Le novità in materia di fatturazione delle operazioni extraterritoriali

analisi delle particolarità in materia di fatture per operazioni intracomunitarie, con particolare riferimento al reverse-charge e alle modalità di fatturazione delle operazioni extraterritoriali

La legge di stabilità 2013 (L. 24.12.2012 n. 228 pubblicata in Gazzetta Ufficiale in data 29.12.2012 ed in vigore dall’1.1.2013) ha introdotto importanti novità in materia fiscale, tra le quali la ridefinizione delle regole di fatturazione IVA, in recepimento della direttiva 2010/45/UE (già formalizzata nel c.d. decreto “salva-infrazioni”).

Sulle predette novità si è espressa, di recente, anche l’Accademia Romana di Ragioneria “Giorgio Di Giuliomaria” (nota operativa n. 1/2013) fornendo, al riguardo, alcune precisazioni, con particolare riferimento alle modalità di fatturazione delle operazioni extraterritoriali. Relativamente a tipologia di operazioni, la nota in commento ricorda che i soggetti passivi che effettuano operazioni non territorialmente rilevanti nel territorio dello Stato, sono tenuti ad emettere fattura quando l’imposta è dovuta dal soggetto passivo residente in altro paese europeo: si tratta, sostanzialmente, delle operazioni soggette al “reverse charge“. In presenza di tali operazioni, nel relativo documento fiscale, sarà obbligatorio indicare, in luogo dell’importo dell’Iva, l’annotazione “inversione contabile“. Ben rileva l’accademia Romana di Ragioneria che, nella prassi commerciale, esistono talune operazioni, rese sempre nei confronti di soggetti comunitari, che non necessitano dell’obbligo di emettere la relativa fattura: al verificarsi di tali operazioni, l’imposta deve essere assolta, infatti, nel Paese (comunitario) dal soggetto cedente/prestatore, mediante identificazione diretta, ovvero tramite la nomina di un rappresentante fiscale.

Questo è il caso, ad esempio, di un ingegnere (soggetto passivo in Italia) che effettua una perizia di stima su un immobile sito in Germania e posseduto da una società tedesca. Nel caso in esame, l’operazione si considera effettuata in extraterritorialità ed il tributo deve essere assolto nel territorio tedesco (art. 7 – quater, lett. a) del D.P.R. n. 633/1972). Peraltro, in base alla normativa tedesca, non trova applicazione il meccanismo dell’inversione contabile e, di conseguenza, il professionista italiano non deve emettere alcuna fattura ai sensi dell’art. 21 del Decreto Iva, ma sarà tenuto ad acquisire un numero identificativo tedesco (direttamente ovvero tramite rappresentante fiscale) in modo da poter assolvere (in Germania) il tributo in parola.

Di contro, invece, la prestazione resa nei confronti di un operatore stabilito in un Paese che applica il meccanismo dell’inversione contabile (in base alla propria normativa interna), obbliga il soggetto passivo italiano ad emettere la relativa fattura, ed il soggetto comunitario (destinatario della prestazione) ad integrare il documento ricevuto.

Differente risulta essere, invece, il caso delle cessioni di beni che si trovano al di fuori del territorio dell’Unione Europea: in tal caso, infatti, in assenza del requisito della territorialità, l’imposta non è dovuta né dal cedente/prestatore né dal cessionario/committente e vige l’obbligo di indicare in fattura l’annotazione “operazione non soggetta“.

Riassumendo, quindi, le operazioni territorialmente non rilevanti nel territorio dello stato, ove soggette a reverse charge nel Paese comunitario (in cui l’operazione è rilevante territorialmente) dovranno essere comunque fatturate. Più precisamente, si dovrà indicare l’annotazione “inversione contabile”, se l’imposta è dovuta da un soggetto passivo Ue nel proprio stato; viceversa per le operazioni non soggette al meccanismo dell’inversione, il soggetto passivo nazionale sarà obbligato ad identificarsi direttamente o a nominare un rappresentante fiscale al fine di assolvere il tributo all’estero.

Qualora, invece, l’imposta non fosse dovuta (per le operazioni rilevanti territorialmente in un Paese extra UE) si dovrà riportare nel documento l’annotazione “operazione non soggetta”. Quest’ultime operazioni, infine, ancorché considerate ai fini del calcolo del volume d’affari, non incideranno, per espressa previsione normativa, sullo status di esportatore abituale. Infatti, in base al riformulato art. 1 co. 1 lett. a) del DL 746/83, le cessioni di beni e prestazioni di servizi carenti del requisito della territorialità non rientrano nel computo della soglia del 10% del volume di affari necessaria per l’acquisizione della qualifica di esportatore abituale, presupposto per fruire della possibilità di acquisire o importare beni e servizi senza pagamento dell’imposta sul valore aggiunto.

In altri termini, ai fini della determinazione dello status di esportatore abituale, oltre alle cessioni di beni in transito o dei luoghi soggetti a vigilanza doganale, non si deve tener conto – nel computo della soglia del 10% del volume di affari – delle operazioni di cui all’art. 21 comma 6 bis del DPR 633/1972, ovvero delle cessioni di beni e delle prestazioni di servizi, diverse da quelle esenti di cui all’art. 10 co. 1 n. 1 – 4 e 9 del DPR 633/72, effettuate nei confronti di un soggetto passivo debitore d’imposta in altro Paese UE e delle cessioni di beni e delle prestazioni di servizi effettuate fuori del territorio della UE.

Secondo l’Accademia di Ragioneria, la circostanza che tali operazioni influiranno comunque sul calcolo del volume d’affari, potrebbe comportare, però, alcuni inconvenienti per i cedenti/prestatori, nel senso che risulterà più facile superare il limite al di sotto del quale è ammessa la liquidazione trimestrale dell’Iva, ovvero superare il limite al di sotto del quale è ammessa la presentazione trimestrale dei modelli Intrastat.

 

29 aprile 2013

Sandro Cerato