ecco un’analisi delle motivazioni per le quali il nuovo redditometro è da considerarsi contrario al dispositivo normativo italiano
I nuovi parametri per l’accertamento sintetico del reddito, introdotti con D.M. 24.12.2012 e che dovrebbero essere a breve utilizzati dall’amministrazione finanziaria per le dichiarazioni 2010 (anno d’imposta 2009), ledono “non già la sola riservatezza, ma la stessa libertà individuale come potenzialità di autodeterminazione”: tale metodologia, pertanto, in ossequio a quando previsto dall’art. 5 della L. 2248/1865 e in quanto introdotta con atto amministrativo non conforme a legge, va disapplicata dal giudice che deve considerarla “radicalmente nulla e, quindi – sotto il profilo dell’efficacia – giuridicamente tamquam non esset, mancando il presupposto previsto dall’art. 38 perché l’Agenzia delle Entrate possa eseguire gli accertamenti sintetici mercè il c.d. redditometro”.
Così si esprime, in una lunga e ben articolata sentenza, il giudice del tribunale di Napoli, sez. stac. di Pozzuoli, in risposta ad una domanda cautelare avanzata da un pensionato, accolta dal magistrato che ha ordinato all’Agenzia delle Entrate “di non intraprendere alcuna ricognizione, archiviazione, o comunque attività di conoscenza e utilizzo dei dati relativi a quanto previsto dall’art. 38, 4° e 5° comma dpr 600/1973 e di cessare, ove iniziata, ogni attività di accesso, analisi, raccolta dati di ogni genere relativi alla posizione del ricorrente”.
IL NUOVO REDDITOMETRO
Com’è noto, il nuovo redditometro ha individuato il contenuto induttivo degli elementi indicativi di capacità contributiva (cioè le spese degne di attenzione, da confrontare con i redditi esposti dal contribuente, per comprendere se lo stesso ha avuto un tenore di vita adeguato a quanto dichiarato) sulla base dei quali può essere fondata la determinazione sintetica del reddito complessivo delle persone fisiche.
Le voci del neonato accertamento sintetico (Tab. A del decreto, divisa in due macrocategorie: consumi e investimenti) sono state aggiornate dopo uno studio approfondito durato quasi 3 anni, arrivando a comprenderne oltre 100, suddivise in ulteriori 7 grandi classi, tra le quali: abbigliamento, abitazione, generi alimentari, animali domestici, assicurazioni, attività sportive, istruzione (tasse universitarie, libri scolastici, ecc.), mezzi di trasporto (bollo, manutenzione veicoli, abbonamenti pubblici, ecc.), spese sanitarie.
Come spiega la stessa Agenzia nel comunicato stampa del 20 gennaio scorso, il nuovo redditometro riguarda sempre il singolo contribuente, calato però all’interno di un determinato contesto familiare che vive in una determinata zona del Paese e spende, risparmia, incrementa il patrimonio: assumono, quindi, importanza per il fisco anche gli acquisti effettuati dal coniuge e dagli altri familiari a carico.
L’agenzia delle Entrate amplia, quindi, la platea dei contribuenti (esclusi quelli esercenti attività di impresa e professione, soggetti agli studi di settore), fino a comprendere la totalità delle famiglie italiane (dipendenti pubblici compresi!), che diventano potenzialmente accertabili sulla base delle spese sostenute individualmente e/o da persone appartenenti al proprio nucleo familiare. Ovviamente, come recita l’art. 4 del D.M., il contribuente ha facoltà di dimostrare che il finanziamento delle spese è avvenuto: 1) con redditi diversi da quelli posseduti nel periodo d’imposta; 2) con redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo di imposta, o, comunque, legalmente esclusi dalla formazione della base imponibile; 3) da parte di soggetti diversi dal contribuente, nonché il diverso ammontare delle spese attribuite al medesimo.
LA SENTENZA
Il pronunciamento interviene nel corso di un procedimento cautelare nel quale parte ricorrente individua nel D.M. 24.12.2012 una palese violazione “in materia di diritti fondamentali della personalità … diritti che … sono nella loro esplicazione concreta potenzialmente soggetti in ogni momento alle indagini e controlli fiscali di cui al citato regolamento ministeriale”. Proprio per tale motivo, spiega il giudice, la presente fattispecie rientra nella giurisdizione ordinaria, “posto che il ricorrente nè direttamente, nè indirettamente ha impugnato alcun provvedimento amministrativo, chiedendo esclusivamente emanarsi una pronunzia di accertamento e tutela inibitoria dei propri diritti fondamentali”. Ma, con riferimento alla fattispecie concreta e con riguardo all’art. 38 del D.P.R. n. 600/1973 ed all’art. 21 della L. n. 241/1990, il giudice rileva l’illegittimità/nullità del decreto ministeriale in quanto esso utilizza “categorie concettuali ed elaborazioni non previste dalla norma attributiva, che richiede l’identificazione di categorie di contribuenti, laddove … il d.m. non individua tali categorie ma altro, sottoponendo indirettamente – vista l’ampiezza dei controlli e il riferimento ai nuclei familiari – a controllo anche le spese riferibili a soggetti diversi dal contribuente e per il solo fatto di essere appartenenti al medesimo nucleo familiare…”.
Il nuovo redditometro, secondo il G.O., è censurabile anche sotto tali altri profili:
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non fa alcuna differenziazione tra cluster di contribuenti (come invece imposto dall’art. 38 del D.P.R. n. 600/1973 e dall’art. 53 Cost.), ma, del tutto autonomamente, opera una differenziazione di tipologie familiari suddivise per cinque aree geografiche, così ricollocando, all’interno di ciascuna delle tipologie, figure di contribuenti del tutto differenti fra loro (operaio, impiegato, funzionario, dirigente, chi ha avuto periodi di disoccupazione alternati a periodi di forti guadagni…);
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utilizza come parametro per determinare le spese medie delle famiglie l’attività dell’ISTAT che nulla ha a che vedere con la specificità della materia tributaria;
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viola il diritto alla difesa (art. 24 Cost.), di ragionevolezza (art. 3 Cost.) e sempre il medesimo art. 38 in quando rende impossibile fornire la prova di aver speso meno di quanto risultante dalle predette medie ISTAT (c.d. probatio diabolica);
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accomuna situazioni territoriali differenti;
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viola i principi di eguaglianza, ragionevolezza e proporzionalità in quanto, a ben vedere, non è strumento idoneo a raggiungere in modo adeguato i prefissi obiettivi di repressione dell’evasione fiscale, pur sacrificando del tutto il diritto alla dignità, alla autodeterminazione ed alla privacy della propria vita individuale, associativa, culturale e relazionale non solo del singolo contribuente, ma di tutto il suo nucleo familiare;
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è in contrasto con i principi fondamentali di imparzialità e buon andamento dell’amministrazione, nonché con i conseguenti corollari di cui alla L. n. 241/1990 di leale collaborazione procedimentale, volta ad assicurare uno scambio di informazioni in una logica non di antitesi, ma collaborativa, in quanto il diritto al contraddittorio garantito al contribuente è in gran parte svuotato di effettività (vedi sub. 3);
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il procedimento accertativo è di tipo “eminentemente inquisitorio e sanzionatorio”, ma soprattutto i soggetti a confronto (contribuente e Agenzia) si trovano in posizione di fortissima asimmetria “in quanto l’Agenzia delle Entrate è anche socia della società di riscossione forzata, che gode di poteri di autotutela esecutiva anch’essi del tutto inusuali per la loro incisività sulla proprietà privata, asimmetria che potrebbe essere colmata solo con un confronto innanzi ad un organo terzo”.
BREVI NOTE CONCLUSIVE
La solenne bocciatura del nuovo redditometro viene (inaspettatamente) nel corso di un procedimento cautelare e, quindi, con un’efficacia circoscritta alle sole parti in causa. Tuttavia, l’ampia, interessante e molto dettagliata motivazione e la novità dell’argomento conferiscono al pronunciamento un indubbio interesse non solo per gli addetti ai lavori, ma anche per tutta la vasta platea dei contribuenti, preoccupati dal nuovo strumento accertativo del fisco.
Nonostante le tante rassicurazioni fornite (non verranno prese in considerazione le situazioni in cui c’è uno scostamento tra entrate e uscite inferiore a 1.000 euro al mese, ossia 12.000 euro l’anno; il controllo non scatterà automaticamente al verificarsi dello scostamento del 20%, ma verrà attivato quando la differenza tra reddito dichiarato e spese effettuate risulterà ben oltre quella percentuale; il nuovo accertamento sintetico prevede una doppia fase di contraddittorio: chi ha uscite fortemente discordanti con i redditi dichiarati viene chiamato a fornire chiarimenti. Se dimostra che le spese sono state sostenute con altre fonti – ad esempio, la donazione di un genitore – non parte nessun accertamento. In caso contrario, viene invitato al contraddittorio per definire la ricostruzione del reddito in adesione. Solo se non si raggiunge l’accordo, l’ufficio procederà con il vero e proprio atto di accertamento), ciò che spaventa è la (quasi) impossibilità di poter dare dimostrazione di alcuni fatti che costituiscono esimenti (donazioni, regalie, pagamenti da terzi).
Ma colgono nel segno anche alcune osservazioni del giudice campano in ordine alla paventata situazione di “conflitto di interessi” in cui si troverebbe ad operare l’Agenzia, vincolata al raggiungimento di obiettivi e risultati “sicchè ha filologicamente interesse alla conferma della propria ipotesi, anche in ragione della sua partecipazione alla società di riscossione. Proprio in ragione di ciò, cioè della fisiologica previsione di obiettivi di evasione da recuperare, è evidente che l’accertamento presuntivo mercè il c.d. redditometro, poiché non più ancorato – come nella vecchia disciplina – a dati certi, ma sempre invece possibile, porta seco il rischio che l’Agenzia delle Entrate, anziché intensificare i controlli sulla realtà ai fini della ricostruzione reale dei redditi, tenda invece a privilegiare l’accertamento con il redditometro, strumento meramente burocratico, meno dispendio in tempi di costi e di energia e, soprattutto, strutturato in modo tale da rendere non sempre praticabile un reale ed efficace contraddittorio…”.
12 marzo 2013
Valeria Fusconi