Perdite su crediti: le regole per spesare l'importo irrecuperabile

Vi sono particolari accorgimenti da seguire nello spesare la perdita su crediti, dato che è considerato comportamento anomalo rinunziare al recupero dei crediti; stralciare un credito senza alcun preventivo tentativo di recupero, oltre a rappresentare un comportamento non economico, potrebbe avvalorare il sospetto di un accomodamento tra creditore e debitore, dopo aver tenuto in debita considerazione il beneficio fiscale conseguente alla deducibilità del costo…

crediti inesigibiliL’art. 33 del D.L. 22 giugno 2012 n. 83 (convertito nella Legge 7 agosto 2012 n. 134), apportando una sostanziale modifica all’art. 101 comma 5 del D.P.R. 917/1986 TUIR , ha previsto che gli “elementi certi e precisi” – che legittimano la deducibilità della perdita in capo ai contribuenti titolari di reddito d’impresa – sussistono anche quando il diritto alla riscossione del credito risulti prescritto, a prescindere dall’ammontare (modesto o rilevante) del credito e fuori dai casi di deducibilità “automatica” relativi all’assoggettamento del debitore a procedure concorsuali ed istituti assimilati.

In altre parole, una volta decorso il termine della prescrizione, detti crediti potranno essere dedotti fiscalmente senza che ciò dovrebbe imporre al contribuente la presenza di aggiuntive e rigorose prove documentali.

Questa rappresenta, senza dubbio, un’opportunità per quelle imprese che, in assenza di elementi di certezza e precisione, potranno vedersi riconosciuto un beneficio fiscale allorquando i crediti – per i quali si è ritenuto non sussistere ragionevoli prospettive d’incasso – giungeranno a prescrizione.

In ogni caso, si ritiene difficilmente ipotizzabile il comportamento del contribuente che, in presenza di un credito di importo rilevante, sia rimasto inerte, ovvero non abbia effettuato alcun tentativo (stragiudiziale o giudiziale) per il recupero dello stesso, ma si sia limitato soltanto ad attendere la prescrizione legale del credito in parola.

Non si trascuri al riguardo che, in diverse occasioni, il comportamento remissivo del creditore (che non si è mai attivato per il recupero del credito) è stato valutato negativamente dall’Amministrazione Finanziaria: stralciare un credito senza alcun preventivo tentativo di recupero, oltre a rappresentare un comportamento non economico, potrebbe, infatti, avvalorare il sospetto di un accomodamento tra creditore e debitore, dopo aver tenuto in debita considerazione il beneficio fiscale conseguente alla deducibilità del costo.

Tuttavia, il tenore letterale della norma sembrerebbe indirizzato nel senso di ammettere la deduzione del credito per prescrizione, a prescindere da ogni altra considerazione.

Un’altra problematica, riconducibile alla deducibilità fiscale dei crediti prescritti, è rappresentata dal fatto che il termine di prescrizione non è mai il medesimo per tutte le tipologie di credito.

Infatti, oltre alla prescrizione ordinaria decennale, disciplinata dall’art. 2946 c.c., sono previsti termini più brevi in relazione a determinate fattispecie di rapporti: prescrizione fissata in 5 anni per i crediti derivanti da somministrazioni di beni e servizi da cui scaturiscono pagamenti periodici, ovvero per i crediti relativi ad indennità spettanti per la cessazione del rapporto di lavoro.

Termini di prescrizione ancora più brevi (un anno) sono previsti, invece, per il diritto alla provvigione del mediatore e per il pagamento dei premi assicurativi.

Individuato il corretto termine di prescrizione, sarà poi cura del redattore del bilancio stabilire il momento a partire dal quale detto termine comincia a decorrere: ai sensi dell’art. 2935 c.c., il termine della prescrizione decorre dal momento in cui il diritto del pagamento può essere fatto valore o più semplicemente è sorto. Per semplicità e solo ai fini fiscali, si potrebbe ipotizzare una presunzione di maturazione a decorrere dalla data di scadenza della fattura di riferimento.

Questione ancora più complessa riguarda eventuali sospensioni (artt. 2941 e 2942 c.c. ) o interruzioni (artt. 2943 – 2945 c.c.) che – se esistenti – impedirebbero il raggiungimento dei termini di prescrizione: è atto idoneo a sospendere o interrompere la prescrizione, ad esempio, la messa in mora del debitore tramite intimazione o richiesta fatta per iscritto.

Al ricorrere di tali atti interruttivi o sospensivi, si pone, peraltro, il problema di come provare all’Amministrazione Finanziaria l’effettivo compimento della prescrizione, atteso che le prove di eventuali atti interruttivi della prescrizione (lettera di messa in mora o altre intimazioni idonee a fermare i termini della prescrizione) difficilmente si rilevano dalle scritture contabili e/o in altre fonti: il contribuente potrebbe, infatti, a distanza di parecchi anni, non rinvenire più tale documentazione e, dunque, non essere più in grado di provare, in sede di controllo, l’esistenza o meno degli atti interruttivi in parola.

Per quanto concerne, invece, la decorrenza della nuova disposizione – che riconosce la deducibilità fiscale dei crediti prescritti – in assenza di specifica disposizione in merito, si ritiene che la stessa trovi applicazione dal periodo d’imposta in corso alla data di entrata in vigore della Legge di conversione del D.L. 83/2012, ovvero dal 2012 per i soggetti con periodo d’imposta coincidente con l’anno solare.

E’ ovvio che, non è preclusa la deduzione fiscale prima del decorso del termine di prescrizione, qualora il contribuente disponga per detti crediti (ancorché datati) di altri “elementi certi e precisi” tali da certificare l’irrecuperabilità degli stessi, ovvero sussistano atti e/o documenti validi a comprovare l’obiettiva determinabilità del componente negativo di reddito.

Sul punto, sono circostanze idonee a conferire “certezza giuridica” alla perdita sostenuta, l’irreperibilità del debitore o, in alternativa, il possesso di prove che dimostrino che il contribuente ha esperito, senza esito, tutte le procedure possibili (prettamente di carattere giudiziario) per il recupero del credito in sofferenza.

Relativamente agli obblighi probatori e alla documentazione richiesta, la giurisprudenza appare essere, invece, meno stringente: tra l’elenco degli elementi sufficienti a comprovare in modo chiaro la scarsa solvibilità del debitore si annoverano le lettere di legali per l’intimazione ad adempiere all’obbligazione di pagamento, ovvero lo stato di irreperibilità accertata del debitore.

 

4 febbraio 2013

Sandro Cerato