La deducibilità delle spese di pubblicità

il Fisco sta analizzando con sempre maggiore attenzione le spese di pubblicità, quando non sembrano congrue con l’attività aziendale; le spese inerenti rimangono sempre deducibili dal reddito

PROVATA L’INERENZA L’ONERE DELLA PROVA è CAPOVOLTO

Questo il principio “riproposto” dai giudici della Suprema Corte di Cassazione secondo i quali nella determinazione del reddito di impresa la deducibilità dei costi è subordinata alla generale regola dell’inerenza, presupposto di fatto il cui onere probatorio ricade sul contribuente.

Una volta dimostrato il nesso di inerenza ex art. 109 del TUIR, dimostrazione che può anche avvenire mediante la corretta collocazione giuridica del bene o servizio acquistato, è l’ufficio che deve dimostrare

gli elementi ai finì di una riqualificazione del costo, in difformità dalle valutazioni della società.

In pura sostanza, come sostenuto dalla maggiore dottrina, un costo è deducibile se inerente, e una volta dimostrata l’inerenza, fatta eccezioni per le ipotesi previste dalle norme antielusive, quel costo è interamente deducibile. In altre parole un costo o è inerente o non è inerente e se è inerente è deducibile.

La sentenza che si sottopone, si riferisce all’interessante caso delle spese di pubblicità. Emerge il principio secondo il quale, se la spesa per l’acquisto del servizio è collocata giuridicamente quale spesa di pubblicità, già di per se è perfezionato il ribaltamento dell’onere probatorio. Infatti, alla qualificazione della spesa quale spesa per pubblicità corrisponde l’evasione dell’onere probatorio che incombe sul contribuente che di fatto ha dimostrato l’inerenza della spesa.

In tale fattispecie è l’ufficio che deve dimostrare una diversa riconducibilità del costo.

La sentenza precisa inoltre che quando il contribuente ha dato dimostrazione della collocazione giuridica di una spesa e della sua inerenza il giudice di merito nel valutare se questa prova sia stata fornita correttamente ed in modo sufficiente deve prendere in esame la funzione dei beni e dei servizi acquisiti, prescindendo dall’entità della spesa.

Una sentenza che appare di assoluta importanza e che ci si auguri venga velocemente recepita nei suoi principi dall’ufficio finanziario.

 

30 maggio 2013

Mario Agostinelli

 

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA 3 APRILE 2013, N. 8072

Fatto

1. La Commissione tributaria regionale del Piemonte, con sentenza n. 17.10.07, depositata il 9.5.2007, in riforma della sentenza della Commissione tributaria provinciale di …, accoglieva l’appello del contribuente, annullando l’avviso di accertamento Iva, per l’anno di imposta 1998, emesso dei confronti della società X s.r.l.

I giudici di appello ritenevano la legittimità delle detrazioni dei costi, per spese di rappresentanza, della imposta Iva, conformemente alle prescrizioni di cui all’art. 19 del decreto Iva.

Proponeva ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate deducendo i seguenti motivi:

a. violazione e falsa applicazione degli articoli 54, 19, 19 bis, comma uno, lettera h) DPR 633 del 1972, in combinato disposto con l’art. 2697 c.c. in relazione all’art. 360, n. tre c.p.c, rilevando come la prova dell’inerenza dei costi che si pretende di detrarre, nonché la loro qualificazione in termini di spese pubblicitarie anziché di rappresentanza spetta al contribuente che invochi la detrazione;

b. omessa motivazione circa fatti decisivi della controversia in relazione all’art. 360, n. cinque, c.p.c., con riferimento alla inerenza delle spese all’attività d’impresa della società che avrebbero natura pubblicitaria.

La società intimata si è costituita con controricorso, producendo anche memoria.

II ricorso è stato discusso alla pubblica udienza del 21.2.2013, in cui il PG ha concluso come in epigrafe.

Motivi della decisione

Il ricorso è infondato.

Entrambi i motivi di ricorso, stante la loro connessione logica, possono essere esaminati congiuntamente.

Con riferimento al primo motivo va rilevato che spetta al contribuente la dimostrazione dell’inerenza dell’acquisto alle finalità dell’impresa allorquando tale inerenza non risulti implicitamente dalla natura del bene acquistato.

Tuttavia, una volta collocato tale bene in una categoria giuridica, spese di pubblicità, anziché spese di rappresentanza, incombe sulla Amministrazione fornire, eventualmente, in via dì eccezione, gli elementi ai finì di una riqualificazione del costo, in difformità dalle valutazioni della società. Questa Corte ha costantemente affermato che “con riguardo alla determinazione del reddito d’impresa, ricade sul contribuente l’onere di dimostrare l’inerenza all’attività di impresa delle singole spese affrontate; ed il giudice di merito nel valutare se questa prova sia stata fornita deve prendere in esame la funzione dei beni e dei servizi acquisiti, prescindendo dall’entità della spesa e dalla circostanza che i versamenti siano stati erogati ad un soggetto diverso dal contribuente, il quale abbia a sua volta provveduto alla acquisizione dei beni o alla organizzazione dei servizi” (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 10257 del 21/04/2008; Cass. Sez. 5, Sentenza n. 6855 del 20/03/2). I giudici di appello hanno ritenuto, con motivazione coerente e non illogica, al riguardo, che, relativamente ai “costi per kit… fatturati alla società appellante dalla Y nell’ambito dell’operazione di marketing… di una nota casa di birra commercializzata,… la detrazione della relativa imposta addebitata sia legittima in quanto perfettamente integrante le prescrizioni con l’art. 19 del decreto Iva”, mentre con riferimento ai costi di cui al punto quattro, la CTR ha rilevato come gli stessi siano stati ” sostenuti per l’acquisto di materiale “magliette, bicchieri, caraffe, ecc) che pubblicizza il prodotto commercializzato (birra) … e che tale materiale sia stato ceduto ai clienti dietro corrispettivo, ovvero a fronte di ordinativi di un certo importo del prodotto commercializzato”.

La medesima natura pubblicitaria veniva attribuita alla compartecipazione per i costi di acquisto di biglietti del gran premio di formula uno, per i costi per KIT e per la fiera di Rimini nell’ambito di operazioni di marketing pubblicitario e promozionali di una nota marca di birra commercializzata.

Nella fattispecie, a fronte della qualificazione di spese di natura promozionale-pubblicitaria da parte del contribuente, non è censurabile la valutazione della CTR che, in mancanza di elementi di prova contraria da parte dell’Amministrazione, ha confermato la natura pubblicitaria dei costi. Per tale assorbente considerazione va disattesa la censura di difetto di motivazione di cui al secondo motivo di ricorso, evidenziandosi anche la mancanza del momento di sintesi del motivo che lo rende, comunque, inammissibile (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 24255 del 18/11/2011).

Va, conseguentemente, rigettato il ricorso con condanna della ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità.

PQM

Rigetta il ricorso, condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in €. 5.000 per compensi professionali, € 200 per spese, oltre accessori di legge.