Il momento impositivo nell'IVA per cassa

la massiccia invadenza dei mezzi di pagamento diversi dal contante rende talvolta difficoltosa la corretta individuazione del momento impositivo: analizziamo (con esempi pratici) come contabilizzare tali pagamenti quando si utilizza il regime dell’Iva per cassa

1. Premessa

L’attuale massiccia invadenza dei mezzi di pagamento, diversi dal contante, rende talvolta difficoltosa la corretta individuazione del momento impositivo, ai fini dell’imposta sul valore aggiunto, come delle imposte dirette. A quanto precede si uniscono le recenti innovazioni, con particolare riferimento al regime che liquida l’Iva secondo la contabilità di cassa (il c.d. cash accounting): di qui l’esigenza di proporre un quadro di riferimento sulle più ricorrenti ipotesi che caratterizzano la prassi operativa.

L’utilizzo di mezzi di pagamento “tracciabili”, si sta imponendo progressivamente, non solo per l’ormai dilagante diffusione delle nuove tecnologie informatiche che ne sono alla base, ma anche grazie ad esplicite disposizioni normative che obbligano gli operatori economici a “muoversi” in tal senso. Esemplare, in tal senso, il disposto di cui all’articolo 49 del decreto legislativo n.231/2007, che prevede il divieto di trasferimento di denaro, libretti di deposito bancari o postali al portatore, nonchè titoli al portatore, qualora gli importi interessati risultino pari o superiori ai mille euro. Diviene conseguentemente cruciale determinare con precisione il momento impositivo, connesso ai predetti sistemi di pagamento: quanto precede, anche in considerazione del presumibile rilievo che presumibilmente assumerà nell’immediato, e nel prossimo futuro, il regime dell’Iva per cassa, di cui all’articolo 32-bis del d.l. 83/2012.

 

2. Individuare il momento impositivo : in quali ipotesi è cruciale

La corretta “focalizzazione” del momento impositivo, non è sempre scontata, o di immediata determinabilità, ed, in talune fattispecie normative, acquista un rilievo assoluto.

Ci si riferisce, in particolare, e con riferimento alle imposte dirette:

A) a quanto stabilito dall’articolo 54 del vigente T.U.I.R., in materia di “determinazione del reddito di lavoro autonomo”, laddove il 1° comma recita testualmente : “Il reddito derivante dall’esercizio di arti e professioni è costituito dalla differenza tra l’ammontare dei compensi in denaro o in natura percepiti nel periodo d’imposta, … e quello delle spese sostenute nel periodo stesso…”. La norma richiamata esprime la determinazione del reddito di lavoro autonomo sulla base del principio di cassa: è alla luce del suddetto principio che si pone immediatamente il problema di come considerare gli incassi (o specularmente, gli esborsi) che, non essendo rappresentati da contanti, possono generare movimenti finanziari non contestuali con gli atti che usualmente accompagnano la riscossione (o il pagamento) degli importi sottesi.

B) Problematiche affini tornano a proporsi, con riferimento al regime dei cosiddetti “minimi”, previsto dall’articolo 27 del decreto legge n. 98/2011. Premesso che è precluso l’accesso al predetto regime, nei confronti degli organismi societari in genere, nulla vieta che possano aderirvi persone fisiche titolari di reddito d’impresa (oltre che lavoratori autonomi): ebbene, anche in tali ipotesi, la determinazione del reddito segue il criterio di cassa, in deroga a quanto ordinariamente stabilito per le imprese in genere.

C) Le stesse imprese, in regime contabile ordinario, in talune ipotesi, devono determinare mediante il criterio di cassa la rilevanza di un accadimento gestionale. Si pensi, ad esempio, ai compensi agli amministratori di società che, come previsto dal 5° comma dell’articolo 95 del TUIR, “… sono deducibili nell’esercizio in cui sono corrisposti”.

In tali fattispecie diviene di fondamentale importanza determinare con esattezza il momento in cui è stato eseguito il pagamento dell’emolumento citato.

Possiamo comunque concludere che, con riferimento alle imposte dirette, la problematica connessa alla corretta determinazione del momento impositivo è limitata ad una precisa collocazione di un pagamento, o di un incasso, onde determinarne, ove previsto, la tassazione, o la deducibilità fiscale, in un esercizio, o piuttosto, nel successivo.

La questione, con riferimento all’imposta sul valore aggiunto, è invece di portata decisamente più ampia. In tale, diverso ambito, infatti, la data di pagamento (o di riscossione) rappresenta il momento impositivo per le prestazioni di servizi. Quanto appena affermato, non esaurisce tuttavia il rilievo dell’elemento in esame: la stessa data, infatti, ove anticipata, rispetto a quella definita dall’articolo 6 del d.p.r. n. 633/72, di ordinario termine per l’emissione della fattura, individua il momento impositivo anche per le operazioni diverse dalle prestazioni di servizi, purchè rilevanti per l’applicazione del tributo.

Il predetto articolo 6, infatti, dopo aver affermato al 1° comma che “Le cessioni di beni si considerano effettuate nel momento della stipulazione, se riguardano beni immobili, e nel momento della consegna o spedizione, se riguardano beni mobili”, prosegue annotando al 4° comma, che “se anteriormente al verificarsi degli eventi indicati nei precedenti commi, o indipendentemente da essi, sia emessa fattura, o sia pagato in tutto o in parte il corrispettivo, l’operazione si considera effettuata, limitatamente all’importo fatturato o pagato, alla data della fattura o a quella del pagamento”.

D) In aggiunta alle ipotesi richiamate, e facendo seguito a quanto appena osservato, giunge a proposito la più rilevante novità emersa recentemente, rappresentata dal regime dell’Iva per cassa, definito in termini anglosassoni Cash accounting. Come si avrà modo di descrivere nel prosieguo, il regime opzionale in esame incarna un’ulteriore ipotesi operativa nella quale la corretta individuazione del momento impositivo è determinante e imprescindibile. Ciò in quanto, essendo la funzionalità di detto regime legata ad un criterio di cassa, ove si utilizzino metodi di pagamento diversi dai contanti, possono determinarsi problematiche di portata non irrilevante.

 

3. Il regime dell’iva liquidata in base alla contabilità di cassa

Il regime in esame è stato introdotto nel nostro ordinamento dall’articolo 32-bis del decreto legge 22 giugno 2012, convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134. In cosa consiste concretamente? Lo spiega la norma istitutiva, ove afferma che: “per le cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate da soggetti passivi con volume d’affari non superiore a 2 milioni di euro, nei confronti di cessionari o di committenti che agiscono nell’esercizio di impresa, arte o professione, l’imposta sul valore aggiunto diviene esigibile al momento del pagamento1 dei relativi corrispettivi”.

La disposizione in esame, esaminata la fase “attiva” delle operazioni iva, prosegue quindi con quella “passiva”: “Per i medesimi soggetti l’esercizio del diritto alla detrazione dell’imposta relativa agli acquisti dei beni o dei servizi sorge al momento del pagamento dei relativi corrispettivi2”. Va peraltro evidenziato come l’effettivo “sospensivo” sulla esigibilità dell’imposta sul valore aggiunto, per le operazioni attive, così come quello sulla detraibilità, per le operazioni passive, trova un “temperamento” nel limite temporale di un anno dall’effettuazione dell’operazione, ad esso imposto dalla stessa norma istitutrice già citata. Va anche evidenziato, utilizzando un gergo caro al settore automobilistico, che detto regime non rappresenta, in verità, una novità assoluta, nel nostro panorama normativo; piuttosto, potrebbe definirsi come un sostanzioso “restyling” di una versione preesistente del regime dell’iva per cassa, previsto dall’articolo 7 del decreto legge 29 novembre 2008, n°185, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n°2 .

Le principali differenze tra la nuova versione e quella originaria, consistono nel fatto che quest’ultima applicava il regime per singola operazione; inoltre, aspetto ancor più rilevante dal nostro punto di vista, era il previgente differimento della detraibilità dell’imposta assolta sugli acquisti, in capo all’acquirente di beni (o il committente di servizi), forniti dal soggetto operante nel regime in discussione. Ma vediamo ora di comprendere le caratteristiche operative dell’attuale regime dell’iva per cassa che, in vigore dal 1° dicembre 2012, abroga la precedente versione di cui si è detto poc’anzi. Sostanzialmente il cash accounting consente il differimento dell’esigibilità dell’iva per tutti coloro che3…operando nell’esercizio di impresa, arti o professioni, … e avendo realizzato nell’anno precedente un volume d’affari non superiore a due milioni di euro, effettuano cessioni di beni o prestazioni di servizi imponibili nel territorio dello stato, nei confronti di cessionari o committenti che, a loro volta, agiscono nell’esercizio di impresa, arti o professioni”.

Già da questa prima analisi emergono alcune importanti limitazioni, di carattere soggettivo ed oggettivo; pare pertanto opportuno, preliminarmente, chiarire che il regime in esame non può applicarsi, nelle seguenti ipotesi:

qualora, nel corso dell’esercizio precedente, si sia realizzato un volume d’affari superiore a due milioni di euro;

  • qualora si effettuino operazioni, rilevanti ai fini dell’imposta sul valore aggiunto, nel territorio dello stato, nei confronti di soggetti privati;

  • laddove si configurino regimi speciali di determinazione dell’imposta (ad esempio regime del margine per i beni usati4, o regime delle agenzie viaggio5);

  • nelle operazioni di cui al 5° comma dell’articolo 6 del d.p.r. n. 633/72, per le quali è disposta ordinariamente, ed in assenza del limite annuale, il differimento dell’esigibilità al momento del pagamento (ad esempio le cessioni effettuate nei confronti dello Stato o di Enti pubblici territoriali…);

  • nelle operazioni eseguite nei confronti di cessionari che assolvono l’imposta con il meccanismo dell’inversione contabile (reverse charge);

  • nelle cessioni e negli acquisti intracomunitari di beni, nelle cessioni all’esportazione, e nelle importazioni di beni.

 

Volendo comunque focalizzare l’attenzione sulla funzione specificamente ascrivibile a detto regime, la stessa consiste in una deroga rispetto alle disposizioni ordinarie in materia di imposta sul valore aggiunto, in base alle quali il diritto alla detrazione per il cessionario (o committente) è strettamente correlato e generalmente coincidente con quello che determina l’esigibilità per il cedente (o prestatore). Va evidenziato, in merito, che la deroga citata è operativa, con riferimento ad entrambe le “parti” interessate da una transazione commerciale, e precisamente :

  • al soggetto che opti per il regime dell’iva per cassa, il quale potrà detrarre l’imposta assolta sui propri acquisti, non al momento in cui la stessa imposta divenga esigibile per il proprio fornitore, bensì a quello di effettuazione del pagamento.

  • al cessionario (o il committente) che effettui acquisti presso il cedente (o prestatore di servizi) aderente al regime in esame, che conserva il diritto alla detrazione dell’imposta addebitatagli, senza dover attenderne l’esigibilità in capo al proprio fornitore. In altri termini, il cessionario (non interessato dal regime) continuerà a seguire quanto statuito dall’articolo 6 del d.p.r. n. 633/72, per determinare l’esigibilità dell’imposta sul valore aggiunto, vale a dire, in linea generale:

a) per le cessioni di beni mobili, la data di consegna o spedizione;

b) per le cessioni di beni immobili quella stipula del rogito notarile;

c) per le prestazioni di servizi, la data di pagamento del corrispettivo pattuito.

Diversa è soltanto l’ipotesi in cui entrambe le parti interessate da una transazione siano rappresentate da soggetti aderenti al regime in discussione : in tal caso, esigibilità e specularmente, detraibilità, dell’imposta “in gioco”, resteranno “sospese”, sino all’incasso (…e d’altro lato al pagamento…) dei corrispettivi sottesi all’operazione.

Va rammentato che il regime di cui trattasi, essendo opzionale, ed in vigore dal 1° dicembre 2012, può riguardare anche i soggetti che eseguono le liquidazioni dell’Iva con periodicità trimestrale, con riguardo alle sole operazioni riferite al mese di dicembre 2012, per il primo “periodo” di applicazione. Come già precisato nella Circolare n°44/E del 26 novembre 2012 dell’Agenzia delle Entrate, “… l’opzione o la revoca per la liquidazione dell’iva secondo la contabilità di cassa si desumono dal comportamento concludente del contribuente e, ai sensi dell’articolo 2 del decreto del Presidente della Repubblica 10 novembre 1997, n. 442, dovranno essere comunicate nella prima dichiarazione iva successiva all’esercizio dell’opzione, da intendersi, ordinariamente, come quella relativa all’anno in cui è esercitata l’opzione mediante comportamento concludente”. In merito si prescrive al soggetto che intenda aderire al regime, di indicare su ogni fattura emessa che si tratta di operazione con IVA per cassa ai sensi dell’articolo 32-bis del decreto legge 22 giugno 2012, n. 83.

Prosegue quindi la circolare citata, con riferimento ai casi di avvio di nuove attività: “Coloro che intendono avvalersi del regime sin dall’inizio dell’attività, comunicheranno tale scelta in sede di presentazione della dichiarazione iva relativa all’anno di inizio attività”.

A seguito della scelta operata, il soggetto interessato dovrà applicare il regime in esame ad ogni operazione effettuata, fatte salve quelle inerenti i regimi speciali, o le operazioni con l’estero, con effetto vincolante per un triennio, fatte salve le ipotesi di “splafonamento” rispetto alla soglia dei due milioni di euro di fatturato, prevista come limite invalicabile per la possibile adesione. Trascorso il primo triennio, l’opzione resta valida per ogni anno successivo, fatta salva la possibilità di revoca, che segue le medesime modalità operative individuate per l’opzione.

Vediamo ora alcuni casi pratici, per meglio comprendere i meccanismi operativi che sovrintendono al funzionamento di detto regime.

  • Caso 1: un contribuente, soggetto passivo d’imposta, ha optato per il regime dell’iva per cassa, con effetto dal 1° gennaio 2013. Poniamo che, con riferimento al mese di gennaio, abbia emesso fatture per un ammontare di € 1.000,00 più iva al 21%, pari ad € 210,00. La stessa fattura viene incassata in data 20.02.2013.

Nello stesso mese di gennaio, il medesimo contribuente riceve fatture d’acquisto, in ragione di € 500,00 più iva al 21%, pari ad € 105,00 che pagherà poi, per il 50% a fine febbraio ’13 e per il restante 50% a fine marzo ’13.

La liquidazione del mese di Gennaio ’13, secondo il regime dell’iva per cassa, non dà luogo ad alcuna movimentazione iva, stante l’assenza di incassi e pagamenti. Viceversa, nel mese di febbraio, in assenza di ulteriori operazioni, avrebbe maturato un debito iva di 157,50 (210,00 – 52,50).

  • Caso 2: un contribuente, soggetto passivo d’imposta, non ha optato per il regime dell’iva per cassa, nel mese di gennaio emette una fattura per € 800,00 oltre ad iva al 21%, in ragione di € 168,00 , e ne riceve una d’acquisto per € 300,00 oltre ad iva al 21% per € 63,00 , da un soggetto che applica il regime del cash accounting. In tal caso la liquidazione periodica avverrà secondo le modalità “ordinarie”, e si avrà un debito iva pari ad € 105,00 (=168,00 – 105,00) .

Alla luce dei predetti esempi, quindi, è evidente come, per chi applichi detto regime, divenga assolutamente necessario determinare con esattezza i tempi di incasso e pagamento…Quanto precede, come già asserito, può “rappresentare” problematiche diverse, al variare dei diversi, possibili, sistemi di pagamento, diversi dai contanti, attualmente in uso.

 

4. I diversi metodi di pagamento e il momento impositivo

4.1 Il caso del bonifico bancario

Si tratta, come noto, di un ordine di pagamento impartito dal correntista al proprio istituto di credito, che comporta il trasferimento di una certa somma, dal conto a lui intestato, a favore di un beneficiario ben determinato. La predetta operazione genera un differimento temporale, tra il venir meno della disponibilità dell’ammontare, in capo all’ordinante, da un lato, e la sua materiale disponibilità, in capo al beneficiario, dall’altro. Quanto precede è da imputarsi ai giorni di valuta che gli istituti di credito ordinariamente lucrano su tali operazioni. A tal proposito si sono susseguiti, nel tempo, tre documenti di prassi, inerenti l’inquadramento, ai fini iva, dell’esatto momento impositivo connesso a detto metodo di pagamento:

  • la Risoluzione n. 363519 del 25 gennaio 1978;

  • la Risoluzione n. 551041 del 6 dicembre 1989;

  • la Circolare 5 agosto1994, n°134 .

Il primo dei documenti citati si esprime come segue: “il pagamento deve ritenersi eseguito nel momento in cui il creditore riceva comunicazione dell’avvenuto accreditamento delle somme a lui dovute”.

Lo stesso orientamento è stato confermato dalla seconda risoluzione che, in merito al saldo dei diritti SIAE, precisa che “la fattura relativa a tali versamenti verrà emessa all’atto della ricezione della notizia dell’avvenuto versamento sul proprio conto”.

Tale soluzione operativa viene ulteriormente ribadita anche dall’ultimo documento di prassi richiamato, che così si esprime in merito : “Per quanto concerne la precisa individuazione della data del pagamento, … si precisa che …nei casi di pagamenti effettuati tramite mandati o accreditamenti, gli stessi devono ritenersi eseguiti il giorno in cui il creditore riceve la comunicazione dell’avvenuto accreditamento delle somme a lui dovute”.

Quanto precedentemente individuato, ai fini dell’imposta sul valore aggiunto, non trova corrispondenza ai fini delle imposte dirette. L’Agenzia delle Entrate, che, rispondendo ai quesiti inerenti le novità del Modello Unico 2010, nella propria circolare n. 38/E del 23 giugno 2010, al punto 3.3 denominato “Principio di ‘cassa’ e pagamento tramite bonifici bancari”, ha fornito un diverso orientamento. In particolare, “nel caso di compensi pagati mediante bonifico bancario, si ritiene che, ai fini della determinazione del reddito di lavoro autonomo, il momento in cui il professionista consegue la effettiva disponibilità delle somme debba essere individuato in quello … della cosiddetta ‘data disponibile’, che indica il giorno a partire dal quale la somma di denaro accreditata può essere effettivamente utilizzata”. La circolare in esame precisa inoltre, che nessun rilievo deve essere al riguardo attribuito né alla data valuta, né a quella di emissione dell’ordine di bonifico, né, ancora, a quella in cui la banca del professionista proceda alla comunicazione dell’avvenuto accredito delle somme.

Si viene così a generare un differimento temporale tra il momento in cui chi sostiene la spesa potrà dedurla, e quello in cui il percipiente dovrà dichiararla. La predetta discrasia torna manifestarsi al momento di un’eventuale verifica incrociata tra i contenuti del Modello 770, presentato da parte del sostituto d’imposta, e la dichiarazione dei redditi del professionista percipiente i compensi. Se, infatti, rileva la circolare “per il committente che paga il compenso … ai fini dell’adempimento dell’obbligo di effettuare la ritenuta, rileva il momento in cui le somme sono uscite dalla propria disponibilità. Il professionista, peraltro, scomputa la ritenuta subita nel periodo d’imposta in cui il compenso al quale il prelievo attiene concorre a formare il proprio reddito professionale”. Volendo esemplificare, poniamo che, in prossimità della fine anno, ad esempio in data 30 dicembre 2012, un ingegnere libero professionista abbia effettuato un bonifico a favore del proprio commercialista, accreditato a quest’ultimo il 3 gennaio 2013. Quanto precede, in relazione ad una nota competenze relativa ad un compenso di 2.400,00 euro, al netto di 600,00 euro della ritenuta a titolo di acconto irpef.

L’ingegnere dovrebbe dedurre 3.000,00 euro dal proprio reddito del 2012, indicando tale compenso, unitamente alla ritenuta operata, nella dichiarazione dei sostituti d’imposta per il medesimo periodo d’imposta. Il commercialista, al contrario, dovrebbe dichiarare il compenso lordo nel 2013, e scomputare nello stesso periodo la ritenuta subita.

Evidentemente, il differente posizionamento di quanto dichiarato dai due soggetti, potrebbe indurre l’amministrazione a richiedere riscontri documentali, tesi a giustificare quanto posto in essere dalle due parti interessate.

 

4.2 L’assegno bancario e quello circolare

Come noto, l’assegno assume nella prassi operativa due diverse fogge: quella dell’assegno bancario e quella del circolare. Il primo consiste in uno strumento di pagamento che si pone quale alternativa all’utilizzo dei contanti nelle transazioni commerciali più ricorrenti. Esso viene normalmente utilizzato tra soggetti che si conoscono più o meno direttamente, stante il rischio di “scoperto” che non di rado emerge ed affligge la prassi operativa.

In sintesi quindi, l’assegno bancario consiste nell’ordine di pagare, a vista, una certa somma, a favore di un terzo beneficiario, impartito all’istituto di credito presso il quale è acceso il conto corrente di riferimento. Diversamente dal precedente, l’assegno circolare rappresenta una promessa di pagamento rilasciata dalla banca, stante la preventiva provvista di fondi, costituita presso lo stesso istituto di credito, da colui che ne abbia richiesto l’emissione, una volta indicato del beneficiario del titolo.

Ebbene, in relazione ad entrambe le tipologie di assegno, la prassi dell’Agenzia delle Entrate, con Risoluzione n. 138/E del 29 maggio 2009, ha fornito una risposta univoca.

Il quesito posto, mediante istanza di interpello, evidenziava il caso di un lavoratore autonomo che, a fronte di una fattura emessa nel 2008, riceveva un assegno circolare nello stesso anno, versandolo sul proprio conto corrente bancario soltanto nel 2009 .

L’istante chiedeva se la prestazione fosse da ritenersi imponibile nel 2008 o, piuttosto, nell’esercizio seguente . L’Agenzia delle Entrate ha risposto affermando che “il momento in cui il titolo di credito (e quindi le somme in esso rappresentate) entra nella disponibilità del professionista si verifica all’atto della materiale consegna del titolo dall’emittente al ricevente”, con ciò spazzando il campo da ogni equivoco. La medesima circolare, prosegue, infatti, affermando ulteriormente che “non può essere attribuita alcuna rilevanza alla circostanza che il versamento sul conto corrente del prenditore intervenga in un momento successivo (e in un diverso periodo d’imposta). Pertanto, nel caso di specie, il provento oggetto del quesito deve concorrere alla formazione della base imponibile del reddito di lavoro autonomo relativo al periodo d’imposta 2008”.

Se, però, pare assodato che, ai fini delle imposte dirette, occorra considerare la data di consegna del titolo, non altrettanto può dirsi in materia di imposta sul valore aggiunto: secondo quanto già osservato in relazione ai pagamenti eseguiti a mezzo bonifico, anche con riferimento a quelli eseguiti tramite assegni (bancari o circolari che siano), occorre tenere in considerazione la data di effettivo incasso dell’assegno!

Anche laddove venisse data quietanza, a fronte della consegna di un assegno, va ricordato che la stessa dovrebbe essere piuttosto definita come “accettazione dell’assegno” : in quanto tale, da considerarsi, pertanto, “salvo buon fine”. Senza nulla togliere al fatto che sarebbe bene precisarlo formalmente ed esplicitamente! Secondo l’articolo 1197 del codice civile, il debitore non è liberato, se esegue una prestazione diversa da quella dovuta, salvo il consenso del creditore.

La consegna di un assegno bancario o circolare per il pagamento di un debito pecuniario è ritenuta, con indirizzo unanime e consolidato, “prestazione diversa”, ai sensi del citato articolo 1197 del codice civile6. Secondo i Giudici di legittimità, l’invio di assegni da parte del debitore obbligato al pagamento di una somma di denaro va qualificata come proposta di pagamento, la cui efficacia liberatoria dipende dal preventivo assenso del creditore.

Quindi la consegna o trasmissione di un assegno non ha immediato effetto estintivo del debito: effetto che, salvo diversa volontà delle parti, discende unicamente dalla rimessa di denaro contante che consegue alla presentazione e al regolare pagamento del titolo di credito. Nella medesima direzione, peraltro, si è indirizzata la stessa Agenzia delle Entrate, sempre ai fini dell’imposta sul valore aggiunto, con circolare n. 20/E del 30 aprile 2009, che, a tale proposito, afferma quanto segue: “resta inteso che per individuare il momento del pagamento non effettuato per contanti, al verificarsi del quale l’imposta diventa esigibile, il cedente o prestatore farà riferimento alle risultanze dei propri conti dai quali risulta l’accreditamento del corrispettivo (es. assegni bancari, RI.BA, RID, bonifico bancario)”.

 

4.3 Carte di credito o prepagate, o di debito (Bancomat)

Come sempre più frequentemente accade, anche a fronte di disposizioni normative che obbligano ad orientarsi in tal senso, si ricorre sempre maggiormente a strumenti quali le cosiddette carte di pagamento. Di tali strumenti di pagamento si è occupata la risoluzione dell’Agenzia delle Entrate n. 77/E del 23 aprile 2007. Il documento di prassi citato, si è espresso in merito alla corretta individuazione del momento impositivo ai fini delle imposte dirette, relativamente all’ipotesi di contributi previdenziali versati on-line da un professionista, a mezzo di carta di credito. Il versamento on-line da parte del lavoratore autonomo era avvenuto il 15 dicembre, mentre l’addebito della somma sul proprio conto corrente bancario, soltanto il 15 gennaio dell’anno seguente. Tale pagamento è caratterizzato “… dalla differenziazione tra il momento in cui il percipiente…” (nella fattispecie, rappresentato dalla Cassa di Previdenza interessata), “… si vede accreditate le somme, e quello in cui il titolare della carta si trova addebitata la somma sul proprio conto corrente”. Nell’ipotesi in esame il professionista conferisce un ordine di pagamento all’istituto di credito, a favore dell’ente previdenziale, impegnandosi contestualmente al rimborso (che, nella prassi odierna, può anche avvenire in forma rateale), di quanto anticipato dalla stessa banca. Ebbene, l’Agenzia delle Entrate si è espressa affermando che “... il momento maggiormente rilevante, nel caso in cui i contributi vengano versati con carta di credito on-line, è quello in cui viene utilizzata la carta di credito”. Prosegue quindi ulteriormente: “In questo momento, infatti, il professionista dà, di fatto, l’ordine di pagamento alla banca, ottenendo contestualmente il rilascio della ricevuta telematica di avvenuto pagamento…”. Conclude quindi, sostenendo che “Da quanto esposto si evince che i contributi si considerano versati dal professionista, nel momento stesso in cui manifesta la volontà di sostenerne l’onere, dando ordine di pagamento alla banca. Il momento, diverso e successivo, in cui avviene l’addebito sul conto corrente del professionista da parte della banca, attiene ad un rapporto interno, che coinvolge esclusivamente il delegante…” (titolare del conto), “... ed il delegato…” (la banca stessa…), “… irrilevante ai fini fiscali”.

 

13 maggio 2013

Giuseppe Pagani

1In questo caso, il termine “pagamento” è da intendersi come “incasso

2In questo contesto il termine “corrispettivi” è da intendersi come “spettanze” da saldare.

3Agenzia delle Entrate, Circolare n°44/E del 26 novembre 2012.

4Articolo 36, decreto legge n. 41 del 1995.

5Articolo 74-ter, d.p.r. n. 633/72.

6In tal senso Cassazione, sentenza n. 1326 del 03 febbraio 1995 e n. 7490 del 6 luglio 1991. Si veda anche “L’Esperto Risponde” de Il sole 24 Ore, n. 63 del 14 agosto 2005, pagina 1445, “Il pagamento è concluso solo ad assegno incassato”.