IRAP e professionisti: prospettive sempre in evoluzione?

con l’approssimarsi del periodo delle dichiarazioni dei redditi torna sempre di moda il problema dell’IRAP per i liberi professionisti: in quali casi sono esentati dal pagamento dell’imposta?

Aspetti generali

Anche se le attività professionali potrebbero esser fatte rientrare insieme alle imprese in una generale definizione di «attività economica», nel loro caso orientata alla prestazione di servizi qualificati, la nozione storicamente consolidata di «professione» – e soprattutto di professione intellettuale – si fonda sull’apporto immateriale dell’individuo, in quanto possessore di specifiche e infungibili competenze, nonché titolare di un rapporto fiduciario con il cliente.

Sotto il profilo degli obblighi tributari, nel nostro Paese l’IRAP è un tributo che non discrimina tra professionisti e imprese, prevedendo la tassazione della produzione netta dell’attività economica nell’ambito del territorio regionale.

Tale forma di imposizione presuppone tuttavia l’esistenza di un apparato produttivo che opera ed è in grado di produrre ricchezza indipendentemente dall’apporto personale di un titolare.

Rispetto alle strutture imprenditoriali, tuttavia, le professioni sono spesso esercitate in assenza di struttura produttiva (autonoma organizzazione).

Per tale ragione, la Corte Costituzionale e la Giurisprudenza di legittimità, e quindi l’amministrazione finanziaria, hanno via via escluso dall’ambito applicativo dell’imposta i professionisti privi di autonoma organizzazione.

La questione ha incontrato nuovi sviluppi con le recenti innovazioni della legge di stabilità 2013 (L. 24.12.2012, n. 228), la quale ha codificato il principio a livello normativo.

 

«Chi è» il professionista intellettuale?

Dal punto di vista civilistico, le prestazioni d’opera intellettuale, sono individuate dall’art. 2230 del codice, con rinvio all’art. 2229 che ne prevede l’esercizio distinguendole tra quelle ««regolamentate» e non («la legge determina le professioni intellettuali per l’esercizio delle quali è necessaria l’iscrizione in appositi albi o elenchi»).

Elementi tipici e caratterizzanti delle prestazioni d’opera intellettuali sono, secondo il codice:

  • il carattere intellettuale della prestazione e quindi l’impiego di intelligenza e di cultura in misura prevalente rispetto all’uso di eventuale lavoro manuale;

  • la discrezionalità e autonomia del professionista nell’esecuzione della prestazione;

  • il semplice compimento di un’attività quale oggetto della prestazione indipendentemente dal risultato previsto o raggiunto.

Possono altresì intervenire le norme speciali sugli ordinamenti delle professioni regolamentate, che generalmente attengono all’esclusività della prestazione (ossia alla «riserva» a favore dei soggetti abilitati e iscritti ad albi o elenchi gestiti da ordini e collegi), ai requisiti di accesso e alle norme deontologiche.

 

Le attività svolte in forma associata

L’estensione alla generalità dei professionisti della possibilità di esercitare l’attività professionale in forma associata è avvenuta mediante l’art. 2, primo comma, lett. c), D.L. 223/2006, che comunque vincola il soggetto a partecipare a una sola società e richiede la previa indicazione del professionista o dei professionisti che renderanno la prestazione, sotto la propria personale responsabilità.

L’attività professionale può essere esercitata in forma collettiva attraverso soggetti associativi o mediante società personali, ossia a mezzo di società semplici, in nome collettivo e in accomandita semplice. Nella mancata previsione della possibilità di esercizio della professione attraverso società di capitali, evidentemente, può cogliersi la preoccupazione del legislatore di escludere comunque la partecipazione all’attività professionale da parte di «soci capitalisti», sforniti dei requisiti soggettivi necessari per esercitare la professione tutelando l’affidamento dei terzi (clienti) .

È pure stato rilevato che le società di persone sono sotto il profilo giuridico delle «imprese commerciali», che non potrebbero svolgere un diverso tipo di attività, ad eccezione della società semplice: in quanto «fornitrici» di servizi professionali, quindi, esse operano in un ambito «collaterale» rispetto all’impresa, analogamente a quanto accade per attività quali quelle minerarie, che producono beni senza trasformare materie prime.

Esistono altresì esempi di società professionali disciplinate da norme speciali, come la STP, introdotta dal D.Lgs. 2.2.2001, n. 96, attuativo della direttiva 98/5/CE, per l’esercizio in comune delle attività legali; rispetto a tali società professionali «speciali» si pone un problema di compatibilità con la normativa del 2006, da risolversi – si ritiene – proprio in base al criterio di specialità.

L’oggetto sociale dei soggetti in esame deve essere relativo allo svolgimento in via esclusiva di attività libero-professionale e intellettuale, mono o multidisciplinari. È stato a tale riguardo rimarcato che la definizione di «servizi professionali» rimane piuttosto vaga, potendo comprendere al proprio interno una vasta gamma di attività a maggiore o minore contenuto di competenze specifiche.

 

L’indirizzo espresso dalla Corte Costituzionale

La questione dell’autonoma organizzazione quale presupposto necessario a determinare la debenza dell’IRAP e dei relativi obblighi dichiarativi è stata esaminata nella nota sentenza della Corte Costituzionale 21.5.2001, n. 156, generatrice di una copiosa giurisprudenza di merito in materia.

In via incidentale, pur dichiarando inammissibile la denuncia dell’intero corpo normativo relativo all’IRAP, la Corte ha in tale sede affermato che «mentre l’elemento organizzativo è connaturato alla nozione stessa di impresa, altrettanto non può dirsi per quanto riguarda l’attività di lavoro autonomo, ancorché svolta con carattere di abitualità, nel senso che è possibile ipotizzare un’attività professionale svolta in assenza di organizzazione di capitali o lavoro altrui. Ma è evidente che nel caso di una attività professionale che fosse svolta in assenza di elementi di organizzazione – il cui accertamento, in mancanza di specifiche disposizioni normative, costituisce questione di mero fatto – risulterà mancante il presupposto stesso dell’imposta sulle attività produttive, per l’appunto rappresentato, secondo l’art. 2, dall'”esercizio abituale di un’attività autonomamente organizzata diretta alla produzione o allo scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi”, con la conseguente inapplicabilità dell’imposta stessa».

Con la propria risoluzione 31.5.2002, n. 32/E, l’Agenzia delle Entrate è successivamente intervenuta per riaffermare che l’autonomia organizzativa sussiste in tutti i casi in cui vi è lavoro autonomo, mentre sono escluse da imposizione solamente le fattispecie assimilate e il lavoro autonomo occasionale.

 

Giurisprudenza e prassi

La giurisprudenza italiana di legittimità è intervenuta sull’IRAP, dopo la pronuncia della Consulta, con la sentenza della Corte di Cassazione, Sezione Tributaria, 5.11.2004, n. 21203.

È stata affermata in tale pronuncia, in relazione alla fattispecie esaminata (nella quale la debenza del tributo era contestata da un ingegnere sulla base dell’«asserita insussistenza di struttura organizzativa, alla mancanza di dipendenti o collaboratori ed alla mancanza di capitali conseguiti a seguito di mutuo»), la bontà della decisione dei giudici di merito – CTP e CTR -, i quali avevano ritenuto sufficienti le prove documentali che, «in presenza di beni strumentali e di occasionali compensi a terzi, escludevano, nell’esercizio della professione del contribuente, sia l’esistenza di una struttura organizzativa stabile, con lavoratori subordinati o con collaboratori parasubordinati, sia l’impiego di capitali provenienti da mutui esterni».

In definitiva, secondo i principi «distillati» dalla Cassazione, l’appuramento della sussistenza o dell’insussistenza del presupposto applicativo dell’autonoma organizzazione dovrebbe essere effettuato caso per caso, considerando la specifica situazione del professionista, che può operare anche senza avvalersi di strutture «pesanti».

È inoltre stato posto in evidenza che, dopo la «presa d’atto» della posizione ufficiale della CGCE sull’IRAP nel suo complesso, la questione dei lavoratori autonomi sprovvisti di autonoma organizzazione dovrebbe essere discussa nell’ambito di una «maxi-udienza» della Sezione Tributaria della S.C. (con la riunione di una serie di fascicoli relativi a cause pendenti), con l’emanazione di una soluzione univoca sulla questione.

Nel c.d. «IRAP day» (8.2.2007), la Corte di Cassazione è intervenuta su 89 controversie pendenti in tema di realizzazione del presupposto dell’IRAP.

La Corte si è allineata in generale alle osservazioni della Consulta in materia di organizzazione autonoma delle attività professionali, non discostandosi dalla considerazione di fondo, in base al quale, certo, l’attività professionale può fondarsi sulla mera opera intellettuale del precettore di reddito, ma, in presenza di un «apparato» esterno alla persona dell’artista o professionista, sorgerebbe il presupposto d’imposta.

Contrariamente, quindi, a quanto affermato dalle interpretazioni più restrittive, può esistere l’artista/professionista indipendente non soggetto all’IRAP, ma – evidentemente – solamente in ipotesi nella pratica residuali, allorquando l’«apparato esterno» sia irrilevante o nullo.

Nella propria circolare n. 45/E del 13.6.2008, accogliendo la nozione di autonoma organizzazione come dirimente rispetto alla verifica della debenza dell’IRAP (e dunque componente del presupposto soggettivo del tributo), l’Agenzia delle Entrate ha riscontrato tale concetto come un quid pluris apprezzabile, idoneo a fornire al professionista un apporto sostanziale, e non necessariamente come un apparato organizzativo suscettibile di «eclissare» la figura del professionista.

Nella sentenza n. 3678 del 2007, più volte richiamata dall’Agenzia a supporto delle proprie osservazioni, il requisito dell’autonoma organizzazione, il cui accertamento spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, era ritenuto sussistere se il lavoratore autonomo:

  • era, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione, non risultando quindi inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse;

  • impiegava beni strumentali eccedenti le quantità che secondo l’id quod plerumque accidit costituivano il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività anche in assenza di organizzazione, oppure si avvaleva in modo non occasionale di lavoro altrui.

In presenza di esercizio dell’attività in forma associata, dovrebbe potersi riconoscere sempre il presupposto dell’autonoma organizzazione (ciò che può ricavarsi dalla sentenza della Sezione Tributaria della Corte di Cassazione 28.1.2009, n. 2030).

 

L’orientamento più recente della Cassazione

Gli indirizzi giurisprudenziali più recenti consentono di verificare cosa sia, per la giurisprudenza di legittimità, l’autonoma organizzazione, e a quali caratteri essa si leghi inscindibilmente.

Si segnala a questo riguardo l’ordinanza n. 5320 del 3.4.2012 della Corte di Cassazione, che su ricorso dell’Agenzia delle Entrate ha cassato con rinvio alla CTR il contenzioso di merito che aveva dato ragione al contribuente.

Quest’ultimo, medico otorinolaringoiatra, aveva richiesto il rimborso dell’IRAP versata per il periodo di imposta 1998, in quanto asseritamente non dovuta in assenza del presupposto impositivo dell’autonoma organizzazione.

Secondo la parte ricorrente per cassazione, i giudici della CTR avevano erroneamente negato che l’attività professionale del contribuente presentasse la connotazione dell’autonoma organizzazione, ancorché svolta con l’utilizzo di beni strumentali sofisticati e tecnologicamente avanzati e con l’utilizzo di prestazioni fornite in comune per le quali il contribuente aveva corrisposto somme ad altri professionisti.

Inoltre, la Commissione non si era pronunciata sui rilievi proposti nell’appello dell’ufficio sul rilevante valore dei beni utilizzati dal professionista e sul rilevante importo dei compensi corrisposti a terzi.

La Corte è intervenuta sui punti controversi richiamando la propria precedente giurisprudenza (sentenze Cass. n. 3672/2007, SS.UU. n. 12108/2009, n. 10240/2010, n. 21122/2010, n. 8556/2011), secondo la quale in materia di IRAP l’esercizio per professione abituale, ancorché non esclusiva, di attività di lavoro autonomo diversa dall’impresa commerciale costituisce presupposto dell’imposta – in coerenza con le indicazioni fornite dalla Corte Costituzionale nella propria sentenza n. 156/2001 – solamente qualora si tratti di attività autonomamente organizzata.

«Il requisito dell’autonoma organizzazione, il cui accertamento spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, ricorre quando il contribuente che eserciti attività di lavoro autonomo:

a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione, e non sia quindi inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse;

b) impieghi beni strumentali eccedenti le quantità che, secondo l’id quod plerumque accidit, costituiscono nell’attualità il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività anche in assenza di organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui».

Fornire la prova dell’assenza delle condizioni indicate è onere del contribuente che chieda il rimborso dell’imposta asseritamente non dovuta.

Secondo la Corte, «alla stregua di tali consolidati principi devono ritenersi integrativi del requisito dell’autonoma organizzazione tanto l’utilizzo di attrezzature tecnologiche di rilevante valore quanto l’impiego non occasionale di lavoro altrui, anche se non prestato nelle forme del contratto di lavoro dipendente» .

Ciò evidenziato, la Cassazione ha fatto presente che la CTR aveva trascurato i principi sopra enunciati, motivando contraddittoriamente la propria decisione, giacché aveva fatto riferimento a beni «sofisticati e tecnologicamente avanzati» e aveva osservato che il contribuente aveva corrisposto a terzi delle somme non indifferenti per i loro servizi, affermando però l’irrilevanza dei suddetti beni e la non assoggettabilità all’IRAP del professionista «senza collaboratori».

 

Il controllo, il Fisco e i beni strumentali

È evidente che il possesso da parte del lavoratore autonomo di dotazioni strumentali utilizzate nell’esercizio della professione, così come di rapporti di lavoro dipendente instaurati con singoli collaboratori, etc., rivela una presumibile maggior attitudine della «struttura» – ossia dello studio – a produrre «materia imponibile».

Non può neppure escludersi, in verità, la presenza di beni a utilizzo promiscuo (studio-abitazione, automobile, etc.), i quali tra l’altro potrebbero assumere rilevanza nell’ambito di un accertamento sintetico, fondato sul c.d. redditometro.

A tale riguardo, si rammenta che il nuovo redditometro (previsto dalla versione dell’art. 38 del D.P.R. n. 600/1973 modificata a opera del D.L. 31.5.2010, n. 78, convertito dalla L. 30.7.2010, n. 122) si è tradotto nelle disposizioni attuative «a regime» del D.M. 24.12.2012.

Tale metodologia sintetica di determinazione del reddito si fonda principalmente:

  • sulle spese sostenute dai contribuenti che risultano in anagrafe tributaria;

  • sui consumi medi divisi per tipologia di contribuente risultanti dalle indagini ISTAT;

  • sugli incrementi patrimoniali valutati al netto dei disinvestimenti.

In questo contesto, il professionista è posto di fronte a un dilemma organizzativo: non appena si prospettasse l’esigenza di una crescita dimensionale, dovrebbe valutare il «vantaggio comparativo» costituito da uno studio più grande ed efficiente, rispetto al più tenue regime fiscale (e alle minori possibilità di controllo) cui si associa un’attività più «ridotta».

I professionisti potrebbero quindi adottare delle strategie elusive fondate sull’interposizione di strutture strumentali societarie (ad esempio, una S.r.l. che gestisca le immobilizzazioni dello studio, nel tentativo di eludere l’IRAP)1.

Questi soggetti interposti, se contestabili in linea generale perché non sorretti da valide ragioni economiche, potrebbero in verità risultare giustificati (alla luce sia dell’art. 37, terzo comma, che dell’art. 37-bis del D.P.R. n. 600/1973) se costituiti da una società/associazione professionale, atteso che per l’amministrazione dei beni e dei servizi «ausiliari» (ad esempio, segreteria, reception, stipula dei contratti di utenza, etc.) potrebbe essere affermata l’opportunità di una gestione autonoma rispetto a quella dell’attività professionale vera e propria.

Tale circostanza, in verità, non viene affatto contestata – come si evince dai molti pareri emessi in sede di «sindacato» antielusivo in senso favorevole al c.d. spin-off immobiliare – allorquando si tratti di riconoscere alle imprese la gestione separata, a mezzo di due società, della parte commerciale e di quella immobiliare-strumentale.

 

Le novità della legge di stabilità 2013

La legge di stabilità 2013 – L. 24.12.2012, n. 228 – ha cambiato profondamente la situazione che interessa i professionisti privi di autonoma organizzazione ai fini IRAP, prevedendone un differente trattamento tributario rispetto ai soggetti «ordinari».

In particolare, il comma 515 dell’art. 1 della legge ha stabilito che, nello stato di previsione del Ministero dell’Economia e delle Finanze è istituito, a decorrere dal 2014, un fondo finalizzato ad escludere dall’ambito di applicazione dell’IRAP le persone fisiche esercenti:

le attività commerciali indicate all’art. 55 del TUIR (imprenditori individuali);

arti e professioni.

L’esclusione dal tributo opererà a condizione che i predetti soggetti non si avvalgano di lavoratori dipendenti o assimilati, e impieghino, anche mediante locazione, beni strumentali di ammontare non eccedente una determinata soglia, da fissare con decreto del Ministro dell’Economia e delle Finanze, adottato previo parere conforme delle Commissioni parlamentari competenti per i profili finanziari (le quali dovrebbero esprimersi 30 giorni dalla data di trasmissione del relativo schema).

Per causare l’esclusione dall’obbligo di versamento, il professionista o il piccolo imprenditore non dovrà impiegare lavoratori dipendenti o assimilati (come ad esempio i. collaboratori coordinati e continuativi, nelle varie forme contrattuali «flessibili»), né utilizzare beni strumentali eccedenti il limite prestabilito dal provvedimento.

L’esclusione dall’IRAP, ferma restando la condizione dell’emanazione del decreto attuativo, dovrebbe applicarsi a partire dal periodo di imposta 2014 (UNICO 2015).

 

8 aprile 2013

Fabio Carrirolo

1 Le società costituite e mantenute dai professionisti per la gestione di beni in regime d’impresa sono state viste come fenomeni «abusivi», e ciò è ben documentato da almeno due pronunce ufficiali (risoluzione dell’Agenzia delle Entrate 17.9.2002, n. 305/E; parere del soppresso Comitato Consultivo per l’applicazione delle norme antielusive 21.7.2004, n. 14). Si rammenta a tale riguardo che, ai sensi dell’art. 37, c.3, D.P.R. 29.9.1973, n. 600, in sede di rettifica o di accertamento d’ufficio, «sono imputati al contribuente i redditi di cui appaiono titolari altri soggetti quando sia dimostrato, anche sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti, che egli ne è l’effettivo possessore per interposta persona».