Il processo penale e il processo tributario viaggiano separati

la giurisprudenza della Corte di Cassazione è oramai conforme: la sentenza del processo penale relativa agli stessi fatti contestati dal Fisco, non implica un medesimo risultato nel processo tributario

Con ordinanza n. 18233 del 24 ottobre 2012 (ud. 10 ottobre 2012) la Corte di Cassazione ha ribadito che “il giudice tributario non può limitarsi a rilevare l’esistenza di una sentenza definitiva in materia di reati tributari, estendendone automaticamente gli effetti con riguardo all’azione accertatrice del singolo ufficio tributario, ma, nell’esercizio dei propri autonomi poteri di valutazione della condotta delle parti e del materiale probatorio acquisito agli atti (art. 116 cod. proc. civ.) deve, in ogni caso, verificarne la rilevanza nell’ambito specifico in cui esso è destinato ad operare (cfr. anche Cass. Sentenze n. 3724 del 17/02/2010, n. 20860 del 08/10/2010)”.

Nel caso di specie, il giudice di appello non aveva indicato in modo adeguato e specifico gli elementi, in virtù dei quali riteneva che il giudizio penale si fosse formato in ordine all’occultamento o distruzione delle scritture contabili, non potendo ritenersi sufficienti quelli acquisiti in sede disciplinata in maniera del tutto diversa. “Infatti – e ciò va osservato solo ‘ad abundantiam’ – com’è noto, nel processo tributario, il giudice può fondare il proprio convincimento in materia di responsabilità fiscale anche su elementi presuntivi, con una sua autonoma valutazione del quadro indiziario complessivo esaminato dal giudice penale, poichè nè le sentenze penali hanno efficacia di giudicato nel processo tributario, nè in questo la legge pone limitazioni (salvo che per le prove orali, non ammesse D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 7) alla prova della situazione soggettiva controversa. Ne discende che il giudice tributario non può limitarsi a rilevare l’esistenza di sentenze penali in materia di reati tributari, recependone, senza motivazione critica, le conclusioni assolutorie (v. pure Cass. Sentenza n. 20860 del 08/10/2010, n. 12041 del 2008), mentre ciò non è stato svolto nel caso in esame”.

 

Breve analisi giurisprudenziale

Con sentenza n. 3268 del 2 marzo 2012 (ud. 2 dicembre 2011), da ultimo, la Corte di Cassazione aveva confermando che “stantel’evidenziata autonomia del giudizio tributario rispetto a quello penale(perchè nel primo, per un verso, vigono limitazioni della prova – comeil divieto di quella testimoniale D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 7 –e, per altro verso, possono valere anche presunzioni inidonee afondare una pronuncia penale di condanna), anche l’eventuale giudicatopenale di assoluzione del legale rappresentante della societàcontribuente per insussistenza del reato di esposizione dielementi passivi fittizi mediante utilizzazione di fatture peroperazioni inesistenti, non sarebbe di per sè vincolante nel processotributario (v. tra le altre Cass. n. 19786 del 2011)”.

Ancora precedentemente, con sentenza n. 6624 del 23 marzo 2011 (ud. del 24 febbraio 2011) aveva già confermato l’autonomia e la diversità del giudizio penale da quello tributario. Alla luce del costante indirizzo espresso dalla Corte (sent. n. 3724 del 17/02/2010; sent. n. 2499 del 06/02/2006; sent. n. 10945 del 24/05/2005) “l’efficacia vincolante del giudicato penale non opera nel processo tributario, poichè in questo, da un lato, vigono limitazioni della prova (come il divieto della prova testimoniale) e, dall’altro, possono valere anche presunzioni inidonee a supportare una pronuncia penale di condanna. Il giudice tributario non può limitarsi a rilevare l’esistenza di una sentenza definitiva in materia di reati tributari, estendendone automaticamente gli effetti con riguardo all’azione accertatrice del singolo ufficio tributario, ma, nell’esercizio dei propri autonomi poteri di valutazione della condotta delle parti e del materiale probatorio acquisito agli atti, deve, in ogni caso, verificarne la rilevanza nell’ambito specifico in cui esso è destinato ad operare. A tale principio non risulta essersi conformata la decisione impugnata laddove sulla base della sentenza di assoluzione ha ritenuto che sia venuta a cadere l’unica motivazione posta a base dell’avviso di accertamento”.

E ancora con sentenza n. 26296 del 29 dicembre 2010 (ud. dell’8 novembre 2010) la Corte aveva aderito alla consolidata giurisprudenza formatasi in materia di efficacia del giudicato penale nel giudizio tributario, ai sensi dell’art. 654 del c.p.p., che ha implicitamente abrogato l’art. 12 del D.L. n. 429 del 1982, (convertito nella L. n. 516 del 1982), poi espressamente abrogato dall’art. 25 del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, (Cass. nn. 3724/2010,3724/2010, 1014/2008, 5720/2007). “In virtù di tale condivisibile giurisprudenza l’efficacia del giudicato penale non opera automaticamente in modo vincolante nel processo tributario, poichè in questo, da un lato, vigono limitazioni della prova (come il divieto della prova testimoniale) e, dall’altro, possono valere anche presunzioni inidonee a supportare una pronuncia penale di condanna. Nessuna automatica autorità di cosa giudicata può quindi attribuirsi, nel separato giudizio tributario, alla sentenza penale irrevocabile, di condanna o di assoluzione, emessa in materia di reati tributari, ancorchè i fatti accertati in sede penale siano gli stessi per i quali l’amministrazione finanziaria ha promosso l’accertamento nei confronti del contribuente. Ne consegue che il giudice tributario non può limitarsi a rilevare l’esistenza di una sentenza definitiva in materia di reati tributari, estendendone automaticamente gli effetti con riguardo all’azione accertatrice del singolo ufficio tributario, ma, nell’esercizio dei propri autonomi poteri di valutazione della condotta delle parti e del materiale probatorio acquisito agli atti (art. 116 c.p.c.) deve, in ogni caso, verificarne la rilevanza nell’ambito specifico in cui tale giudicalo è destinato ad operare”.

Di recente, con sentenza n. 23179 del 17 novembre 2010 (ud. del 4 ottobre 2010) la Suprema Corte ha tenuto ancora una volta separato il giudizio penale da quello tributario. Nel processo tributario “nessuna automatica autorità di giudicato può attribuirsi alla sentenza penale irrevocabile, anche di assoluzione con la formula ‘perchè il fatto non sussiste’, ancorchè i fatti accertati in sede penale siano gli stessi per i quali l’Amministrazione ha promosso l’accertamento nei confronti del contribuente, dovendo il giudice tributario, nell’esercizio dei propri autonomi poteri di valutazione del materiale probatorio acquisito agli atti, verificarne la rilevanza nell’ambito specifico in cui tale materiale è destinato ad operare (tra le più recenti, Cass. nn. 5720/2007, 9958/2008, 3724/2010 )”.

Sempre di recente, con ordinanza n. 21049 del 12 ottobre 2010 (ud. dell’8 luglio 2010), la Cassazione ha riaffermato il principio secondo cui l’efficacia vincolante del giudicato penale non operaautomaticamente nel processo tributario. L’efficacia vincolante del giudicato penale non opera automaticamente nel processo tributario, sicchè, anche qualora i fatti accertati in sede penale siano gli stessi per i quali l’Amministrazione finanziaria ha promosso accertamenti nei confronti del contribuente, il giudice tributario è tenuto comunque ad accertare la fondatezza della pretesa fiscale nell’esercizio dei propri autonomi poteri di valutazione della condotta delle parti e del materiale probatorio acquisito agli atti. La Corte ha ritenuto fondata la doglianza avanzata dall’Amministrazione finanziaria, “per non avere il giudice a quo verificato, in primo luogo, se la sentenza penale fosse stata emessa a seguito di dibattimento ovvero all’esito dell’udienza preliminare ed alla luce comunque del principio giurisprudenziale secondo cui l’efficacia vincolante del giudicato penale non opera automaticamente nel processo tributario, poiché in questo, da un lato, vigono limitazioni della prova (come il divieto della prova testimoniale) e, dall’altro, possono valere anche presunzioni inidonee a supportare una pronuncia penale di condanna, sicchè nessuna automatica autorità di cosa giudicata può attribuirsi, nel separato giudizio tributario, alla sentenza penale irrevocabile, di condanna o di assoluzione, ancorchè i fatti accertati in sede penale siano gli stessi per i quali l’Amministrazione finanziaria ha promosso l’accertamento nei confronti del contribuente, con l’ulteriore conseguenza che il giudice tributario non può limitarsi a rilevare l’esistenza di una sentenza penale definitiva, estendendone automaticamente gli effetti con riguardo alla funzione accertatrice del singolo ufficio tributario, ma, nell’esercizio dei propri autonomi poteri di valutazione della condotta delle parti e del materiale probatorio acquisito agli atti (art. 116 c.p.c.) deve, in ogni caso, verificarne la rilevanza nell’ambito specifico in cui esso è destinato ad operare (Cass. n. 3724 del 2010; Cass. n. 10495 del 2005)”.In particolare, la Commissione tributaria regionale non si è adeguata a tale principio in quanto, “pur rilevando che il giudice di primo grado aveva proceduto ad una autonoma valutazione dei fatti, cosi riconoscendo la necessità di tale operazione, in concreto ha fondato il proprio convincimento unicamente sul rilievo che il legale rappresentante della società contribuente era stato assolto in sede penale perchè il fatto non sussiste e per non avere accertato il giudice penale i fatti contestati, senza compiere alcun accertamento o apprezzamento sul contenuto del materiale probatorio”.

Si ricorda che con sentenza n. 27954 del 30 dicembre 2009 (ud. del 4 novembre 2009) – sempre la Corte di Cassazione – aveva riconfermato un principio ormai consolidato: la separazione del giudicato penale dal giudizio tributario: Non colgono, infatti, nel segno i profili dell’articolata censura, che, secondo l’ordine logico delle questioni, vanno esaminati a partire da quello riguardante il rapporto con il giudicato penale. Dalla motivazione dell’impugnata sentenza, si evince chiaramente che gli elementi posti dall’Ufficio a base della rettifica, pur corrispondenti a quelli risultanti dal giudicato penale, sono stati autonomamente valutati dalla C.T.R., di modo che la decisione si rivela conforme al principio secondo cui nel processo tributario la sentenza penale irrevocabile di assoluzione dal reato tributario non spiega automaticamente efficacia di giudicato, ancorché i fatti accertati siano gli stessi per i quali l’Amministrazione finanziaria ha promosso l’accertamento nei confronti del contribuente, ma può – ma non deve automaticamente – essere presa in considerazione dal giudice tributario come possibile fonte di prova (Cass. 12 marzo 2007 n. 5720; Cass. 24 maggio 2005 n. 10945; Cass. 22 maggio 2003 n. 8102; Cass. 13 gennaio 2003 n. 314; Cass. 21 giugno 2002 n. 9109; Cass. 29 novembre 2001 n. 15207)”.

Ed ancora, con sentenza n. 13503 dell’11 giugno 2009 (ud. del 29 aprile 2009), aveva già sottoposto l’efficacia vincolante del giudicato penale nel giudizio civile ed amministrativo nei confronti di coloro che abbiano partecipato al processo penale, prevista dall’art. 654 del c.p.p. “alla duplice condizione che nel giudizio civile o amministrativo (e, quindi, anche in quello tributario) la soluzione dipenda dagli stessi fatti materiali che furono oggetto del giudicato penale e che la legge civile non ponga limitazione alla prova della posizione soggettiva controversa“. Atteso che nel processo tributario vigono i limiti in materia di prova posti dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, c. 4, e trovano ingresso, con rilievo probatorio, in materia di determinazione del reddito d’impresa, anche presunzioni semplici prive dei requisiti prescritti ai fini della formazione di siffatta prova tanto nel processo civile (art. 2729 c.c., c. 1), che nel processo penale (art. 192 c.p.p., c. 2), la conseguenza è che “nel separato giudizio tributario non può più attribuirsi automatica autorità di cosa giudicata alla sentenza penale irrevocabile – di condanna o di assoluzione – emessa in materia di reati tributari, ancorchè i fatti accertati in sede penale siano gli stessi per i quali l’Amministrazione finanziaria ha promosso l’accertamento nei confronti del contribuente”. Pertanto, osserva la Cassazione, “il giudice tributario non può limitarsi a rilevare l’esistenza di una sentenza definitiva in materia di reati tributari, estendendone automaticamente gli effetti con riguardo all’azione accertatrice del singolo ufficio tributario, ma, nell’esercizio dei propri autonomi poteri di valutazione della condotta delle parti e del materiale probatorio acquisito agli atti (art. 116 c.p.c.) deve, in ogni caso verificarne la rilevanza nell’ambito specifico in cui esso è destinato ad operare (v. Cass., 18/1/2008, n. 1014; Cass., 21/6/2002, n. 9109. In termini più generali v. altresì Cass., 20/9/2006, n. 20325)”.

Ancora, con sentenza n. 28564 del 21 ottobre 2008 (dep. il 2 dicembre 2008) la Corte di Cassazione aveva riaffermato il principio secondo cui “nel processo tributario, la sentenza penale irrevocabile di assoluzione dal reato tributario, emessa con la formula perché il fatto non sussiste“, non spiega automaticamente efficacia di giudicato, ancorché i fatti accertati in sede penale siano gli stessi per i quali l’Amministrazione finanziaria ha promosso l’accertamento nei confronti del contribuente, ma può essere presa in considerazione dal giudice tributario come possibile fonte di prova. La diversità del processo tributario da quello penale viene ancora una volta salvata, sulla base dei limiti alla prova presenti nel processo tributario (non essendo ammessa quella per testimoni ed il giuramento ex art. 7, c. 4, del D.Lgs. n. 546/1992), uniti all’utilizzo, con rilievo probatorio, anche di presunzioni semplici, prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, il cui simultaneo ricorrere è invece necessario nel processo penale (l’art. 192, c. 2, c.p.p. prevede infatti che l’esistenza di un fatto non può essere desunta da indizi a meno che questi non siano gravi, precisi e concordanti), così come nel processo civile (art. 2729, c. 1, c.c.).

Non operando l’efficacia vincolante del giudicato penale nel processo tributario, il giudice tributario – così come lo stesso ufficio chiamato a guardare il proprio accertamento – magari in fase di conciliazione giudiziale – sulla base della sentenza penale di proscioglimento o assoluzione – può procedere ad una diversa motivata valutazione dei fatti.

 

22 novembre 2012

Francesco Buetto