L’utilizzo di finanziamenti bancari sottoscritti all’estero configura una prassi suscettibile di contestazione di abuso del diritto tributario italiano?
Con R.M. n. 20/E del 28 marzo 2013 l’Agenzia delle Entrate è intervenuta, a seguito di richiesta di chiarimenti, sui contratti di finanziamento bancario a medio e lungo termine stipulati all’estero e sugli eventuali profili elusivi.
Il quesito
Il quesito investe il corretto trattamento da riservare, ai fini dell’applicazione dell’imposta sostitutiva sui finanziamenti, ai contratti relativi ad operazioni di finanziamento a medio e lungo termine stipulati all’estero e destinati a produrre effetti giuridici principalmente in Italia.
In particolare, è stata rappresentata la fattispecie della stipula all’estero di operazioni di finanziamento nelle quali:
- le parti contraenti sono entrambe residenti in Italia;
- i finanziamenti sono concessi per finalità operative sul territorio nazionale;
- i contratti sono formati per atto pubblico firmato all’estero e sottoposti alla giurisdizione italiana.
Sulla base di tale rappresentazione è stato richiesto se il comportamento posto in essere dalle parti possa essere censurato alla luce del principio del divieto di abuso del diritto, in quanto la circostanza che la mera sottoscrizione dei contratti avvenga al di fuori dei confini dello Stato può apparire finalizzata ad ottenere un indebito vantaggio fiscale, anche in considerazione del fatto che detti contratti di finanziamento, sebbene formalmente sottoscritti all’estero, sono di fatto formati nel territorio dello Stato.
Infatti, le principali fasi del processo di erogazione del finanziamento sono normalmente effettuate da articolazioni interne di istituti di credito, aventi sede in Italia, e terminano con l’assunzione da parte del consiglio di amministrazione degli istituti stessi della delibera, per effetto della quale i fidi sono immediatamente erogabili.
Generalmente, quindi, tutti gli atti necessari per l’erogazione del finanziamento sono predisposti in Italia e vengono trasmessi all’estero solo successivamente, esclusivamente per la stampa e la sottoscrizione dell’atto.
Per l’istante, si potrebbe ritenere che la conclusione del contratto, inteso come luogo in cui viene raggiunto il consenso negoziale, avviene sul territorio nazionale, mentre all’estero viene meramente sottoscritto il contratto di fatto già concluso in Italia.
La risposta delle Entrate
In apertura, le Entrate sottolineano, per quanto concerne il richiamo al principio dell’abuso del diritto, che lo stesso, secondo costante giurisprudenza, si sostanzia nel divieto di
“trarre indebiti vantaggi fiscali dall’utilizzo distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un risparmio fiscale, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l’operazione, diverse dalla mera aspettativa di quel risparmio fiscale” (Cassazione, sezioni unite, nn. 30055, 30056 e 30057 del 2008).
L’abuso del diritto, quindi, per la stessa Amministrazione finanziaria, sembra
“essere stato individuato dalla giurisprudenza nell’utilizzo distorto di strumenti giuridici senza alcuna valida ragione economica diversa dal risparmio d’imposta cui la stessa operazione posta in essere è finalizzata.”
In linea generale, dunque, il luogo di sottoscrizione del contratto, di per sé considerato ed in assenza di ulteriori elementi, non sembra rientrare nella definizione di abuso del diritto finora elaborata dalla giurisprudenza, per la configurazione della quale appare necessario un quid pluris idoneo a realizzare “l’utilizzo distorto di strumenti giuridici” finalizzato all’ottenimento di un risparmio fiscale.
Diversa questione, riguarda, invece, l’individuazione del momento di formazione dell’atto, al fine di stabilire se tale momento si realizzi in Italia o all’estero.
Per l’individuazione degli atti soggetti all’imposta sostitutiva si applicano i criteri dettati per l’imposta di registro che, in particolare, all’art. 2 del DPR 26 aprile 1986, n. 131 (di seguito TUR) dispone che
“Sono soggetti a registrazione…:
a) gli atti indicati nella tariffa, se formati per iscritto nel territorio dello Stato;…”.
Ai sensi dell’art. 1326 del codice civile (“Conclusione del contratto”)
“Il contratto è concluso nel momento in cui chi ha fatto la proposta ha conoscenza dell’accettazione dell’altra parte”.
Pertanto, in linea di principio, il contratto si considera concluso al momento della contestuale sottoscrizione ad opera delle parti oppure quando chi ha fatto la proposta ha conoscenza dell’accettazione dell’altra parte.
Per le Entrate, quindi, la “formazione” dell’atto si verifica
“alla conclusione del contratto realizzata secondo le modalità appena evidenziate (sottoscrizione contestuale oppure momento di conoscenza dell’accettazione da parte del proponente qualora proposta ed accettazione non siano contestuali)”.
Nel caso specifico, la forma pubblica non è prevista ad substantiam per la conclusione del contratto di finanziamento. Infatti, come si rileva dall’art. 117 del Decreto Legislativo 1° settembre 1993, n. 385 (Testo Unico Bancario),
“I contratti sono redatti per iscritto e un esemplare è consegnato ai clienti”.
Per tali contratti è richiesta la forma scritta ma non è necessario l’atto pubblico o la scrittura privata autenticata. Pertanto, essi possono essere conclusi in forma di scrittura privata semplice.
Conseguentemente, osservano gli estensori della R.M. n.20/2013
“qualora con riferimento a fattispecie del tipo rappresentato, il consenso negoziale in ordine agli elementi essenziali del contratto di finanziamento risulti già da scrittura privata semplice, prima che da atto pubblico o da scrittura privata autenticata sottoscritta all’estero, si può ritenere che l’atto è formato per iscritto nel territorio dello Stato e, quindi, ricade nell’ambito applicativo dell’imposta sostitutiva.
In tal caso, infatti, l’atto pubblico o la scrittura privata autenticata sottoscritta all’estero concretizza una mera riproposizione dell’accordo già raggiunto con la scrittura privata semplice e non assume rilevanza ai fini del presupposto di territorialità di cui al citato articolo 2 del TUR”.
Tale fattispecie potrebbe ricorrere, ad esempio, secondo le Entrate, laddove venga reperito in sede di controllo un term sheet o altra documentazione da cui risulti già avvenuta la formazione del consenso in ordine agli elementi essenziali del contratto di finanziamento riproposti con l’atto pubblico o la scrittura privata autenticata sottoscritta all’estero.
Aspetti sanzionatori
La R.M. n. 20/2013 chiude rammentando che gli enti che effettuano le operazioni rilevanti ai fini dell’imposta sostitutiva devono dichiarare, ai sensi dell’art. 20 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 601, le somme sulle quali si commisura l’imposta dovuta.
In particolare, devono essere presentate due dichiarazioni, di cui la prima relativa alle operazioni effettuate nel primo semestre dell’esercizio e la seconda relativa alle operazioni effettuate nel secondo periodo dell’esercizio stesso.
Le dichiarazioni devono essere presentate entro tre mesi, rispettivamente, dalla scadenza del primo semestre e dalla chiusura dell’esercizio (art. 8 c. 4. DL 27 aprile 1990 n. 90, convertito dalla legge 26 giugno 1990 n. 165).
Inoltre, l’art. 20, c. 5, del D.P.R. n. 601 del 1973 rinvia alle norme in materia di imposta di registro per quanto concerne:
- la rettifica dell’imponibile e l’accertamento;
- le sanzioni per l’omissione o l’infedeltà della dichiarazione;
- la riscossione del tributo;
- il contenzioso;
- e per quanto altro riguarda l’applicazione dell’imposta sostitutiva.
Sullo specifico tema delle sanzioni, l’art. 3 del decreto del Ministero delle Finanze del 28 febbraio 1975, n. 2456, richiama le norme dell’imposta di registro dettate dal DPR 26 ottobre 1972, n. 634 (attualmente sostituito dal TUR).
In particolare, in caso di omessa o tardiva presentazione della dichiarazione si applicano le sanzioni di cui all’articolo 69 del UR, previste nella misura dal centoventi al duecentoquaranta per cento dell’imposta dovuta.
In tale circostanza, l’imposta deve essere richiesta, a pena di decadenza, entro il termine di cinque anni dalla data entro la quale la dichiarazione avrebbe dovuto essere presentata, ai sensi dell’art. 76, c, 1, del TUR.
Qualora la dichiarazione sia stata presentata ma risulti infedele, si applicano le sanzioni stabilite per l’occultazione di corrispettivo dall’art. 72 del TUR, stabilite nella misura dal duecento al quattrocento per cento della differenza tra l’imposta dovuta e quella già applicata.
In tale circostanza, l’imposta deve essere richiesta, a pena di decadenza, entro il termine di tre anni decorrenti dalla data di presentazione della dichiarazione, ai sensi dell’art. 76, c. 2, lett. b, del TUR.
24 aprile 2013
Roberta De Marchi