La ripartizione dell'onere della prova

analisi di come va rispettato l’onere probatorio nel processo tributario, stante il numero di presunzioni a favore del Fisco che provocano un’inversione (quasi generale) dell’onere probatorio

Con la sentenza n. 8293 del 4 aprile 2013 (ud. 18 dicembre 2012) la Corte di Cassazione ha confermato che anteriormente alle modifiche operate prima dalla L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 7, e poi, per le imposte sui redditi, dal D.Lgs. 26 gennaio 2001, n. 32, art. 1, (i quali hanno introdotto l’obbligo di allegazione dell’atto richiamato, o, comunque, di riproduzione del suo contenuto nell’atto notificato), “il requisito motivazionale dell’avviso di accertamento – il quale rappresenta l’atto conclusivo di una sequenza procedimentale a cui possono partecipare anche organi amministrativi diversi – poteva essere assolto per relationem, cioè mediante il rinvio ad altri atti conosciuti o conoscibili da parte del contribuente, ed in particolare al verbale redatto dalla Guardia di finanza nell’esercizio dei poteri di polizia tributaria, senza che ciò arrechi alcun pregiudizio al diritto del contribuente”. In caso d’impugnazione, quindi, il giudice di merito deve accertare, se detto verbale sia stato posto nella sfera di conoscenza del contribuente, tenendo presente che tale presupposto deve considerarsi in re ipsa quando il riferimento attiene a verbali di ispezione o verifica redatti alla presenza del contribuente, o a lui comunicati o notificati nei modi di legge (Cass. n. 15842 del 2006 e n. 2462 del 2007; Cass. n. 2907 del 2010 e n. 7766 del 2008).

Quanto al quadro dei generali principi che governano l’onere della prova nell’accertamento delle imposte sui redditi, la Corte ha chiarito come spetti “all’amministrazione finanziaria dimostrare l’esistenza dei fatti costitutivi della maggiore pretesa tributaria azionata, fornendo quindi la prova di elementi e circostanze a suo avviso rivelatori dell’esistenza di un maggiore imponibile, mentre grava sul contribuente l’onere della prova circa l’esistenza dei fatti che danno luogo ad oneri e/o a costi deducibili, ed in ordine al requisito dell’inerenza degli stessi all’attività professionale o d’impresa svolta. La corretta applicazione del principio concernente la distribuzione dell’onere della prova dettato dall’art. 2697 c.c., impone quindi al giudice di merito di accertare, in primo luogo, se la pretesa tributaria dedotta in giudizio derivi dall’attribuzione al contribuente di maggiori entrate oppure dal disconoscimento di costi o oneri deducibili esposti dallo stesso, perchè solo l’esatta individuazione della parte tenuta per legge a dare la prova afferente consente al giudice di porre a carico di essa le conseguenze giuridiche derivanti dall’accertata inosservanza di detto onere” (Cass. n. 11205 del 2007, n. 4554 del 2010).

In particolare, qualora sia contestata, come nella specie, “la deducibilità di costi documentati da fatture relative ad operazioni asseritamene inesistenti, l’onere di fornire la prova che l’operazione rappresentata dalla fattura non è stata mai posta in essere incombe all’Amministrazione finanziaria la quale adduca la falsità del documento (e quindi l’esistenza di un maggior imponibile), e può essere adempiuto, ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, anche sulla base di presunzioni semplici, purchè gravi, precise e concordanti, non ostandovi il divieto della doppia presunzione, il quale attiene esclusivamente alla correlazione tra una presunzione semplice con altra presunzione semplice, e non può quindi ritenersi violato nel caso in cui da un fatto noto si risalga ad un fatto ignorato, che a sua volta costituisce la base di una presunzione legale” (Cass. n. 1023 del 2008, n. 10157 del 2010).

 

Breve nota

Come è noto la motivazione di un atto di accertamento è rivolta a spiegare il fondamento della pretesa tributaria.

La prova, invece, fornisce la conoscenza di un fatto, ricostruendolo storicamente, così che costituisce onere della prova l’insieme degli sforzi compiuti da una delle parti per convincere il giudice della fondatezza delle proprie ragioni.

Tradizionalmente la giurisprudenza ha sostenuto che l’onere della prova dei maggiori componenti positivi di reddito spetterebbe all’Amministrazione finanziaria, mentre ai contribuenti competerebbe la dimostrazione dell’esistenza dei fatti che danno luogo a oneri e costi deducibili, compresi i requisiti dell’inerenza e dell’imputazione ad attività produttive di ricavi.

L’individuazione del soggetto su cui grava l’onere della prova necessita dell’esame del contenuto dell’atto: se l’atto contiene la richiesta di maggiori imposte da parte dell’ufficio, sulla base della pretesa che esistano componenti imponibili positive non dichiarate, il soggetto che chiede, in buona sostanza, è l’ufficio, e l’onere della prova ricadrebbe sull’ufficio; se l’atto contiene la richiesta di maggiori imposte da parte dell’ufficio sulla base della pretesa che non sussistano componenti negativi dichiarati, l’onere della prova graverebbe sul contribuente, atteso che la controversia ha come oggetto sostanziale la pretesa del contribuente alla riduzione della propria base imponibile (similmente, l’onere della prova ricade sul contribuente per le controversie, per esempio, in cui il contribuente richieda un rimborso).

Sul punto si richiamano, tra le altre, le pronunce della Corte di Cassazione n. 7867 del 22.8.1997; n. 13181 del 4.10.2000; n. 11514 del 7.9.2001.

Secondo tale teoria, infatti, l’onere della prova incomberebbe sulla parte che vuol azionare un diritto in giudizio, e nell’ambito dell’accertamento tributario tale parte si identificherebbe nell’ufficio che, attraverso l’atto di accertamento, esterna l’esercizio del proprio diritto impositivo, attraverso le prove a sostegno delle proprie pretese.

A tale interpretazione si adeguata la recente ordinanza della Corte di Cassazione (n.14798 depositata il 4 settembre 2012) che ha addossato sull’ufficio l’onere di provare di requisiti di certezza e determinabilità dei componenti positivi di reddito, mentre spetta al contribuente l’onere sui componenti negativi.

Nel caso specifico, in materia di operazioni inesistenti, se è vero che l’onere di fornire la prova dell’inesistenza dell’operazione incombe sull’Amministrazione finanziaria, è pur vero che tale onere può essere adempiuto anche attraverso l’utilizzo di presunzioni semplici, purchè gravi, precise e concordanti.

 

15 maggio 2013

Francesco Buetto