Accertamenti bancari ed onere della prova

In caso di accertamenti basati sui movimenti bancari, è onere del contribuente indicare e provare eventuali specifici costi deducibili?

indagini bancarie sul conto corrente del contribuente da parte del fisco e onere della prova L’operazione di prelievo dai conti correnti non comporta l’automatica computabilità tra le componenti negative del reddito

L’Amministrazione finanziaria deve procedere alla ricostruzione della situazione reddituale complessiva del contribuente «tenendo conto anche delle componenti negative del reddito che siano comunque emerse dagli accertamenti compiuti, ovvero siano state indicate e dimostrate dal contribuente.

Fra le componenti negative, deve escludersi l’automatica inclusione delle operazioni di prelievo effettuate dal contribuente dai conti correnti a lui riconducibili; le operazioni sui conti, sia attive che passive, vanno considerate ricavi, essendo posto a carico del contribuente l’onere di indicare e provare eventuali specifici costi deducibili

In tema di accertamento delle imposte sui redditi, e con riferimento all’acquisizione dei movimenti di un conto corrente bancario, debbono essere considerati ricavi sia le operazioni attive che quelle passive, senza che si debba procedere alla deduzione presuntiva di oneri e costi deducibili, essendo posto a carico del contribuente l’onere di indicare e provare eventuali specifici costi deducibili.

Sussiste una presunzione legale a carico del contribuente, tale da comportare una vera e propria inversione dell’onere della prova, in forza della quale egli è tenuto a giustificare i vari movimenti bancari e dimostrare che gli stessi sono estranei al suo reddito, non essendo a lui di fatto riferibili.

In caso di mancata giustificazione l’Amministrazione può evidentemente utilizzare i dati e gli elementi che risultano dall’esame dei conti bancari in parola. considerare ricavi sia i prelevamenti, sia i versamenti su conto corrente, salvo che il contribuente non provi che i versamenti sono registrati in contabilità e che i prelevamenti sono serviti per pagare determinati beneficiari, anziché costituire acquisizione di utili; posto che, in materia, sussiste inversione dell’onere della prova, alla presunzione di legge (relativa) va contrapposta una prova, non un’altra presunzione semplice ovvero una mera affermazione di carattere generale, nè è possibile ricorrere all’equità. considerare ricavi sia i prelevamenti, sia i versamenti, salvo che il contribuente non provi che i versamenti sono registrati in contabilità e che i prelevamenti sono serviti per pagare determinati beneficiari, anzichè costituire acquisizione di utili.

Pertanto, posto che sussiste inversione dell’onere della prova, alla presunzione di legge (relativa) va contrapposta una prova, non un’altra presunzione semplice ovvero una mera affermazione di carattere generale, anche perchè non sempre a ricavi occulti corrispondono costi occulti, mentre a ricavi occulti possono accompagnarsi costi dichiarati in misura maggiore del reale.

Le presunzioni fondate sulle movimentazioni bancarie legittimano l’Ufficio a considerare come ricavi i versamenti e i prelevamenti dei quali il contribuente non riesca a dare giustificazione: per poter accertare la natura di costi degli addebiti, in particolare, al fine della loro deducibilità, è necessario che il contribuente fornisca prova contraria alla rilevanza fiscale delle movimentazioni bancarie.

Ciò anche perché la presunzione legale relativa posta dall’art. 32, Dpr n. 600/1973, costituisce un’eccezione al principio del libero apprezzamento delle prove da parte del giudice ed alla regola dell’onere della prova. se il fisco procede analiticamente pur utilizzando indagini bancarie, per far valere costi non contabilizzati occorre una prova certa da fornire. Se l’ufficio procede con il metodo analitico–presuntivo, indicato dall’art. 39, c. 1, lett. d, Dpr n. 600/73, nessun margine si offre all’ufficio procedente di un possibile riconoscimento di componenti negative di cui non è stata fornita da parte del contribuente prova certa.

Spetta al contribuente provare la sussistenza di costi non contabilizzati riconducibili alle operazioni di prelevamento risultanti dai conti bancari, in quanto non è lecito presumere che se un soggetto ha occultato componenti positivi di redditi debba anche aver dichiarato parzialmente i costi sostenuti nell’esercizio.

Partendo dal presupposto che il contribuente logicamente tenda ad occultare i ricavi, non i costi, al fine di realizzare un risparmio d’imposta, ricade sul contribuente stesso l’onere di documentare l’esistenza di maggiori costi deducibili dal reddito poiché non si può presumere che a ricavi occulti debbano corrispondere necessariamente costi occulti. Il legislatore, in sostanza, considera fino a prova contraria ricavi sia i prelevamenti, sia i versamenti, in quanto non ritiene che il contribuente evasore occulti in pari misura i ricavi ed i costi; anzi, la norma muove dal presupposto che il contribuente tenda ad occultare i ricavi, ma non i costi.

accertamenti bancari sul contribuente e costi occultiNé appare lecito presumere che in ogni caso a ricavi occulti necessariamente corrispondano costi occulti.

In merito ai costi, diventa pertanto regola generale il principio secondo cui, se un contribuente invoca la deducibilità di un costo, ha di conseguenza anche l’onere di provarne l’esistenza e l’inerenza.

L’onere della prova dei presupposti dei costi ed oneri deducibili concorrenti alla formazione del reddito di impresa, ivi compresa la loro inerenza e la loro diretta imputazione ad attività produttive di ricavi, incombe al contribuente. In tema di accertamento delle imposte sui redditi e con riguardo alla determinazione del reddito di impresa, l’onere della prova circa l’esistenza di fatti che danno luogo ad oneri e costi deducibili, ivi compreso il requisito dell’inerenza, incombe al contribuente che invoca la deducibilità.

A tal proposito, occorre ricordare che l’art. 109, c. 4, TUIR stabilisce che costi ed oneri afferenti ai ricavi sono deducibili

“… se e nella misura in cui risultano da elementi certi e precisi…”.

In assenza di validi elementi giustificativi oppure di una idonea documentazione contabile o extracontabile, la rivendicazione di costi occulti collegati a ricavi non dichiarati appare una mera congettura o addirittura una ipotesi contrastante in linea teorica con le motivazioni stesse che spingono un contribuente all’evasione. In definitiva, l’art. 32, Dpr n. 600/1973 muove dalla considerazione che gli evasori occultano le poste attive e non le poste passive.

Pertanto, in caso di acquisizione dei movimenti di un conto corrente bancario riconducibili all’impresa, debbono essere considerati ricavi sia le operazioni attive sia quelle passive (a meno che l’imprenditore non dimostri che corrispondano ad operazioni già contabilizzate o estranee all’attività aziendale).

Inoltre, non occorre procedere alla deduzione presuntiva di oneri e costi deducibili, essendo onere del contribuente indicare e provare eventuali specifici costi deducibili (da ultimo Corte di cassazione sentenza n. 17051 del 5 ottobre 2012).

La presunzione che assiste le indagini finanziarie si applica sia ai versamenti che ai prelevamenti bancari, i quali costituiscono ricavi o compensi accertabili se il contribuente non ne fornisce una diversa giustificazione. Inoltre, nessun costo può essere forfettariamente riconosciuto a fronte dei maggiori componenti positivi di reddito accertati dall’Ufficio.

In tema di IVA (così come in tema di accertamento delle imposte sui redditi), e con riferimento all’acquisizione dei movimenti di un conto corrente bancario riconducibili ad un’attività d’impresa, debbono essere considerati ricavi sia le operazioni attive (versamenti) che quelle passive (prelevamenti), salvo che il contribuente non provi che i versamenti sono registrati in contabilità e che i prelevamenti sono serviti per pagare determinati beneficiari; e ciò senza che si debba procedere alla deduzione presuntiva di oneri e costi deducibili, giacchè, in forza della disposta inversione de l’onere della prova, grava sul contribuente l’onere di superare la contraria presunzione di legge (relativa), attestando la ricorrenza di specifici costi deducibili con concreti elementi di prova e non mediante affermazioni di carattere generale, semplici presunzioni o il richiamo all’equità.

 

Rilevanza dei costi neri

Secondo diversa impostazione, accolta dalla sentenza della Corte di Cassazione, sez. Tributaria, sentenza del 23 marzo 2012, n. 4688, della rilevanza dei costi neri si dovrà tenere conto in ogni caso anche nelle ipotesi di accertamento analitico o analitico-induttivo.

Qualora per alcuni proventi non sia possibile accertare i costi, questi possono, alla luce della sentenza n. 225/05 della Consulta,essere determinati induttivamente, perché diversamente si assoggetterebbe ad imposta, come reddito d’impresa, il profitto lordo, anziché quello netto, in contrasto con il parametro costituzionale della capacità contributiva di cui all’art. 53 Cost. (Cass. civ. Sez. V, 19-02-2009, n. 3995).

In caso di accertamento bancario, ai maggiori ricavi presunti dalla somma dei prelevamenti e degli incassi ingiustificati devono essere accompagnati costi in percentuale congrua, in ossequio al principio di capacità contributiva (CTR di Roma 02-04-2012 n. 124 sez. 38).

La pronuncia in tema di deducibilità forfetaria dei costi occulti, deve evidenziare le argomentazioni, in fatto e in diritto, che giustificano la decurtazione dal totale dei versamenti e dei prelevamenti dai conti correnti dei costi occulti.

La determinazione reddituale da parte della commissione tributaria deve essere congruamente motivata, non potendosi, il giudice, servire di motivazioni meramente di stile che, di fatto, astraggono dal caso concreto. Il giudice tributario non può adottare una motivazione generica che può essere riferita a qualsiasi controversia e, pertanto, deve valutare l’entità dei costi in modo ragionevole in relazione al tipo di attività svolta dal contribuente (es. la maggiorazione dei costi relativi ai maggiori ricavi deve essere congruamente motivata).

La sentenza n. 88 della sezione terza della CTRegionale di Roma, depositata il 28 ottobre 2005, sulla vexata deducibilità dei costi occulti ha statuito, alla luce del predetto intervento della Consulta ed in base ai principi della collaborazione e della buona fede di cui alla legge n. 212/2000, che nella determinazione induttiva del reddito imponibile dalla somma pari al totale dei versamenti prelevati e versati sul conto corrente del contribuente occorre sottrarre, le somme prelevate sullo stesso conto.

Nel caso di specie, per tale decisum si ritiene più rispondente alla realtà dei fatti determinare il reddito imponibile del contribuente decurtando dall’importo accertato, pari alla somma dei prelevamenti e dei versamenti bancari, le somme in uscita ossia gli stessi prelevamenti: le somme prelevate nel contempo dagli stessi conto correnti devono essere decurtate) dall’ammontare dell’imponibile accertato (con incidenza del 100% dei maggiori costi rispetto ai relativi ricavi da prelevamenti).

La sentenza n. 270 del 11/10/2004 della CTP di Latina sez. 7 così recita: è fondata la censura riguardante la mancata detrazione dei costi da porre in relazione ai ricavi accertati; l’ufficio avrebbe dovuto procedere alla stima anche dei costi relativi ai ricavi a salvaguardia del principio generale della capacità contributiva. Pertanto la Commissione ritiene di dovere accogliere parzialmente il ricorso riducendo del 50% il maggior imponibile ai fini iva mediante applicazione prudenziale dei comuni criteri contabili aziendali.

 

10 gennaio 2013

Antonio Terlizzi

 

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – T, ordinanza 27 settembre – 5 ottobre 2012, n. 17051
Presidente Cicala – Relatore Bognanni

 

Svolgimento del processo

1. S..A. propone ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, avverso la sentenza della commissione tributaria regionale del Lazio n. 186/06/09, depositata il 24 novembre 2009, con la quale essa accoglieva l’appello dell’agenzia delle entrate nei confronti del contribuente, esercente la professione di medico ginecologo, contro la decisione di quella provinciale, sicché l’opposizione relativa all’avviso di accertamento per Irpef ed Ilor per il 1991 veniva rigettata. In particolare il giudice di secondo grado osservava che tutte le movimentazioni bancarie attenevano ad operazioni riferibili all’attività professionale e ai proventi inerenti alla partecipazione alla società D.U.T. srl., a ristretta base familiare, non annotati nelle scritture contabili, giusta anche le risultanze della verifica della Guardia di finanza, senza che fosse necessaria la previa autorizzazione del Comandante regionale per l’utilizzabilità degli accertamenti bancari in materia tributaria, trattandosi semmai solo di rapporti interni in quel corpo di polizia. Peraltro l’appellato dal suo canto non aveva fornito prova dei suoi assunti se non in modo vago e generico. L’agenzia delle entrate resiste con controricorso, svolgendo a sua volta ricorso incidentale condizionato sulla base di due motivi.

 

Motivi della decisione

A) Ricorso principale.

2. Col primo motivo il ricorrente deduce violazione di norma di legge, in quanto la CTR non considerava che la mancata previa autorizzazione del comandante regionale della Guardia di finanza per gli accertamenti bancari a carico dei contribuenti costituisce una palese violazione della privacy dei medesimi, che incide anche sull’interesse pubblico al risparmio e alla gestione di esso da parte degli istituti bancari medesimi, con la conseguenza che i dati acquisiti dalla polizia tributaria non potevano essere utilizzati.

Il motivo è infondato, in quanto, com’è noto, in materia tributaria, non qualsiasi irritualità nell’acquisizione di elementi rilevanti ai fini dell’accertamento comporta, di per sé, l’inutilizzabilità degli stessi, come nella specie, in mancanza di una specifica previsione in tal senso, esclusi i. casi in cui viene in discussione la tutela di diritti fondamentali di rango costituzionale, come l’inviolabilità della libertà personale o del domicilio (Cfr. anche Cass. Sentenze n. 27149 del 16/12/2011, n. 22984 del 2010).

3. Col secondo motivo il ricorrente denunzia violazione di norme di legge e vizi di motivazione, giacché il giudice del gravame non indicava le ragioni per le quali addiveniva al giudizio di infondatezza dell’opposizione all’accertamento, nonostante che l’appellato avesse addotto che parte delle movimentazioni bancarie si riferiva all’attività professionale della moglie, anch’ella medico libero professionista, nonché alle attività della partecipata società D.U. srl., senza peraltro tenere in conto le spese necessarie per la produzione dei ricavi per i costosi macchinari e le complesse tecnologie inerenti agli interventi per la terapia della sterilità e di procreazione assistita.

La censura non ha pregio, posto che in tema di accertamento delle imposte sui redditi, l’Amministrazione finanziaria, in sede di accertamento induttivo, deve procedere alla ricostruzione della situazione reddituale complessiva del contribuente, tenendo conto anche delle componenti negative del reddito che siano comunque emerse dagli accertamenti compiuti, ovvero siano state indicate e dimostrate dal contribuente, dovendosi, peraltro, escludere l’automatica inclusione, fra le componenti negative, delle operazioni di prelievo effettuate dal contribuente dai conti correnti a lui riconducibili, in quanto le operazioni sui conti medesimi, sia attive che passive, vanno considerate ricavi, essendo posto a carico del contribuente l’onere di indicare e provare eventuali specifici costi deducibili, che tuttavia non venivano dimostrati nella specie (V. pure Cass. Sentenze n. 5192 del 04/03/2011, n. 3995 del 2009).

4. Col terzo motivo il ricorrente lamenta violazione di norma di legge e vizio di motivazione, poiché il secondo giudice non indicava le ragioni, per le quali ometteva di pronunciare in ordine ai costi sostenuti e che andavano dedotti dai ricavi o compensi.

La doglianza è inammissibile, per genericità, atteso che il ricorrente non riportava il tratto del ricorso in appello con cui essa sarebbe stata prospettata.

B) Ricorso incidentale condizionato.

5. Esso rimane assorbito dal primo, stante il suo carattere.

6. Ne deriva che il ricorso principale va rigettato.

7. Quanto alle spese del giudizio, esse seguono la soccombenza, e vengono liquidate come in dispositivo.

 

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso principale; dichiara assorbito l’incidentale condizionato, e condanna il ricorrente al rimborso delle spese del giudizio a favore della controricorrente, che liquida in complessivi Euro 5. 000,00 (cinquemila/00) per onorario, oltre a quelle prenotate a debito