Notifica dell’appello tributario: ecco come si deve fare

L’appello di una sentenza tributaria di primo grado non notificato a mezzo dell’ufficiale giudiziario necessita di essere depositato presso la segreteria di Commissione tributaria o basta la spedizione postale?

L’articolo 3-bis, comma 7, del decreto legge n. 203/2005 così recita: “All’articolo 53, comma 2, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, è aggiunto, in fine, il seguente periodo:

“Ove il ricorso non sia notificato a mezzo di ufficiale giudiziario, l’appellante deve, a pena d’inammissibilità, depositare copia dell’appello presso l’ufficio di segreteria della commissione tributaria che ha pronunciato la sentenza impugnata’”.

Il comma 7 dell’articolo 3-bis del dl n. 203/2005 ha modificato l’articolo 53, comma 2, del decreto n. 546, introducendo a carico dell’appellante,

“Ove il ricorso non sia stato notificato a mezzo di ufficiale giudiziario”,

un’ulteriore incombenza, consistente nell’obbligo di depositare copia dell’appello presso l’ufficio di segreteria della commissione tributaria provinciale che ha pronunciato la sentenza impugnata.

Detto adempimento deve essere assolto dall’appellante a pena di inammissibilità.

Esso sostanzialmente svolge, nei casi in cui l’appellante non si avvale per la notifica dell’intermediazione dell’ufficiale giudiziario, la stessa funzione di cui all’articolo 123 (“Avviso d’impugnazione alla cancelleria”) delle disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile, che così dispone:

“L’ufficiale giudiziario che ha notificato un atto d’impugnazione deve darne immediatamente avviso scritto al cancelliere del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata. Il cancelliere deve fare annotazione dell’impugnazione sull’originale della sentenza”.

L’appello del contribuente deve essere dichiarato inammissibile ai sensi dell’art. 53 del D.Lgs. n. 546/1992, per il mancato deposito, nel termine perentorio di trenta giorni dalla proposizione dell’impugnazione, della copia dell’appello presso l’ufficio di segreteria della commissione tributaria che ha pronunziato la sentenza impugnata (CTR Palermo 26-09-2012 n. 263).

Nel caso di notificazione a mezzo del servizio postale, l’appellante deve, a pena di inammissibilità, depositare copia dell’appello presso la segreteria della Commissione tributaria che ha pronunciato la sentenza impugnata, nel termine di trenta giorni (Cass. Sez. Trib. 06-12-2010 n. 24746).

La Consulta, con sentenza interpretativa di rigetto n. 321 del 4 dicembre 2009 , ha dichiarato la manifesta inammissibilità o infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale del citato secondo periodo del comma 2 dell’art. 53 del decreto legislativo n. 546 del 1992, periodo introdotto dal comma 7 dell’art. 3-bis del decreto-legge n. 203 del 2005, convertito, con modificazioni, dal comma 1 dell’art. 1 della legge n. 248 del 2005, sollevate dalla Commissione tributaria regionale della Puglia con apposita ordinanza.

In particolare, tale pronuncia della Consulta ha precisato che, alla luce della esigenza di fornire alla segreteria del giudice di primo grado una tempestiva e documentata notizia della proposizione dell’appello, un termine perentorio per il deposito della copia dell’appello nella segreteria della Commissione tributaria provinciale è sicuramente ricavabile, in via interpretativa, dal complesso delle norme in materia di impugnazione davanti alle Commissioni tributarie.

Tale termine non può che identificarsi con quello stabilito per la costituzione in giudizio dell’appellante; costituzione che avviene mediante il deposito del ricorso in appello presso la segreteria della Commissione tributaria regionale entro trenta giorni dalla proposizione dell’appello (artt. 53, c. 2, e 22, cc. 1 e 3, del D.lgs. n. 546 del 1992).

In buona sostanza, secondo la sentenza interpretativa di rigetto n. 321/2009 della Consulta, l’appellante che non ha effettuato la notifica del ricorso in appello a mezzo di ufficiale giudiziario, deve depositare a pena di inammissibilità, entro il termine perentorio di 30 giorni dalla proposizione dell’appello , copia dell’appello presso l’ufficio di segreteria della commissione tributaria che ha pronunciato la sentenza impugnata ovvero presso la C.T. Provinciale.

L’omesso deposito, presso la segreteria del giudice di primo grado, di copia dell’appello consegnato o spedito a mezzo posta dall’appellante causa l’inammissibilità dell’impugnazione, come prevede l’art. 53 del D.Lgs. n. 546/1992.

Inoltre, dal testo normativo si evince che copia dell’appello deve essere depositata presso la segreteria del giudice di primo grado, e non spedita, posto che occorre la certezza che la segreteria abbia ricevuto il documento, pena la sanzione dell’inammissibilità.

Ove manchi la prova del tempestivo deposito dell’atto di appello – non notificato a mezzo di ufficiale giudiziario – nella segreteria della commissione tributaria che ha pronunziato la sentenza impugnata, deve essere constatata l’inammissibilità del gravame.

La Commissione deve valutare, preliminarmente, trattandosi di questione rilevabile d’Ufficio, l’ ammissibilità dell’appello, in relazione ai prescritti adempimenti per la proposizione dell’appello in caso di ricorso non notificato a mezzo di Ufficiale Giudiziario.

E, invero, ove il gravame non sia notificato a mezzo di Ufficiale Giudiziario, l’appellante deve, a pena di inammissibilità depositare copia dell’appello presso l’Ufficio di Segreteria della Commissione Tributaria che ha pronunciato la sentenza impugnata. Inoltre, quest’ultimo adempimento deve avvenire mediante deposito e non mediante spedizione, pena l’inammissibilità.

Laddove la copia dell’appello risulti spedita alla CTP e non, quindi, depositata, la conseguenza è che il ricorso in appello deve considerarsi inammissibile.

In conclusione, la pregiudiziale anzidetta determina il Collegio a emettere declaratoria .di inammissibilità dell’appello, impedendogli, altresì , l’esame di ogni altra eccezione proposta con l’atto di gravame (C.T.R di Roma sez. 14 sentenza n. 625 del 14 Novembre 2012).

Simile pronuncia può promanare tanto dal collegio quanto dal suo presidente. Il decreto presidenziale è impugnabile con il reclamo al collegio, mentre avverso la sentenza è ammesso il ricorso per cassazione.

La prova del deposito della copia dell’appello in CTP non può essere prodotta per la prima volta in cassazione non essendo ammesso il deposito di atti e documenti non prodotti nei precedenti gradi del processo, salvo che non riguardino l’ammissibilità del ricorso e del controricorso ovvero la nullità della sentenza impugnata (Cass. civ. Sez. V, 10 novembre 2011, n. 23499).

L’inammissibilità è rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio, anche se la parte resistente si è costituisce in giudizio;costituzione alla quale la legge, evidentemente, non riconosce alcuna efficacia sanante. non è possibile evidenziare, con apposita ordinanza di rimessione alla Consulta, inesistenti dubbi di costituzionalità della novella normativa in questione; infatti,il deposito in C.T. Provinciale non assurge a irragionevole imposizione di oneri e modalità di deposito tali da rendere estremamente difficoltoso, da parte dell’appellante, l’esercizio del diritto alla difesa e allo svolgimento delle attività processuali, costituzionalmente garantito.

Occorre escludersi la possibilità di una rimessione in termini quando non si è provveduto al deposito della copia dell’appello in provinciale; la “rimessione in termini” ex art. 153 c.p.c. e, ancor più, la “scusabilità” dell’errore non possono assurgere al ruolo di espediente processuale per rimediare alla pura inosservanza di un necessario adempimento processuale espressamente contemplato dalla legge.

L’appellante incidentale, a pena d’inammissibilità, deve depositare copia dell’appello presso la segreteria del giudice di primo grado se detto onere non sia stato osservato dall’appellante principale (Cass. Sez. Trib. 23-03-2012 n. 4679).

In buona sostanza, com’è possibile desumere dall’interpretazione logico-sistematica della normativa, l’appellante (contribuente) che non ha effettuato la notifica del ricorso in appello a mezzo di ufficiale giudiziario, deve:

  1. depositare a pena di inammissibilità, entro il termine di 30 giorni dalla proposizione dell’appello , copia dell’appello presso l’ufficio di segreteria della commissione tributaria che ha pronunciato la sentenza impugnata ovvero presso la C.T. Provinciale;
  2. entro 30 giorni dalla proposizione del ricorso a pena di inammissibilità depositare nella segreteria della C.T. adita ovvero presso la segreteria della C.T. Regionale copia del ricorso consegnato o spedito per posta.

Il deposito dell’appello in provinciale e in regionale non realizza alcuna ipotesi di litispendenza ex art. 39 del codice di procedura civile; per l’individuazione del giudice successivamente adito, ex art. 39 del codice di procedura civile, assume rilievo il momento del deposito del ricorso nella segreteria della Commissione tributaria regionale.

Non sussiste litispendenza in caso di deposito dell’atto di appello dinanzi al giudice tributario di primo e secondo grado.

Critica

E’ veramente eccessivo e non in linea con i principi della giusta imposizione e del giusto procedimento far conseguire la definitiva inammissibilità della azione giurisdizionale dal fatto che la copia dell’atto di appello non sia stato depositato.

La sanzione della inammissibilità, per il caso di copia dell’appello solo spedito e non depositato è decisamente eccessiva e non ragionevole, non avendo fini tuzioristici o di mera elusione della normativa.

La soluzione dell’inammissibilità rendendo definitivo l’atto di accertamento, rischia infatti di creare un pregiudizio difficilmente giustificabile per il contribuente.

La soluzione dell’inammissibilità presta il fianco a notevoli dubbi di costituzionalità.

La sanzione dell’inammissibilità preclude, in modo definitivo, qualsiasi tipo di azione a difesa dei diritti del contribuente, dunque la perdita di ogni facoltà giudiziale.

In tema di contenzioso tributario, l’art. 60 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, riproducendo la formulazione letterale dell’art. 358 c.p.c., rende applicabile il principio in virtù del quale la consumazione dell’impugnazione, che ne preclude la riproposizione anche nell’ipotesi in cui non sia ancora scaduto il termine stabilito dalla legge, opera soltanto ove sia intervenuta una declaratoria d’inammissibilià, con la conseguenza che, fino a quando siffatta declaratoria non sia intervenuta, può essere proposto un nuovo atto di appello, immune dai vizi del precedente e destinato a sostituirlo, purchè la seconda impugnazione risulti tempestiva, in rapporto al termine breve decorrente, in caso di mancata notificazione della sentenza, dalla data di proposizione del primo appello, che equivale alla conoscenza legale della sentenza da parte dell’impugnante(1).

L’appello solo spedito e non depositato non realizza lunghe e dispendiose procedure giudiziarie, che potrebbero compromettere la funzionalità del servizio.

Il divieto della spedizione della copia dell’appello comporta una compressione penetrante del diritto di azione, ostacolandone o rendendone difficoltoso l’esercizio, in particolare comminando la sanzione della inammissibilità ovvero la definitiva perdita del diritto, la ragionevolezza e proporzionalità del sistema,nonché il principio di conservazione degliatti giuridici, richiedono, in tal caso, l’ammissibilità della mera spedizione.

Comminare l’inammissibilità in caso di mera spedizione provoca una irragionevole discriminazione tra i diritti dei contribuenti e le potestà dell’agente impositore.

L’inammissibilità in caso di spedizione rappresenta una grave compromissione del diritto di difesa dell’interessato, garantito dall’art. 24 Cost. e, più specificamente, della tutela giurisdizionale dei diritti contro gli atti della Pubblica amministrazione garantita dall’art. 113 Cost., ed assume così per la stessa Amministrazione, il carattere di privilegio ingiustificato.

Nota

1) Il principio di consumazione dell’impugnazione che, ai sensi degli articoli 358 e 387 c.p.c.,preclude la riproponibilità di un’impugnazione gia proposta opera per testuale previsione soltanto ove sia intervenuta una declaratoria del giudice.

E’ ius recptum che la consumazione del potere di impugnazione non si verifica in relazione alla sola proposizione dell’impugnazione sulla quale incida una causa di inammissibilità o, in genere, un fatto estintivo del processo, bensì per effetto della dichiarazione giudiziale dell’inammissibilità o dell’improcedibilità dell’impugnazione stessa (Cassazione, sezioni unite, sentenza n. 16162 del 15/11/2002; Cassazione, sezione prima, sentenza n. 9475 del 7/09/1999).

L’appello dichiarato dal giudice di secondo grado inammissibile non può essere riproposto, anche se non è decorso il termine stabilito dalla legge per proporlo (cosiddetto principio di consumazione dell’impugnazione).

Pertanto, in mancanza della declaratoria, va consentita la proposizione di un’ulteriore impugnazione, a condizione, tuttavia, che tale seconda impugnazione si presenti tempestiva con riferimento non solo al termine lungo ancora in corso, ma anche al termine breve, decorrente dalla data di proposizione della prima impugnazione, che è quello della conoscenza legale della sentenza da parte dell’appellante.

Invero, deve ritenersi utilizzabile anche con riferimento al rito tributario, stante la sovrapponibilità della disposizione di cui all’art. 358 c.p.c. a quella di cui all’art. 60 D.lgs. 546/92, la massima consolidata della Suprema Corte di Cassazione secondo la quale il principio di consumazione non esclude che, fino a quando non intervenga una declaratoria di inammissibilità, possa essere proposto un secondo atto di appello, immune dai vizi del precedente e destinato a sostituirlo (Cass. 9569/00, 15524/04 e 2320/05).

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16 aprile 2013

Ingazio Buscema