Investimenti patrimoniali con soldi ricevuti dai familiari

L’investimento patrimoniale effettuato con soldi ricevuti dai genitori (caso molto frequente nella società italiana) salva il contribuente dall’accertamento sintetico?

L’accertamento sintetico – Principio

In tema di accertamento sintetico il giudice di merito tributario può fondare la propria decisione sulle dichiarazioni scritte, prodotte in atti, del padre del contribuente, il quale asserisce di avere ottenuto un finanziamento bancario il cui importo aveva versato al figlio per permettergli di effettuare l’investimento patrimoniale, con onere per questi di successiva restituzione.

E’ sufficiente la prova, a favore del contribuente, della certificazione bancaria della concessione della apertura di credito a favore del padre di costui.

Nel processo tributario, fermo restando il divieto di ammissione della prova testimoniale posto dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 7, il potere di introdurre dichiarazioni rese da terzi in sede extraprocessuale (col valore probatorio

“proprio degli elementi indiziari, i quali, mentre possono concorrere a formare il convincimento del giudice, non sono idonei a costituire, da soli, il fondamento della decisione”

va riconosciuto non solo all’Amministrazione finanziaria, ma anche al contribuente) col medesimo valore probatorio, dandosi così concreta attuazione ai principi del giusto processo come riformulati nel nuovo testo dell’art. 111 Cost., per garantire il principio della parità delle armi processuali nonchè l’effettività del diritto di difesa.

Nella specie, la CTR non ha fondato la decisione unicamente sulle dichiarazioni del padre del contribuente, valutabili, appunto, come elemento indiziario a favore di costui, ma le ha ritenute integrate dalla prova documentale, secondo cui l’apertura di credito al padre era stata effettivamente concessa poco tempo prima dell’investimento immobiliare che, attribuito a mezzi propri del figlio, aveva dato causa all’accertamento.

Tali principi sono stati statuiti dalla Cass. civ. Sez. V, con sentenza del 27-03-2013, n. 7707.

 

Vicenda

accertamento sinteticoNel caso di specie, il giudice del gravame ha accolto il ricorso di un contribuente avverso l’avviso d’accertamento con il quale era stato elevato il suo reddito per l’anno 1999, in forza d’investimenti patrimoniali dallo stesso effettuati nel periodo d’imposta.

Il fisco ha proposto ricorso per cassazione, per avere il giudice del gravame, fondato la decisione esclusivamente sulle dichiarazioni scritte, prodotte in atti, del padre del contribuente, il quale asseriva di avere ottenuto un finanziamento bancario il cui importo aveva versato al figlio per permettergli di effettuare l’investimento, con onere per questi di successiva restituzione.

Inoltre, per il fisco la sentenza impugnata era censurabile poiché aveva ritenuto sufficiente, a favore del contribuente, la certificazione bancaria della concessione della apertura di credito a favore del padre del contribuente .

Per il fisco la dichiarazione del padre del contribuente non avrebbe dovuto essere presa in considerazione in quanto in contrasto con il divieto di prova testimoniale vigente nel sistema del processo tributario.

 

 

Dichiarazione di terzi utilizzabile se suffragata da un elemento di riscontro

Gli Ermellini, con la sentenza n. 7707 depositata il 27 marzo 2013, hanno confermato la sentenza del giudice del gravame che aveva accolto il ricorso presentato da un contribuente contro un avviso di accertamento che gli era stato notificato per contestare l’eccessività di un investimento rispetto ai redditi dichiarati.

In particolare, i giudici di secondo grado avevano ritenuto esaustive le argomentazioni rese dal contribuente il quale si era difeso sostenendo che l’investimento era stato possibile grazie al prestito che il padre gli aveva fatto dopo aver ottenuto un finanziamento bancario.

I giudici di Cassazione, tuttavia, hanno spiegato che il divieto sancito dall’articolo 7 del Decreto legislativo n. 546/92 deve essere interpretato con elasticità soprattutto se, come nel caso in esame, la dichiarazione del teste venga suffragata da un altro elemento di riscontro. Elemento che, nella specie, era rinvenibile nella certificazione bancaria dell’apertura di credito a nome del padre, depositata in atti.

(leggi Processo tributario, ammessa dichiarazione di terzi >>)

 

Prova liberatoria

Il contribuente ha facoltà di giustificare il suo tenore di vita provando di aver riscosso somme a titolo di disinvestimenti patrimoniali, di aver ottenuto finanziamenti, di essere stato beneficiario di eredità, donazioni, vincite e risarcimenti patrimoniali

Il contribuente al fine di ridurre o azzerare la pretesa impositiva, può dimostrare che le spese sono state sostenute da altri soggetti autonomamente titolari di reddito(gli elementi indicativi di capacità contributiva trovano talvolta spiegazione nei redditi posseduti da altri componenti il nucleo familiare) oppure che non ha avuto la disponibilità del bene o del servizio nell’anno di imposta interessato da accertamento

La prova liberatoria del contribuente in tema di accertamento sintetico può essere costituita da copia degli assegni e dei bonifici tratti o disposti su conti correnti bancari intestati ai genitori del contribuente stesso (CTR di Roma 07-06-2011 n.270 sez. 48).

Non è legittimo il ricorso all’accertamento sintetico allorquando gli incrementi patrimoniali (nella specie, acquisto di bene immobile) non giustificabili sulla base del reddito imponibile dichiarato siano il frutto di elargizioni o finanziamenti da parte del coniuge, documentalmente comprovati (sent. n. 8 del 13 gennaio 2009 della CTP di Lecce, Sez. VIII)

La sentenza 376/09 della CTR della Campania (sezione staccata di Salerno) ha stabilito che la prova contraria al redditometro può essere data anche facendo riferimento al reddito dei familiari.

La CTP di Lecce, sezione 3ª, con la sentenza n. 224, pronunciata il 23 maggio 2008 e depositata il 5 marzo 2009, ha accolto le doglianze del contribuente che ha provato in giudizio che il maggior reddito imputatogli era proveniente da elargizioni del padre adottivo.

Non è fondato l’accertamento sintetico in relazione all’incremento patrimoniale costituito dall’acquisto di fabbricato qualora il contribuente, avuto riguardo all’età ed alle condizioni socio-economiche e familiari, possa avere ricevuto una provvista di liquidità donata dal genitore convivente anche in considerazione della contrazione da parte di quest’ultimo di un mutuo bancario.

In caso di accertamento da redditometro il contributo finanziario fornito dai familiari e le sopravvenienze attive dei depositi bancari, sono prove utili a dimostrare la compatibilità della capacità contributiva con le spese sostenute e, quindi, a neutralizzare la pretesa del fisco.

Agli effetti dell’applicazione della disciplina dell’accertamento sintetico deve aversi riguardo anche al contesto socio-familiare del contribuente il quale, in assenza di redditi autonomamente prodotti può fruire delle sostanze dei familiari al fine di giustificare le spese contestate, attingendo alle altrui fonti di reddito (CT di Primo Grado di Trento, Sezione II, Sentenza n. 73 del 23 settembre 2010).

La contribuente separata e che vive con i genitori può provare che le somme necessarie per mantenere il possesso della autovettura le derivano dall’aiuto dei genitori. Occorre tener conto che la madre della contribuente aveva contratto un mutuo per aiutare la figlia (CTP di Latina 09-03-2012 n.61 sez. 4).

Gli elementi sui quali fondare l’accertamento sintetico non devono rivelarsi imprecisi né contraddittori; per la validità dell’accertamento, inoltre, non devono esserci, nell’ambito del nucleo familiare, tipologie di reddito (quali redditi esenti e sopravvenienze attive dei depositi bancari.) che possano concorrere a giustificare la capacità contributiva dichiarata (CTP di Isernia 20-10-2010 n.134 sez. II).

Secondo la Corte di Cassazione (sentenza n. 17805 del 2012), la prova della donazione indiretta basta a fare cadere l’accertamento sintetico fondato sulla spesa patrimoniale. In particolare, nel caso di acquisto di immobile effettuato dal figlio, ove il genitore abbia di fatto elargito il denaro, si è in presenza di una donazione indiretta non del denaro ma dell’immobile, con tutto ciò che ne può conseguire in merito alla prova contraria sull’accertamento fondato sulla spesa patrimoniale.

Quindi, se il figlio pone in essere un acquisto di un immobile e uno dei genitori, ha dichiarato di elargire il denaro, a prescindere dalle problematiche civilistiche che ciò può comportare, va da sé che, ove l’effettivo esborso del denaro da parte del genitore abbia un dovuto riscontro probatorio, l’accertamento sintetico a carico del figlio/contribuente è destituito di fondamento, essendo integrata la prova contraria.

Secondo la sentenza n. 5991 del 17 marzo 2006 del giudice di legittimità ove l’Amministrazione proceda all’accertamento dei redditi del contribuente in base alla presunzione secondo cui l’acquisto di beni di ingente valore è indizio del possesso di un reddito adeguato a sorreggere l’acquisto stesso, il contribuente che, per contrastare simile presunzione, sostenga che il contratto di acquisto era simulato in quanto i beni in questione gli erano stati donati dagli (apparenti) venditori, può fornire la prova di ciò con ogni mezzo, non essendo una simile prova impedita dall’art. 1415, c. 1, c.c. (inopponibilità della simulazione ai terzi in buona fede).

 

10 aprile 2013

Ignazio Buscema

 

 

Cass. civ. Sez. V, Sent., 27-03-2013, n. 7707

Fatto Diritto P.Q.M.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. CHINDEMI Domenico – Consigliere –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna Concetta – rel. Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 27955/2009 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

– ricorrente –

contro

M.A., elettivamente domiciliato in ROMA VIA TEMBIEN 15, presso lo studio dell’avvocato MUSTO FLAVIO, che lo rappresenta e difende giusta delega a margine;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 106/2008 della COMM. TRIB. REG. di ROMA, depositata il 28/10/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 06/02/2013 dal Consigliere Dott. MARIA GIOVANNA C. SAMBITO;

udito per il controricorrente l’Avvocato MUSTO che ha chiesto il rigetto;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SEPE Ennio Attilio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Svolgimento del processo

L’Agenzia delle Entrate propone ricorso per la cassazione della sentenza della CTR del Lazio n. 106/12/08, depositata il 28.10.2008, che, in riforma della decisione della CTP di Roma, aveva accolto il ricorso di M.A. avverso l’avviso d’accertamento con il quale era stato elevato il suo reddito per l’anno 1999, in forza d’investimenti patrimoniali dallo stesso effettuati nel periodo d’imposta.

Il contribuente resiste con controricorso, illustrato con memoria.

 

Motivi della decisione

Col primo motivo, la ricorrente deduce violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, (divieto di prova testimoniale), per avere la CTR fondato la decisione esclusivamente sulle dichiarazioni scritte, prodotte in atti, del padre del contribuente, il quale asseriva di avere ottenuto un finanziamento bancario il cui importo aveva versato al figlio per permettergli di effettuare l’investimento, con onere per questi di successiva restituzione.

Col secondo motivo, l’Agenzia deduce insufficiente motivazione su un fatto decisivo della controversia in quanto la CTR da una parte, afferma che il presupposto impositivo era costituito dalla presunzione di possesso di reddito per gli anni successivi all’investimento, così fraintendendo l’assunto dell’Ufficio, e dall’altra, ritiene sufficiente prova, a favore del contribuente, la certificazione bancaria della concessione della apertura di credito a favore del padre di costui, “ritenendo implicitamente che tale prova non potesse essere fornita dalle dichiarazioni rese alla Commissione dal padre del contribuente”. Entrambi i motivi sono infondati.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 11785 del 2010;

n. 4269 del 2002) “nel processo tributario, fermo restando il divieto di ammissione della prova testimoniale posto dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 7, il potere di introdurre dichiarazioni rese da terzi in sede extraprocessuale – con il valore probatorio “proprio degli elementi indiziari, i quali, mentre possono concorrere a formare il convincimento del giudice, non sono idonei a costituire, da soli, il fondamento della decisione” (cfr. Corte costituzionale, sent. n. 18 del 2000) – va riconosciuto non solo all’Amministrazione finanziaria, ma anche al contribuente – con il medesimo valore probatorio -, dandosi così concreta attuazione ai principi del giusto processo come riformulati nel nuovo testo dell’art. 111 Cost., per garantire il principio della parità delle armi processuali nonchè l’effettività del diritto di difesa”. Nella specie, la CTR non ha fondato la decisione unicamente sulle dichiarazioni- del padre del contribuente, valutabili, appunto, come elemento indiziario a favore di costui, ma le ha ritenute integrate dalla prova documentale, secondo cui l’apertura di credito al padre era stata effettivamente concessa poco tempo prima dell’investimento immobiliare che, attribuito a mezzi propri del figlio, aveva dato causa all’accertamento.

Conseguentemente non è fondato il primo mezzo, in quanto la CTR ha ritenuto la fondatezza del ricorso in forza di due diversi elementi probatori tra loro congruenti (e non soltanto di uno solo di essi) ed anche il secondo per lo stesso motivo, risultando la decisione correttamente motivata sul piano giuridico e logico, dovendosi escludere rilievo all’obiter dictum sul presupposto dell’accertamento, essendo ben specificato in sentenza che il reddito accertato e l’investimento erano relativi all’anno 1999.

Il ricorso va, in conclusione, rigettato e la ricorrente va condannata a pagare al contribuente le spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano in Euro 4.700,00, di cui Euro 200,00 per spese, oltre accessori di legge.

 

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in Euro 4.700,00, oltre accessori di legge.