L'abuso del diritto è aperto

la procedura di contestazione di operazioni commesse per abuso di diritto da parte del Fisco è libera, in quanto si rifà ad una norma generale antielusiva e non a casi specifici previsti dal Legislatore

Con ordinanza n. 14494 del 14 agosto 2012 (ud. 4 luglio 2012) la Cassazione ha confermato che “in materia tributaria, ildivieto di abuso del diritto si traduce in un principio generaleantielusivo, il quale preclude al contribuente il conseguimento di vantaggifiscali ottenuti mediante l’uso distorto, pur se non contrastante con alcunaspecifica disposizione, di strumenti giuridici idonei ad ottenereun’agevolazione o un risparmio d’imposta, in difetto di ragionieconomicamente apprezzabili che giustifichino l’operazione, diverse dallamera aspettativa di quei benefici. Tale principio trova fondamento, in temadi tributi non armonizzati (nella specie, imposte sui redditi), nei principicostituzionali di capacità contributiva e di progressività dell’imposizione,e non contrasta con il principio della riserva di legge, non traducendosinell’imposizione di obblighi patrimoniali non derivanti dalla legge, bensìnel disconoscimento degli effetti abusivi di negozi posti in essere al soloscopo di eludere l’applicazione di norme fiscali. Esso comportal’inopponibilità del negozio all’Amministrazione finanziaria, per ogniprofilo di indebito vantaggio tributario che il contribuente pretenda di fardiscendere dall’operazione elusiva, anche diverso da quelli tipicieventualmente presi in considerazione da specifiche norme antielusiveentrate in vigore in epoca successiva al compimento dell’operazione, comenella specie, (cfr. anche Cass. Sez. U, sentenza n. 30055 del 23/12/2008; sent. n. 12237 del 2008), ancorchè la disciplina specifica control’elusione già era stata ancor prima espressamente prevista nell’ordinamentonazionale con la L. n. 408 del 1990, art. 10”.

 

Brevi note

Già con sentenza n. 15029 del 26 giugno 2009 (ud. del 29 aprile 2009) la Corte di Cassazione, a SS.UU., aveva guardato più alla sostanza che alla forma.

Il divieto di abuso del diritto si traduce in un principio generale antielusivo, il quale nega al contribuente la possibilità di conseguire vantaggi fiscali mediante l’uso distorto (pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione), di strumenti giuridici idonei al risparmio d’imposta, salvo che sottostante vi siano valide ragioni economiche.

Di conseguenza non possono essere opposti all’Amministrazione finanziaria tutti quei negozi che presentano tali caratteristiche, e ciò è rilevabile d’ufficio dal giudice, il quale può far valere eventuali cause di nullità dei contratti.

La sentenza che si annota – ove trova ancora una volta conferma il generale principio dell’abuso del diritto – è significativa dell’attenzione che la Corte di Cassazione sta ponendo su tutte queste fattispecie sottoposto a vaglio.

L’ordinamento giuridico, quindi, pur accordando al privato l’autonomia e la tutela degli atti posti in essere per il perseguimento di interessi meritevoli, disconosce validità all’esercizio di poteri, diritti ed interessi in violazione del principio di buona fede oggettiva. È quindi devoluto al giudice il compito di esaminare il regolamento negoziale posto liberamente in essere fra le parti al fine di verificare la rispondenza del contegno dei contraenti con il principio della buona fede oggettiva (Cass. sentenza n. 20106 del 18 settembre 2009, ud. dell’8 giugno 2009).

Ricordiamo che, con sentenza n. 2193 del 16 febbraio 2012 (ud 15 dicembre 2011) la Corte di Cassazione, ritenendo immanente nel nostro ordinamento il principio dell’abuso del diritto, ne ha sancito la legittimità anche per il passato. … Ciò non esclude … il potere dell’Amministrazione di contestare la deducibilità della componente passiva esposta dalla contribuente, ritenendola inopponibile, in forza del generale principio antielusivo, immanente nell’ordinamento, e la cui fonte va rinvenuta nei principi di capacità contributiva e di progressività dell’imposizione, di cui all’art. 53 Cost., commi 1 e 2. Secondo l’orientamento ormai consolidato di questa Corte (Cass. SU n. 30055 del 2008, Cass. n. 4737 del 2010, n. 11236 del 2011) deve, infatti, ritenersi presente nell’ordinamento, come diretta derivazione delle menzionate norme costituzionali, il principio secondo cui il contribuente non può trarre indebiti vantaggi fiscali dall’utilizzo distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un risparmio fiscale, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l’operazione, diverse dalla mera aspettativa di quel risparmio fiscale. La circostanza che siano disciplinate specifiche norme antielusive non contrasta con l’individuazione nell’ordinamento del cennato principio antielusione, ma, anzi, conferma l’esistenza di una regola generale in tal senso; per converso, l’espressa previsione d’inopponibilità all’amministrazione finanziaria di una data operazione mediante disposizioni emesse in epoca successiva al suo compimento, – come nella specie, trattandosi di pagamento di interessi a soggetti non residenti in uno Stato dell’Unione Europea – è circostanza idonea ad offrire indiretta conferma dell’illiceità fiscale dell’operazione stessa (in tal senso, cfr. Cass. SU n. 30055 del 2008 cit., in tema di ‘dividend washing’). Né siffatto principio può in alcun modo ritenersi contrastante con la riserva di legge in materia tributaria di cui all’art. 23 Cost., in quanto il riconoscimento di un generale divieto di abuso del diritto nell’ordinamento tributario non si traduce nella imposizione di ulteriori obblighi patrimoniali non derivanti dalla legge, bensì nel disconoscimento degli effetti abusivi di negozi posti in essere al solo scopo di eludere l’applicazione di norme fiscali (cfr. pure Cass. n. 8772/08.)”.

In definitiva, il potere dell’Amministrazione finanziaria di contestare il costo esposto dal contribuente, ritenendolo inopponibile, in forza del generale principio antielusivo, immanente nell’ordinamento, e la cui fonte va rinvenuta nei principi di capacità contributiva e di progressività dell’imposizione, di cui all’art. 53 della Costituzione, non viene meno in assenza di una norma specifica.

L’abuso del diritto, quindi, non presuppone una violazione in senso formale, ma delinea l’utilizzazione alterata dello schema formale del diritto, finalizzata al conseguimento di obiettivi ulteriori e diversi rispetto a quelli indicati dal Legislatore. È ravvisabile, in sostanza, quando, nel collegamento tra il potere di autonomia conferito al soggetto ed il suo atto di esercizio, risulti alterata la funzione obiettiva dell’atto rispetto al potere che lo prevede.

 

1 ottobre 2012

Roberta De Marchi