Depositi IVA: possibilità di rinviare l’assoggettabilità all’imposta

analizziamo il vantaggio fiscale connesso all’utilizzazione dei depositi IVA nell’effettuaizone delle operazione intracomunitarie: differire l’assolvimento dell’imposta ad un momento successivo, evitando quindi l’anticipo finanziario correlato all’esborso per il versamento

L’utilizzo dei depositi IVA fa si che determinate operazioni siano poste in essere senza che subiscano l’assoggettamento all’imposta, con il rinvio dell’applicazione alla successiva fase di estrazione.

Sostanzialmente, “il vantaggio dato dall’utilizzo di tali depositi consiste nel differire l’assolvimento dell’imposta ad un momento successivo, evitando quindi l’anticipo finanziario correlato all’esborso per il versamento” (In tal senso, si esprime “Guida all’IVA” n. 11/2012, F. Oneglia e G. Pozzi, de Il Sole 24 Ore).

L’utilizzo dei depositi IVA consente, quindi, che le operazioni elencate nel comma 4, dell’art. 50-bis del D.L. n. 331/1993 (1), “eseguite mediante introduzione fisica dei beni nel deposito oppure aventi per oggetto i beni già esistenti nello stesso, vengano effettuate senza assoggettamento all’imposta, rinviando l’applicazione della stessa, se dovuta, alla successiva fase di estrazione”.

Tale comma, tra l’altro, dispone che sono effettuate senza pagamento dell’IVA le seguenti operazioni:

– Gli acquisti intracomunitari di beni eseguiti mediante introduzione in un deposito IVA;

– le operazioni di immissione in libera pratica (2) di beni non comunitari destinati ad essere introdotti in un deposito IVA previa prestazione di idonea garanzia commisurata all’imposta;

– le cessioni di beni, nei confronti di soggetti identificati in altro Stato membro della Comunità europea, eseguite mediante introduzione in un deposito IVA;

– le cessioni di beni custoditi in un deposito IVA;

– le cessioni intracomunitarie di beni estratti da un deposito IVA con spedizione in un altro Stato membro della Comunità europea, tranne che si tratti di cessioni intracomunitarie soggette ad imposta nel territorio dello Stato;

– le cessioni di beni estratti da un deposito IVA con trasporto o spedizione fuori del territorio della Comunità europea;

– le prestazioni di servizi, comprese le operazioni di perfezionamento e le manipolazioni usuali, relative a beni custoditi in un deposito IVA, anche se materialmente eseguite non nel deposito stesso, ma nei locali limitrofi sempreché, in tal caso, le suddette operazioni siano di durata non superiore a 60 giorni;

– il trasferimento dei beni in altro deposito IVA.

Pertanto, l’imposta viene assolta solo al momento dell’estrazione dal deposito con il meccanismo dell’inversione contabile (cd. reverse charge), il quale, come è noto, fa si che non sia dovuto alcun pagamento (registrazione sia a debito sia a credito).

 

 

 

 

 

Deposito IVA

Il deposito IVA è, dunque, uno “spazio fisico delimitato” che consente di custodire ed eventualmente sottoporre a lavorazione, senza il pagamento dell’IVA, beni nazionali e comunitari, purché non siano destinati alla vendita al dettaglio nei locali del deposito.

Occorre che la merce sia introdotta fisicamente ed effettivamente nel deposito IVA e deve rimanervi depositata e custodita (Corte di Cassazione n. 12262/2010 e n. 12581/2010).

Sia il D.P.R. n. 633/1972 sia il codice civile non dispongono nulla riguardo i limiti temporali della custodia.

Tuttavia, l’Amministrazione finanziaria (tra cui, R.M. 440/E/2008) ritiene che, per fruire del non assoggettamento ad IVA, i beni vadano materialmente introdotti nel deposito, senza un tempo minimo di giacenza, purché ciò possa soddisfare le condizioni di custodia previste dalla norma e giustifichi economicamente e giuridicamente il contratto di deposito sottostante all’introduzione della merce.

Inoltre, solo determinati soggetti sono abilitati alla gestione di un deposito IVA.

In particolare, la norma prevede i seguenti soggetti:

– Imprese che gestiscono magazzini generali munite di autorizzazione doganale;

– imprese che gestiscono depositi franchi;

– depositi fiscali per i prodotti soggetti ad accisa, di cui all’art. 1, comma 2, lett. e), del D.Lgs. n. 504/1995;

– depositi doganali di cui all’art. 525, par. 2 Regolamento (Cee) Commissione 2 luglio 1993, n. 2454/1993;

– altri soggetti su autorizzazione del Direttore regionale delle Entrate, ovvero del Direttore delle Entrate delle Province Autonome di Trento e di Bolzano e della Valle d’Aosta.

 

 

Operazioni di immissione in libera pratica di beni non comunitari destinati ad essere introdotti nel deposito IVA

L’operazione di immissione in libera pratica di beni di provenienza extracomunitaria, se i beni stessi vengono introdotti in un deposito IVA, si qualifica come operazione non soggetta all’imposta ai sensi della lett. b), comma 4, dell’art. 50-bis, del D.L. n. 331/1993.

L’operazione si realizza senza il pagamento immediato dell’IVA (ma con il pagamento dei dazi e degli altri diritti doganali diversi dall’IVA, se dovuti), la cui applicazione viene differita al momento dell’estrazione, previa prestazione di idonea garanzia pari all’ammontare dell’imposta gravante sulla merce.

L’esclusione del pagamento dell’IVA è, quindi, subordinata all’indicazione nella bolletta doganale d’importazione che i beni immessi in libera pratica siano destinati e poi effettivamente introdotti in un deposito IVA.

Sotto l’aspetto operativo, per l’introduzione di beni provenienti da Paesi extra comunitari in depositi IVA occorre che gli stessi, una volta giunti in Dogana scortati da un documento di transito, vengano sdoganati con un documento che attesti la destinazione in un deposito IVA e pertanto la non assoggettabilità all’imposta.

Al momento dell’introduzione, il gestore del deposito prende in carico la merce sull’apposito registro tenuto ai sensi dell’art. 50-bis, comma 3, del D.L. n. 331/1993 ed appone sulla copia della bolletta doganale la nota di presa in carico e il numero attribuito, rimandandone copia alla Dogana che ha provveduto allo sdoganamento.

Il soggetto che ha importato i beni annota sul registro IVA acquisti (art. 25, D.P.R. n. 633/1972) la relativa bolletta doganale indicando l’ammontare imponibile e il titolo di non assoggettamento all’imposta.

Al momento dell’estrazione dei beni dal deposito, l’operatore che procede all’estrazione stessa provvede ad assolvere l’IVA con il meccanismo del reverse charge. A questo punto il bene viene poi assoggettato al trattamento IVA della relativa operazione di uscita, a seconda della relativa destinazione.

In particolare, se i beni vengono commercializzati in Italia devono scontare l’IVA, se vengono venduti e spediti in un altro Stato membro o in uno Stato/territorio extracomunitario si qualificano come cessioni non imponibili, se sono destinati verso altri depositi IVA mantengono lo status di non applicazione dell’imposta.

Secondo l’Agenzia delle Dogane (nota n. 113881/2011), all’atto di introduzione dei beni nel deposito IVA va prestata garanzia dall’importatore, dal dichiarante o da un soggetto terzo.

Sono esonerati da tale obbligo solo i titolari di certificazione attestante il possesso dello status di operatore economico autorizzato (Aeo), nonché gli importatori esonerati ai sensi dell’art. 90, del D.P.R. n. 43/1973 (ossia imprese di notoria solvibilità, Amministrazioni dello Stato e gli enti pubblici).

La garanzia prodotta quando i beni in libera pratica vengono introdotti in un deposito IVA può essere svincolata a seguito della comunicazione, da parte del soggetto che procede all’estrazione dal deposito, dei dati relativi alla liquidazione dell’imposta al gestore del deposito e da questi alla Dogana.

A tale comunicazione devono essere allegati i seguenti

documenti:

– Copia dell’autofattura, o nel caso di esportazione o di cessione intracomunitaria, copia della fattura integrata con gli estremi della registrazione nei libri contabili, o, in alternativa, copia del registro delle fatture emesse e degli acquisti (artt. 23 e 25, D.P.R. 633/1972) da cui risulti l’avvenuta registrazione delle suddette fatture;

– dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà, con allegata copia di un documento d’identità, attestante la conformità all’originale e l’effettiva registrazione nei libri contabili dell’autofattura o della fattura.

Il gestore del deposito provvede ad inoltrare tale documentazione all’Ufficio delle Dogane, il quale svincola la garanzia prestata.

 

 

Cessioni di beni nei confronti di soggetti identificati in altro Stato membro eseguite mediante introduzione in deposito IVA

Le operazioni di cessione di beni, eseguite nei confronti di soggetti passivi comunitari, con introduzione in un deposito IVA (senza la movimentazione fisica dei beni in altro Stato comunitario) sono effettuate senza il pagamento dell’imposta.

Per effetto del mancato invio dei beni in altro Stato membro e dell’introduzione degli stessi nel deposito ubicato in Italia, l’operazione effettuata dal fornitore nazionale nei confronti del cessionario comunitario si qualifica come cessione senza applicazione dell’IVA in Italia ai sensi dell’art. 50-bis, comma 4, lett. c), del D.L. 331/1993.

Dal lato operativo, l’operatore residente provvede ad emettere fattura indicando che trattasi di cessione “non soggetta ad IVA” ai sensi dell’art. 50-bis, comma 4, lett. c), del D.L. 331/1993, senza procedere alla presentazione dei modelli Intrastat.

Tali operazioni non concorrono alla formazione del plafond e all’acquisizione dello status di esportatore abituale del cedente.

Dal canto suo, il gestore del deposito IVA deve annotare la movimentazione dei beni in apposito registro ai sensi dell’art. 50-bis, comma 3, del D.L. n. 331/1993 e, quindi, conservare il documento che ha accompagnato la merce.

Al momento dell’estrazione delle merci dal deposito IVA, che deve essere effettuata dal soggetto non residente per il tramite della propria identificazione diretta ai sensi dell’art. 35-ter, D.P.R. n. 633/1972 o del proprio rappresentante IVA ai sensi dell’art. 17, comma 3, del D.P.R. 633/1972, si realizza un’operazione soggetta al regime di applicazione dell’imposta in relazione alla successiva destinazione dei beni.

In caso di cessione ad un operatore comunitario di beni nazionali introdotti in un deposito IVA, la fattura deve essere intestata direttamente all’acquirente comunitario con il quale l’operatore nazionale pone in essere la cessione.

Viceversa, se la fattura relativa ai beni ceduti ed introdotti nel deposito IVA viene emessa nei confronti del rappresentante fiscale italiano del cessionario comunitario (o della sua identificazione diretta), l’agevolazione prevista dalla lett. c) comma 4, dell’art. 50-bis non si potrebbe applicare e, per conseguenza,

si dovrebbe qualificare la cessione come imponibile.

Estrazione dei beni dal deposito IVA

Come premesso, con la fase dell’estrazione dei beni dal deposito IVA, le merci perdono il regime di non applicazione dell’IVA, e si possono classificare in operazione interna, operazione intracomunitaria o cessione all’esportazione.

Sotto l’aspetto operativo, l’operatore nazionale che estrae i beni immessi nel deposito IVA per la commercializzazione o l’utilizzo in Italia deve emettere autofattura ai sensi dell’art. 17, comma 2, del D.P.R. n. 633/1972 nella quale occorre fare riferimento al documento doganale di importazione già annotato nel registro IVA acquisti e procedere alla registrazione sia nel registro delle fatture emesse sia in quello degli acquisti (artt. 23 e 25, D.P.R. 633/1972), ottenendo, in tal modo, la neutralizzazione dell’imposta.

La successiva cessione interna è poi assoggettata ad IVA con le normali regole previste per le cessioni interne.

L’operatore nazionale che estrae i beni immessi nel deposito IVA per la commercializzazione o l’utilizzo fuori dal territorio nazionale, se i beni stessi sono destinati ad uno Stato membro e a favore di un soggetto passivo, emette la fattura in regime di non imponibilità ai sensi dell’art. 41 e 50-bis, del D.L. n. 331/1993 e provvede a compilare il modello Intrastat.

Infine, nel caso in cui i beni siano, invece, inviati fuori dal territorio comunitario, lo stesso emette una fattura non imponibile, questa volta ai sensi dell’art. 8, del D.P.R. n. 633/1972 e dell’art. 50-bis, del D.L. n. 331/1993.

Tali operazioni concorrono alla formazione del plafond e all’acquisizione dello status di esportatore abituale del cedente (3).

 

Note:

(1) Convertito in Legge n. 427/1993, modificato dall’art. 7, comma 2, della Legge n. 106/2011 che ha convertito il D.L. n. 70/2011 (cd. decreto sviluppo). Ulteriori modifiche alla disciplina del deposito IVA, in relazione all’estrazione dei beni depositati, sono state introdotte dal D.L. n. 138/2011, convertito in Legge n. 148/2011 (cd. Manovra di Ferragosto).

(2) Sono considerati in libera pratica in uno Stato comunitario i prodotti provenienti da Paesi o territori terzi per i quali siano state adempiute in uno stato membro le formalità d’importazione, nonché riscossi i dazi doganali e le tasse di effetto equivalente esigibili e che non abbiano beneficiato di un ristorno totale o parziale di tali dazi.

(3) Per ulteriori particolari, si veda in “Guida all’IVA” n. 11/2012, F. Oneglia e G. Pozzi, B. Santacroce e E. Sbandi, edita da Il Sole 24 Ore.

 

 

15 novembre 2012

 

Vincenzo D’Andò