La ricostruzione dell’iter autorizzatorio amministrativo necessario per procedere ad indagini sui movimenti bancari dei contribuenti.
Con sentenza n. 14026 del 3 agosto 2012 (ud. 4 aprile 2012) la Corte di Cassazione ha ritenuto infondato il vizio di nullità della sentenza della CTR in ordine alla mancanza di motivazione dell’autorizzazione di richiesta di indagini bancarie.
La sentenza di prime cure aveva accolto il ricorso introduttivo del contribuente, annullando l’avviso di accertamento in quanto nè tale atto, nè la autorizzazione del Direttore regionale “esplicitavano i presupposti rilevanti ed i motivi che suggeriscono di procedere in termini cosi approfonditi nella vita privata del contribuente”.
La tesi del contribuente
Il contribuente sostiene l’illegittimità dell’autorizzazione all’espletamento delle indagini bancarie (e conseguentemente dell’avviso di accertamento emesso all’esito del procedimento) per carenza di autonoma motivazione dell’atto emesso dal Direttore regionale dell’Agenzia delle Entrate, trattandosi di requisito essenziale di validità dell’atto amministrativo (L. n. 241 del 1990, art. 3).
Il ricorrente ritiene che tale atto autorizzativo abbia natura provvedimentale (in quanto esercizio di potestà discrezionale tecnica) e sia dunque suscettibile di incidere direttamente nella sfera giuridica del soggetto destinatario (con conseguente autonoma impugnabilità) con riferimento in particolare all’interesse del privato alla tutela della riservatezza ed alla tutela del risparmio.
La pronuncia della Cassazione
Gli argomenti svolti dal contribuente a supporto della indicata questione in diritto (che può essere sintetizzata nel seguente quesito: se la mancanza di autonoma motivazione della richiesta e dell’atto di autorizzazione all’espletamento di indagini bancarie determini o meno la invalidità derivata dell’avviso di accertamento opposto) sono stati ritenuti infondati dalla Corte di Cassazione.
Le “autorizzazioni” contemplate dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, c. 1 e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, c. 2,
“non necessitano di autonoma motivazione in considerazione della assenza di una specifica previsione normativa che imponga tale requisito dell’atto, come emerge anche dal raffronto con le disposizioni contenute nel D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52 (estese alla materia delle imposte sui redditi in virtù del rinvio operato dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 33, comma 1) che disciplinano le autorizzazioni agli accessi nei locali destinati all’esercizio di attività commerciali, agricole, artistiche o professionali (per le quali è richiesta, peraltro, soltanto la indicazione dello scopo: art. 52, comma 1), ovvero alla esecuzione di accessi in locali adibiti anche ad abitazione (per le quali è richiesta anche a autorizzazione del procuratore della Repubblica: art. 52, comma 1, ultima parte) ovvero alla esecuzione di perquisizioni domiciliari (per le quali è richiesta la autorizzazione del Procuratore della Repubblica che può essere rilasciata ‘soltanto in caso di gravi indizi di violazioni delle norme del presente decreto’, art. 52, comma 2), la mancanza di una previsione normativa espressa che prescriva la motivazione delle autorizzazioni di cui all’art. 51, comma 2, nn. 6 bis, 7 e 7 bis (ed analogamente ex art. 32, comma 1 stessi numeri) viene giustificata con la riconduzione della acquisizione di notizie, informazioni, documenti – anche presso banche, istituti di credito, società di intermediazione finanziaria.
Amministrazione postale – alle competenze ed al potere di verifica delle situazioni reddituali e patrimoniali dei contribuenti (in funzione dell’eventuale successiva attivazione del procedimento di accertamento) attribuiti per legge (art. 95 Cost., comma 3; D.P.R. n. 600 del 1973, art. 31; D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, comma 1) alla Amministrazione finanziaria.
Per quanto in particolare concerne la richiesta alle banche di fornire dati, notizie e documenti relativi ai servivi prestati e rapporti intrattenuti con i propri clienti, si è rilevato che la autorizzazione ha per oggetto una ‘richiesta’ che è rivolta esclusivamente all’ente che intrattiene i rapporti con il contribuente (‘deve essere indirizzata al responsabile’ della struttura, sede od ufficio), con la conseguenza che, non essendo legittimato detto ente a contestare la verifica fiscale condotta nei confronti di un soggetto diverso (il cliente), al quale invece la richiesta (e tanto meno la autorizzazione) non deve essere comunicata, il requisito formale della motivazione dell’atto autorizzativo appare logicamente del tutto inutile (cfr. Corte cass. 5 sez. 21.7.2009 n. 16874 che richiama il precedente della 5 sez. 15.6.2007 n. 14023 secondo cui la norma tributaria configura la esistenza della autorizzazione come condizione di legittimità dell’attività di verifica e dell’atto di accertamento, ma non richiede, tuttavia, la preventiva notifica od esibizione di tale atto all’interessato che potrà lamentare eventuali pregiudizi subiti mediante la impugnazione dell’atto di accertamento)”.
Tali conclusioni vengono ulteriormente sviluppate dalla Corte.
Il nomen juris (autorizzazione) riferito all’atto permissivo contemplato dalle predette norme tributarie non può ritenersi ex se dirimente all’individuazione della natura e degli effetti giuridici, che deve invece essere riconosciuta in base alla concreta funzione che l’atto viene a svolgere nella relazione di tipo organizzativo e procedimentale che si instaura tra gli uffici appartenenti alla medesima Amministrazione finanziaria e gli altri atti ed attività che convergono nell’attuazione delle competenze riservate ex lege a detti uffici. Dalla ricognizione del sistema normativo dei controlli e degli accertamenti fiscali, e come peraltro ulteriormente confermato dalla stessa circolare della Agenzia delle Entrate 19.10.2006 n. 32/E emerge come dato certo:
1-) che l’autorizzazione interviene tra uffici inseriti nella medesima organizzazione pubblica, collocati in rapporto di subordinazione gerarchica (nella prima fase l’ufficio locale predispone la richiesta – il funzionario svolge il compito assegnatogli dal capo dell’ufficio che all’esito dispone di sottoporre tale richiesta alla preventiva autorizzazione del Direttore regionale delle Entrate; nella seconda fase interviene la valutazione del Direttore regionale competente a rilasciare o negare l’autorizzazione), con la conseguenza che, nel caso di specie, non è dato ipotizzare una diversificazione di interessi pubblici facenti capo a ciascun ufficio, dovendo invece ravvisarsi un’identità di competenza tra l’ufficio superiore e quello locale: tanto consente di attribuire alla predetta autorizzazione una preminente funzione organizzativa, mediante la quale il titolare dell’ufficio regionale cui è demandata la competenza di disporre la acquisizione di dati, notizie ed informazioni anche attraverso indagini bancarie, assolve più agevolmente e speditamente il proprio compito legittimando l’ufficio inferiore alla relativa attività.
La relazione tra i due uffici si attua pertanto attraverso uno schema di tipo organizzativo riconducibile alla delega-autorizzazione, nel quale la valutazione rimessa al titolare dell’ufficio delegante si esaurisce nella modalità di attuazione della competenza attribuita in vista del perseguimento del medesimo interesse pubblico (all’acquisizione delle entrate patrimoniali dello Stato) e dunque si esaurisce nell’ambito del rapporto organizzativo interno tra gli uffici (come, infatti, viene evidenziato anche alla ripetuta circolare amministrativa n. 32/2006, l’esame valutativo rimesso al capo dell’ufficio locale quindi al titolare dell’ufficio superiore autorizzante, oltre alla verifica degli elementi essenziali della richiesta, necessari ad assolvere allo scopo della indagine (quali l’individuazione del contribuente; la specificazione delle operazioni per le quali debbono essere acquisiti i dati e le informazioni; la indicazione della durata del periodo indagato; l’identificazione dell’ente al quale indirizzare la richiesta; l’indicazione del termine assegnato per la risposta, concerne l’opportunità e proficuità della indagine, valutazione che deve essere compiuta in relazione al parametro dell’efficienza cui deve conformarsi l’attività amministrativa, e dunque in base all’applicazione del criterio costi-benefici, dovendo tenersi conto a tal fine sia delle previsioni formulabili in ordine al conseguimento di un risultato utile, che delle complessive esigenze organizzative degli uffici locali in relazione alla necessità di impedire ritardi od interruzioni nell’esercizio delle altre competenze loro affidate, nonchè della concreta disponibilità del personale da destinare a tale indagine e che dovrà essere distolto durante tale periodo da altri necessari compiti);
2) venendo detta autorizzazione ad operare sul piano delle relazioni organizzative tra uffici del medesimo ente pubblico, rimane esclusa la natura provvedimentale di tale atto, in quanto inidoneo a produrre effetti giuridici all’esterno dell’organizzazione e ad incidere sulla sfera giuridica di terzi.
Nel diritto pubblico, infatti, l’autorizzazione si configura come provvedimento terminale di un autonomo procedimento amministrativo volto alla cura di un interesse (pubblico) distinto da quello perseguito dal soggetto autorizzato: l’autorizzazione è normalmente diretta alla verifica di presupposti o requisiti o condizioni predeterminati dalla legge in funzione dello svolgimento di attività (generalmente dei privati), ed assume quindi la funzione di controllo preventivo di conformità ai requisiti di legge, ovvero la funzione di accertamento della compatibilità dell’attività autorizzata con le esigenze di cura o tutela di altri interessi che potrebbero risultarne pregiudicati.
In tali casi il rapporto che si instaura tra il soggetto autorizzante ed il soggetto autorizzato implica una relazione di autonomia degli interessi che fanno capo a tali soggetti, venendo a comporre la legge attributiva del potere autorizzatorio il potenziale conflitto tra detti interessi, secondo uno schema di subordinazione.
“Tali caratteristiche non si rinvengono nella fattispecie in esame in cui: la autorizzazione non viene ricollegata ad alcun presupposto normativo che individui la esigenza di tutela di interessi terzi, nè alla sussistenza di altri elementi normativamente predeterminati (come ad esempio la infedeltà della dichiarazione, la anomalia dello scostamento da parametri reddituali, ecc); non vi è una distinzione di interessi affidati alle cure del titolare dell’organo superiore – che autorizza – e del funzionario in organico nell’ufficio locale – in rapporto di subordinazione gerarchica – che viene autorizzato, inserendosi la delega-autorizzativa nell’esercizio della medesima funzione di controllo fiscale, ed essendo entrambi gli uffici inseriti nella stessa organizzazione amministrativa per il perseguimento dell’identico interesse pubblico alla stessa affidato”.
Tali elementi non fanno altro che confermare “il carattere meramente endoprocedimentale della ‘autorizzazione’ che, nella sequenza delle attività e degli atti strumentali alla emanazione del provvedimento impositivo (avviso di accertamento, rettifica, liquidazione), si configura quale atto ‘preparatorio’ (in quanto tale insuscettibile di autonoma impugnazione), inserito nella fase della iniziativa del procedimento amministrativo di accertamento, e più specificamente quale condizione di legittimazione dell’ufficio locale all’esercizio di taluni poteri ispettivi ricompresi nelle competenze amministrative di controllo e verifica delle ‘dichiarazioni presentate e dei versamenti eseguiti dai contribuenti’ e ‘dai sostituti d’imposta’, nonchè di vigilanza sull’osservanza degli obblighi stabiliti dalle disposizioni tributarie (D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, comma 1; D.P.R. n. 600 del 1973, art. 31, comma 1)”.
La predetta natura preparatoria, e non provvedimentale, dell’autorizzazione in questione, sottrae, pertanto, tale atto (i cui effetti, come si è visto, riverberano esclusivamente sul piano dell’efficienza organizzativa degli uffici) dalla categoria delle manifestazioni di volontà della P.A. che sono espressione di potestà discrezionale in quanto implicano, ai fini del perseguimento dell’interesse pubblico, una ponderazione tra interessi potenzialmente contrastanti ed una scelta tra le diverse modalità di composizione di tali interessi, con la conseguenza che il requisito formale della motivazione – così come definito per “ogni provvedimento amministrativo” dalla L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 3, c. 1 – deve ritenersi ad esso estraneo, tanto più trattandosi di atto che, nella disciplina normativa tributaria, attiene alla funzione del “controllo fiscale” (che deve essere tenuta distinta da quella di accertamento impositivo, potendo anche esaurirsi il controllo con la verifica della regolarità della posizione del contribuente, senza che segua la fase accertativa) in ordine alla quale (esame delle dichiarazioni, acquisizione di elementi di riscontro, richiesta di informazioni e documenti, invio di questionari) non è prevista alcuna specifica motivazione, espressamente richiesta invece con riferimento all’adozione degli atti impositivi (L. n. 212 del 2000, art. 7).
Ed infatti detta autorizzazione (così come la richiesta di dati notizie e documenti indirizzata dall’Ufficio locale all’ente che intrattiene rapporti col cliente-contribuente) non integra un elemento costitutivo degli effetti del provvedimento impositivo, rimanendo estranea alla valutazione dei “presupposti di fatto e delle ragioni di diritto” che fondano la pretesa tributaria, ed in quanto non provvede alla cura di uno specifico interesse ma coincide col generale interesse all’esercizio della funzione pubblica di controllo fiscale, nè viene a disporre in ordine alla sfera giuridica di terzi, non richiede, pertanto, di essere motivata.
Lo stesso ricorrente, peraltro, non individua una specifica situazione giuridica soggettiva, riferibile al contribuente, immediatamente lesa dall’autorizzazione del Direttore regionale delle Entrate e dalla richiesta di dati, informazioni e notizie indirizzata agli enti coi quali il contribuente intrattiene rapporti.
Il richiamo alla tutela del risparmio appare infatti del tutto inconferente, non essendo dato comprendere quale relazione possa ravvisarsi tra la tutela del risparmio “in tutte le sue forme” garantita dalla Carta fondamentale (art. 47 Cost., c. 1) e la verifica delle dichiarazioni fiscali e la vigilanza sugli adempimenti degli obblighi tributari da parte della Amministrazione finanziaria.
Inoltre, non possono ricondursi all’autorizzazione effetti lesivi del diritto del contribuente alla riservatezza dei dati bancari.
In ordine alla pretesa nullità dell’avviso di accertamento notificato, per omessa allegazione del provvedimento di autorizzazione, la Corte rileva che l’obbligo di allegazione dell’atto richiamato e non conosciuto dal contribuente sussiste non per qualsiasi atto menzionato nell’avviso, ma soltanto per quei documenti il cui contenuto risulti indispensabile all’individuazione dei fatti come rilevati e valutati dall’Ufficio, nonchè risulti indispensabile alla comprensione delle ragioni fatte valere con l’atto impositivo. Tale ipotesi non ricorre neppure in astratta ipotesi nel caso di specie in considerazione della natura endoprocedimentale dell’atto autorizzativo che, non richiedendo l’obbligo della motivazione, esclude ab origine che tale atto, anche se richiamato dall’avviso, possa supportare le ragioni giustificative della pretesa tributaria.
Inoltre, in ogni caso, la trasmissione dell’atto autorizzativo in allegato all’avviso di accertamento notificato al contribuente è da ritenersi del tutto superflua, atteso che dal questionario inviato al contribuente emerge che il fatto autorizzativo era già stato portato a conoscenza del contribuente.
Come la Corte ha già avuto modo di rilevare, “la previa conoscenza dell’atto autorizzatorio non costituisce presupposto di legittimità dell’avviso di accertamento, nè di inutilizzabilità delle prove raccolte, essendo richiesto dalla legge soltanto che tale autorizzazione sia stata effettivamente adottata (cfr. Corte cass. 5 sez. 15.6.2007 n 14023; id. 5 sez. 21.7.2009 n. 1674)”.
Il nostro pensiero
La Corte di Cassazione, già con la sentenza n. 16874 del 21.7.2009 (ud. del 2.4.2009) aveva affrontato la questione, prendendo le mosse dal dettato normativo (art. 51 del D.P.R. n. 633/72), secondo cui gli uffici finanziari possono richiedere, previa autorizzazione del Direttore regionale delle Entrate ovvero, per la Guardia di finanza, del comandante di zona, alle aziende e istituti di credito e all’Amministrazione postale copia dei conti intrattenuti col contribuente con la specificazione di tutti i rapporti inerenti o connessi a tali conti (in senso conforme sentenza n. 5849 del 13 aprile 2012, ud. 21 febbraio 2012).
Dall’analisi della norma emerge innanzitutto che, a differenza di quanto previsto dall’art. 52 del D.P.R. n. 633/72, che, per procedere agli “accessi”, impone agli impiegati di essere muniti di “apposita autorizzazione”, rilasciata dal capo dell’ufficio, “che ne indichi lo scopo”, nell’art. 51, c. 2, n. 2, del citato D.P.R., non vi è traccia dell’eventuale obbligo di indicazione né dello scopo né del motivo e, a fortiori, di un obbligo di motivazione (ovverosia indicazione delle ragioni logiche e giuridiche che li sorreggono) dei provvedimenti previsti per l’iter (meramente) acquisitivo dei conti correnti bancari e/o postali ivi regolato.
Pertanto, l’esercizio del potere di indagine finanziaria rientra nel più ampio genus dei poteri di controllo, senza specificazione di nessuna particolare circostanza giustificativa; la “previa autorizzazione” non deve contenere nessuna spiegazione delle ragioni che hanno indotto il Direttore regionale o il comandante “ad autorizzare il proprio Ufficio ad effettuare la richiesta a detti enti perché non è stato disposto che la richiesta di questo provvedimento da parte degli uffici debba essere operata necessariamente per iscritto (o trasfusa in atto scritto): il rilievo impone, quindi, di escludere la necessità (pretesa dal contribuente) di motivare la richiesta stessa perché dalla riscontrata non necessità di una esplicitazione scritta del dato che il superiore dovrebbe valutare discende, in via logica, che nessuna motivazione deve supportare neppure il provvedimento di concessione dell’autorizzazione”.
Infatti, eventuali illegittimità nell’ambito del procedimento amministrativo di accertamento diventano censurabili davanti al giudice tributario soltanto quando, traducendosi in un concreto pregiudizio per il contribuente, vengano ad inficiare il risultato finale del procedimento e, quindi, l’accertamento medesimo (cfr. Cass. n. 18836/06).
L’interpretazione esposta non contrasta con nessuno dei fondamentali diritti del contribuente: né con il diritto di difesa (art. 24 Cost.), perché, non essendo prevista nessuna forma di contraddittorio obbligatorio nella fase preimpositiva, l’esercizio di quel diritto non trova nessun ostacolo nella sede propria (quella giurisdizionale); né con il diritto alla riservatezza, avendo il legislatore attenuato in parte il c.d. segreto bancario e, di conseguenza, la riservatezza concernente il suo contenuto almeno nei riguardi degli uffici fiscali.
L’odierna sentenza della Cassazione prende atto del dettato normativo tributario di riferimento – art. 51, c. 2, n.7, del D.P.R. n. 633/72 e l’art. 32, c. 1, n.7, del D.P.R. n. 600/73 -, che si limita a prevedere che le indagini finanziarie sono esperibili, previa autorizzazione dell’organo sovraordinato ivi previsto, e la ritiene un mero atto interno preparatorio e non provvedimentale.
Se l’esibizione dell’autorizzazione non è necessaria (e quindi, di fatto, il contribuente non conosce i motivi che stanno alla base delle indagini), è perché proprio il dettato normativo di riferimento non prevede espressamente che l’atto autorizzativo debba spiegare le ragioni del controllo avviato, dovendosi ravvisare nell’organo deputato al rilascio dell’autorizzazione solo un potere di controllo di legittimità (che l’ufficio richiedente, per esempio, abbia inoltrato la richiesta alla Direzione regionale competente territorialmente).
Ricordiamo, tuttavia, che secondo quanto indicato nella C.M.n.32/2006 – che l’odierna Cassazione interpreta in maniera diversa – l’autorizzazione “deve contemplare in modo indefettibile il requisito essenziale dei motivi sottostanti l’indagine, in ossequio al principio di trasparenza e di effettività della tutela giurisdizionale di ogni soggetto” (puntualizzato dalla citata C.M. n. 32/2006)
Essa deve indicare il contribuente da sottoporre ad indagini, il periodo temporale da controllare, e deve riferirsi alla copia dei suoi conti intrattenuti con la banca, con la specificazione dei rapporti inerenti e connessi, e gli istituti di credito, postali e gli altri organismi cui si intende inoltrare la richiesta.
Gli organi competenti al rilascio dell’autorizzazione devono valutare la sussistenza dei requisiti di legittimazione e di merito, dandone atto nella motivazione dello stesso atto autorizzativo.
20 novembre 2012
Roberta De Marchi