud. 23 novembre 2012) la Corte di Cassazione ha ritenuto corretto l’operato dell’ufficio che ha recuperato a tassazione, nei confronti di un professionista abusivo, i movimenti bancari non giustificati.

 

La sentenza

La Corte, premette, innanzitutto, che il sistema degli accertamenti bancari si incentra su una presunzione legale a carico del contribuente, che comporta un’inversione dell’onere della prova.

“Questa corte ha già affermato che, in forza della detta presunzione, il contribuente e tenuto a giustificare i vari movimenti bancari e a dimostrare che gli stessi sono estranei al suo reddito, vuoi perchè a lui non riferibili di fatto, vuoi perchè ricollegabili ad atti non soggetti a tassazione (cfr. per tutte Cass. n. 2843/2008; n. 21975/2009).

E’ quindi in tal senso legittima l’utilizzazione dei dati e degli elementi, che risultano dall’esame dei conti bancari in questione, per fondare la presunzione di consequenzialità da operazioni imponibili (v. d’altronde Cass. n. 14 675/2006)”.

 

Aggiunge la sentenza che la Corte

“ha altresì rilevato, in tema di Iva, che al fine di superare la presunzione posta a carico del contribuente dal citato D.P.R. n. 633 del 1972 non è sufficiente una prova generica. Non serve cioè dimostrare genericamente di avere fatto affluire somme su un proprio cento corrente bancario, ma è necessario che il contribuente fornisca la prova analitica della riferibilità ad attività estranea (e non imponibile) di ogni singola movimentazione del conto (Cass. n. 13818/2007). Giacchè altrimenti devesi presumere l’inerenza dei movimenti del conto a operazioni imponibili (v. ancora Cass. n. 21132/2011; Cass. n. 21125/2010)”.

 

Di conseguenza,

“tutti i versamenti e i prelevamenti risultanti dal conto, ove non assistiti dalla contabilità (quando, come nella specie, sia accertato l’esercizio abusivo di un’attività professionale), costituiscono presunzioni di reddito in rapporto all’anno nel quale sono effettuati”.

 

 

Legittimità della rettifica del reddito attraverso le indagini finanziarie – Brevi considerazioni

indagini finanziarie del Fisco sul contribuenteLa sentenza che si annota è inappellabile.

Il dettato normativo viene legislativamente letto dalla Corte di Cassazione con estrema chiarezza.

Le presunzioni fondate sulle movimentazioni bancarie legittimano l’ufficio a ritenere ricavi sia i versamenti che i prelevamenti, se il contribuente non riesce a dimostrare che ne ha tenuto conto ovvero che siano estranee alla sua attività, indipendentemente dal fatto che l’attività professionale sia esercitata abusivamente. Anche perchè, diversamente, si creerebbe una illogica disparità di trattamento.

Ricordiamo che, sempre la Corte di Cassazione, con sentenza n. 14052 del 27 giugno 2011 (ud. del 17 maggio 2011), ha confermato che l’Amministrazione finanziaria è legittimata alla rettifica del reddito attraverso le indagini finanziarie, competendo al contribuente dimostrare, analiticamente, l’irrilevanza reddituale dei movimenti bancari ovvero che gli stessi hanno avuto considerazione nella determinazione della base imponibile.

Osserva il collegio, che

“si tratta di una presunzione legale di carattere relativo, in quanto è ammessa la prova liberatoria da parte del contribuente.

Al quale resta garantito il diritto di difesa, potendo egli far valere le sue ragioni in sede contenziosa, depositando, anche a norma del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 32, documenti e memorie fino alla data di trattazione del ricorso in primo grado. Consegue che, se il contribuente non dimostra che dei movimenti bancari acquisiti dall’ufficio egli ha tenuto conto nelle dichiarazioni, o che si tratta di movimentazioni che non si riferiscono a operazioni imponibili, è consentito all’amministrazione riferire i movimenti bancari all’attività svolta in regime d’Iva (Cass. n. 18421/2005; n. 26293/2005; n. 8422/2002; n.3929/2002; n. 8457/2001; n. 2435/2001; n. 9946/2000)”.

 

E di recente, con sentenza n. 625 del 18 gennaio 2012 (ud. 20 settembre 2011) la Corte di Cassazione ha confermato che

“è legittima l’utilizzazione da parte dell’amministrazione finanziaria (anche attraverso un puntuale richiamo, nell’avviso di accertamento, al verbale di ispezione redatto dalla guardia di finanza) dei dati relativi ai movimenti bancari del contribuente, che costituiscono valida prova presuntiva, restando a carico del contribuente l’onere della prova contraria (v. tra le altre cass. n. 7329 del 2003 e n. 15447 del 2001)”.

La Corte, inoltre, rileva

“che la prova contraria fornita dal contribuente deve essere specifica (v. cass. n. 14675 del 2006), non potendo contrapporsi alla presunzione legale in materia una affermazione generica (v. cass. n. 25365 del 2007), ed essendo in particolare da evidenziare che, secondo la giurisprudenza di questo giudice di legittimità espressasi con specifico riguardo ad accertamento in materia di IVA, qualora l’amministrazione proceda utilizzando, ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, comma 2, n. 2, i dati risultanti dai movimenti dei conti correnti bancari, la prova che il contribuente è tenuto a dare della non riferibilità ad operazioni imponibili deve essere specifica e riguardare analiticamente i singoli movimenti bancari, così da dimostrare che ciascuna delle operazioni effettuate è estranea a fatti imponibili (v. cass. n. 1739 del 2007)”.

 

Sempre di recente, la sentenza n. 4688 del 23 marzo 2012 (ud. 14 marzo 2012) della Corte di Cassazione aveva confermato, ancora una volta, che i movimenti bancari vanno documentati in sede di indagine finanziaria.

Per la Suprema Corte,

“le presunzioni fondate sulle movimentazioni bancarie legittimano l’Ufficio a considerare come ricavi i versamenti e i prelevamenti dei quali il contribuente non riesca a dare giustificazione: per poter accertare la natura di costi degli addebiti; in particolare, al fine della loro deducibilità, è necessario che il contribuente fornisca prova contraria alla rilevanza fiscale delle movimentazioni bancarie (Cass, 17/6/2008, n. 16341)”.

Infatti,

“la presunzione legale relativa posta dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, costituisce una eccezione al principio del libero apprezzamento delle prove da parte del giudice ed alla regola dell’onere della prova. La motivazione dei giudici d’appello è esente da censura, in ordine ad entrambi i vizi denunciati, avendo fatto corretta applicazione, con un’adeguata motivazione, dei principi in tema di presunzione ricavatale dalla movimentazione bancaria in quanto ogni accredito nel conto corrente bancario equivale a ricavo che aumenta il reddito, in mancanza di prova contraria”.

 

Inoltre,

“anche i costi relativi ad acquisti non documentati devono considerarsi ricavo operando la presunzione di operazioni non fatturate e, nel caso di specie, in base alla motivazione della sentenza impugnata, non specificamente contestata sul punto, la ricorrente non è stata in grado di produrre fatture emesse o ricevute riconducibili alle operazioni bancarie indicate”.

E da ultimo, con la sentenza n. 1426 del 22 gennaio 2013 (ud. 21 novembre 2012) la Corte ha confermato il principio che in materia di movimenti bancari spetta al contribuente giustificarli, attraverso una prova specifica.

Per i massimi giudici,

“in base al consolidato orientamento di questa Corte, in virtù dell’inversione dell’onere della prova stabilito dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, è onere del contribuente dimostrare che i proventi desumibili dalla movimentazione bancaria non devono essere recuperati a tassazione o perchè egli ne ha già tenuto conto nelle dichiarazioni, o perchè non sono fiscalmente rilevanti in quanto riferiti ad operazioni non imponibili, mentre l’onere dell’amministrazione finanziaria di provare la sua pretesa è soddisfatto, per volontà di legge, per mezzo dei dati e degli elementi risultanti dai conti bancari il legislatore ha valutato come altamente probabile, secondo l’id quod plerumque accidit, che il contribuente si avvalga di tutti i conti di cui possa disporre per le rimesse ed i prelevamenti inerenti all’esercizio dell’attività (Cass. 14 gennaio 2011, n. 767; Cass. 29 luglio 2011, n. 16650)”.

Nel caso di specie,

“il fatto che gli accertatori non abbiano fatto riscontri incrociati anche con terzi e fornitori comporta, eventualmente, una lacuna probatoria che non giova al contribuente, il quale avrebbe dovuto fornire la prova della non imponibilità dei movimenti finanziari; il fallimento o comunque la carenza di tale prova lasciano intatta la presunzione stabilita dall’art. 32 (Cass. 22 ottobre 2010, n. 21695)”.

Di conseguenza, la Corte afferma il seguente principio di diritto:

“La presunzione fissata dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 32, che il contribuente si avvale di tutti i conti di cui possa disporre per le rimesse ed i prelevamenti inerenti all’esercizio dell’attività può essere superata soltanto con la prova specifica della non imponibilità dei movimenti finanziari, che va fornita dal contribuente”.

 

22 maggio 2013

Roberta De Marchi