Indagini finanziarie: monitoraggio della giurisprudenza come ausilio al contraddittorio

Lo strumento delle indagini finanziarie è sempre più utilizzato dal Fisco come mezzo di accertamento: ecco un’utilissima analisi dei paletti che il contribuente deve rispettare per difendersi. Esempio: non basta affermare che il versamento rinvenuto nei conti bancari/finanziari è frutto di un prestito o di una regalia, essendo necessario provare, attraverso anche la tracciabilità del denaro (es.: uscita di banca dal conto corrente del suocero e versamento sul proprio conto corrente), l’affermazione fatta.

indagini finanziarieIn un nostro precedente intervento abbiamo avuto modo di sostenere che le prove dimostrative, in possesso del contribuente – volte a superare le presunzioni del Fisco – devono essere particolarmente probanti: non basta affermare che il versamento rinvenuto nei conti bancari/finanziari è frutto di un prestito o di una regalia, essendo necessario provare – attraverso anche la tracciabilità del denaro (uscita di banca dal conto corrente del suocero e versamento sul proprio conto corrente) – l’affermazione fatta.

Al contraddittorio in sede di adesione prima, e alla fase contenziosa dopo, è quindi stato assegnato un ruolo di primo piano per accertare la veridicità delle dichiarazioni di parte.

Proponiamo  una serie di pratiche indicazioni per la difesa del contribuente in tema di indagini finanziarie.

In questo nostro intervento intendiamo monitorare la giurisprudenza formatasi – le sentenze appaiono particolarmente significative -, in quanto possono essere utili per affrontare con la giusta consapevolezza il contraddittorio, tenendo sempre conto delle precise istruzioni impartite dall’Agenzia delle Entrate, con la circolare n. 32/2006.

 

La giurisprudenza in tema di indagini finanziarie

Diverse sentenze della Corte di Cassazione si sono occupati in quest’ultimo periodo delle indagini finanziarie, sottolineando la necessità della prova.

 

• con sentenza n. 23690 dell’8 novembre 2007 (dep. il 15 novembre 2007)

indagini bancariela Corte di Cassazione ha affermato che è irrilevante, ai fini dell’accertamento sintetico e dell’utilizzazione dei dati ed elementi emersi dalle movimentazioni dei rapporti bancari intrattenuti dal contribuente, la dimostrazione che il soggetto verificato eserciti attività d’impresa o che il saldo del rapporto sia negativo.

Il contesto nel quale si manifesta l’efficacia probatoria presuntiva delle risultanze dell’accertamento è quello dei movimenti riconducibili ad operazioni fiscalmente rilevanti per i quali al contribuente è data facoltà di dimostrare la relativa estraneità.

 

• Con sentenza n. 13819 del 3 maggio 2007 (dep. il 13 giugno 2007), 

la Corte di Cassazione ha avuto modo di affermare che la prova liberatoria, che consente di superare la presunzione di cui all’art. 32 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, secondo cui le movimentazioni dei conti correnti bancari legittimano l’accertamento del redditi, non può essere meramente generica e cioè relativa all’attività esercitata, ma deve essere, altresì, specifica in relazione ad ogni singola operazione.

Perciò, non è sufficiente che il contribuente adduca la qualità di amministratore di condominio ma è necessario che fornisca la prova analitica della riferibilità di ogni movimentazione bancaria alla sua attività di maneggio di danaro altrui.

Diversamente la rispettiva movimentazione, in assenza di altra idonea giustificazione, è configurabile quale corrispettivo non dichiarato.

Per giurisprudenza costante, in materia di Iva, qualora debba riconoscersi, ai sensi dell’art. 51, c. 2, del D.P.R. n.633/72, la ricorrenza dei presupposti per il ricorso a presunzioni semplici basate su operazioni in conto corrente bancario, la prova liberatoria, che il meccanismo comune ad ogni presunzione sposta sul contribuente, si commisura necessariamente alla natura e consistenza degli elementi utilizzati dall’Amministrazione.

La valutazione di tali elementi non si traduce in un’automatica assimilazione delle operazioni in conto corrente a corrispettivi non dichiarati, ma richiede un apprezzamento, eminentemente fattuale, della forza presuntiva attribuibile a quelle operazioni, alla luce della prova liberatoria offerta dal contribuente, ed è quindi censurabile in sede di legittimità soltanto per i vizi motivazionali previsti dall’art. 360, n. 5, c.p.c. (Cass. n.19947/2005 e n.11778/2001).

Nel caso specifico, per la Cassazione, la censura dell’Amministrazione finanziaria secondo la quale la motivazione della CTR sarebbe sul punto incerta e contraddittoria, merita di essere accolta, in quanto i giudici di appello hanno motivato l’accoglimento dell’impugnazione della contribuente sul rilievo che

“svolgendo la medesima attività di amministratore di condominio ne deriva necessariamente che la stessa obbligatoriamente e necessariamente riceveva rimesse altrui che amministrava per professione”.

Tuttavia, osserva la Corte, la circostanza

“che la contribuente riceveva sul proprio conto corrente rimesse altrui non è idonea di per sé, ai fini di cui trattasi, ad escludere la totale imputabilità di tutte le movimentazioni bancarie direttamente all’intestataria del conto corrente in assenza di elementi contrari in tal senso”.

La motivazione dei giudici di seconda istanza è, quindi, inadeguata, poichè non si sono fatti carico

“di verificare, in base alla prova liberatoria offerta dal contribuente, quali fossero le singole movimentazioni bancarie riferibili direttamente all’attività di amministratore di condominio per poter conseguentemente escludere che le stesse non costituissero corrispettivi non dichiarati.

La prova liberatoria ai fini di cui trattasi non può essere solo generica e cioè relativa all’attività esercitata, ma deve essere altresì, specifica in quanto, stante la presunzione di cui all’art. 51, comma 2, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, se il contribuente utilizza il conto corrente a lui personalmente intestato anche per maneggio di danaro altrui deve fornire la prova specifica – rectius: analitica – della riferibilità di ogni movimentazione bancaria alla sua attività di maneggio di danaro altrui, diversamente la rispettiva movimentazione, in assenza di altra idonea giustificazione, è configurabile quale corrispettivo non dichiarato”.

 
• Con sentenza n. 2752 del 5 febbraio 2009 (ud. del 28 ottobre 2008)

la Corte di Cassazione, ha affermato che in presenza dei requisiti prescritti dall’art. 32, D.P.R. n. 600/1973 l’Amministrazione finanziaria è facoltizzata a desumere dalle notizie, dati ed elementi acquisiti tramite le indagini effettuate su conti correnti, rapporti e depositi intrattenuti presso istituti di credito i fatti sui quali fondare – giusta la presunzione iuris tantum legale – la ricostruzione del reddito imponibile.

Tale presunzione trae origine dalla rilevante probabilità che le rimesse ed i movimenti che interessano i conti e rapporti siano riferibili al titolare senza necessità di analizzare le singole operazioni e ponendo a carico del contribuente l’onere di dimostrarne l’estraneità in rapporto al reddito dichiarato o l’irrilevanza fiscale.

 

• Con sentenza n. 6617 del 19 marzo 2009 (ud. del 23 dicembre 2008)

la Corte di Cassazione ha riaffrontato la questione, affermando che la motivazione della C.T.R. è stata

sentenza corte di cassazione“del tutto apodittica laddove afferma che la gestione pressoché integrale, da parte del S., dei conti bancari della D. era stata documentata.

È inoltre chiaramente contraddittoria ed erronea in punto di diritto laddove rileva che unitamente alle operazioni positive sui conti correnti, sono stati contabilizzati prelevamenti per L. 1.618.818.382, i quali costituendo comunque pagamenti eseguiti, avrebbero dovuto, in ogni caso, condurre  all’abbattimento corrispondente del reddito accertato”.

Come dedotto dalle ricorrenti amministrazioni l’art. 32 del D.P.R. n. 600 del 1973, prevede infatti, per gli accertamenti nei confronti dei soggetti con obbligo di contabilità, di considerare direttamente come ricavi i prelevamenti e in generale consente di porre a base degli accertamenti i dati e gli elementi risultanti dai conti.

Disposizione che viene interpretata dalla giurisprudenza di legittimità nel senso che, in tema di accertamento delle imposte sui redditi, ed al fine di superare la presunzione posta a carico del contribuente dall’art. 32 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, (in virtù della quale i prelevamenti ed i versamenti operati su conto corrente bancario vanno imputati a ricavi conseguiti nell’esercizio dell’attività d’impresa),

“non è sufficiente al contribuente dimostrare genericamente di avere fatto affluire su un proprio conto corrente bancario, nell’esercizio della propria professione, somme affidategli da terzi in amministrazione, ma è necessario che egli fornisca la prova analitica della inerenza alla sua attività di maneggio di denaro altrui di ogni singola movimentazione del conto”.

Infine – osserva la Corte –

“è erroneo il convincimento della C.T.R. sull’onere gravante a carico della amministrazione finanziaria di provare il coinvolgimento della D. nelle operazioni finanziarie del S. come pure di provare l’esistenza di una capacità di spesa compatibile con l’ammontare dei suoi movimenti bancari”.

 

• Con sentenza n. 10384 del 6 maggio 2009 (ud. del 13 febbraio 2009)

la Corte di Cassazione ha affermato che l’omessa fatturazione D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, ex art. 51, può esser provata presuntivamente attraverso prelevamenti, di cui il contribuente non dimostri la contabilizzazione, cosicché li si possano configurare come ricavi non dichiarati (Corte di Cassazione: 8 luglio 2005, n. 14420; v. anche sentenze: 13 giugno 2007, n. 13818; 23 aprile 2007, n. 9573; 30 gennaio 2007, n. 1942; 26 gennaio 2007, n. 1739; 14 ottobre 2005, n. 19947; 16 settembre 2005, n. 18421; 15 luglio 2001, n. 9103).

In particolare, nella sentenza 18 marzo 2002, n. 3929 è stato stabilito che

“in tema di accertamento dell’IVA, la presunzione, stabilita dal D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 51, comma 2, n. 2, secondo la quale i singoli dati ed elementi risultanti dai conti bancari sono posti a base delle rettifiche e degli accertamenti previsti dal successivo art. 54, se il contribuente non dimostra che ne ha tenuto conto nelle dichiarazioni o che non si riferiscono ad operazioni imponibili, ha un contenuto complesso, consentendo di riferire i movimenti bancari all’attività svolta in regime IVA, eventualmente dalla persona fisica, e di qualificare gli accrediti come ricavi e gli addebiti come corrispettivi degli acquisti; essa può essere vinta dal contribuente che offra la prova liberatoria che dei movimenti egli ha tenuto conto nelle dichiarazioni, o che questi non si riferiscono ad operazioni imponibili”
(nello stesso senso Corte di cassazione: 21 dicembre 2005, n. 28324; 6 dicembre 2005, n. 26692).

 

• Con sentenza n. 6425 del 21 marzo 2011 (ud. del 23 febbraio 2011)

la Corte di Cassazione ha affermato che vanno considerati ricavi sia le operazioni attive (versamenti) che quelle passive (prelevamenti), salvo che il contribuente non provi che i versamenti sono registrati in contabilità e che i prelevamenti sono serviti per pagare determinati beneficiari, e senza che si debba procedere alla deduzione presuntiva di oneri e costi deducibili.

Osservano i giudici

“che secondo consolidato orientamento di questa Corte, da cui non vi è motivo di discostarsi, in tema di iva (così come in tema di accertamento delle imposte sui redditi), e con riferimento all’acquisizione dei movimenti di un conto corrente bancario riconducibili ad un’attività d’impresa, debbono essere considerati ricavi sia le operazioni attive (versamenti) che quelle passive (prelevamenti), salvo che il contribuente non provi che i versamenti sono registrati in contabilità e che i prelevamenti sono serviti per pagare determinati beneficiari; e ciò senza che si debba procedere alla deduzione presuntiva di oneri e costi deducibili, giacchè, in forza della disposta inversione dell’onere della prova, grava sul contribuente l’onere di superare la contraria presunzione di legge (relativa), attestando la ricorrenza di specifici costi deducibili con concreti elementi di prova e non mediante affermazioni di carattere generale, semplici presunzioni o il richiamo all’equità (cfr. Cass. nn. 7813/10, 26312/09, 24055/09, 2821/08, 25365/07, 14 675/06)”.

 

• Con sentenza n. 6906 del 25 marzo 2011 (ud. del 15 dicembre 2010)

la Corte di Cassazione ha ribadito che, nel processo tributario, nel caso in cui l’accertamento effettuato dall’ufficio finanziario si fondi su verifiche di conti correnti bancari, è onere del contribuente, a carico del quale si determina un’inversione dell’onere della prova, dimostrare che gli elementi desumibili dalla movimentazione bancaria non siano riferibili ad operazioni imponibili, mentre l’onere probatorio dell’Amministrazione è soddisfatto, per legge, attraverso i dati e gli elementi risultanti dai conti predetti.

 

• Con la sentenza n. 16650 del 29 luglio 2011 (ud. del 15 aprile 2011)

la Corte di Cassazione ha confermato il principio secondo cui le risultanze delle indagini finanziarie sono presunzioni legali relative, accordando, comunque, al contribuente la possibilità di provare l’opposto, in maniera dettagliata e circostanziata.

La Corte afferma che,

“in virtù della presunzione stabilita dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, – che, data la fonte legale, non necessita dei requisiti di gravità, precisione e concordanza richiesti dall’art. 2729 c.c., per le presunzioni semplici – sia i prelevamenti che i versamenti operati su conti correnti bancari del contribuente vanno imputati a ricavi conseguiti dal medesimo nella propria attività d’impresa, se questo non dimostra di averne tenuto conto nella determinazione della base imponibile oppure che sono estranei alla produzione del reddito (v. tra le altre Cass. nn. 9103/2001, 15447/2001)”.

Tale presunzione legale è superabile attraverso una valida prova contraria fornita dal contribuente e detta prova va

“valutata dal giudice in rapporto agli elementi risultanti dai suddetti conti, per verificare, attraverso i riscontri possibili (date, importi, tipo di operazione, soggetti coinvolti), se ed eventualmente a quali movimenti la documentazione fornita dal contribuente si riferisca, così da escludere dal calcolo dell’imponibile esclusivamente quanto risultante dai singoli movimenti bancari ritenuti riferibili alla produzione documentale del contribuente”.

Prosegue la sentenza:

“ne consegue che non può ritenersi attendibile valutazione di una eventuale prova contraria offerta dal contribuente il fatto che nella sentenza impugnata si faccia un generico riferimento – privo del benché minimo accenno ad un qualsivoglia riscontro effettuato in rapporto ai dati emergenti dai conti correnti – alla produzione di distinte relative a somme ricevute per il versamento di imposte per conto di clienti, a incassi per polizze assicurative o al recupero di crediti extraprofessionali”.

 

• Con ordinanza n. 28160 del 21 dicembre 2011 (ud. 23 novembre 2011)

la Corte di Cassazione ha confermato che

“In tema di accertamento dell’IVA, la presunzione, stabilita dal D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 51, comma 2, n. 2, secondo la quale i singoli dati ed elementi risultanti dai conti bancari sono posti a base delle rettifiche e degli accertamenti previsti dal successivo art. 54, se il contribuente non dimostra che ne ha tenuto conto nelle dichiarazioni o che non si riferiscono ad operazioni imponibili, ha un contenuto complesso, consentendo di riferire i movimenti bancari all’attività svolta in regime IVA, eventualmente dalla persona fisica, e di qualificare gli accrediti come ricavi e gli addebiti come corrispettivi degli acquisti; essa può essere vinta dal contribuente che offra la prova liberatoria che dei movimenti egli ha tenuto conto nelle dichiarazioni, o che questi non si riferiscono ad operazioni imponibili (Cass. n. 3929/2002)”.

 

• Con sentenza n. 4688 del 23 marzo 2012 (ud. 14 marzo 2012)

la Corte di Cassazione ha confermato che

“le presunzioni fondate sulle movimentazioni bancarie legittimano l’Ufficio a considerare come ricavi i versamenti e i prelevamenti dei quali il contribuente non riesca a dare giustificazione: per poter accertare la natura di costi degli addebiti; in particolare, al fine della loro deducibilità, è necessario che il contribuente fornisca prova contraria alla rilevanza fiscale delle movimentazioni bancarie (Cass, 17/6/2008, n. 16341)…

La presunzione legale relativa posta dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, costituisce, quindi, una eccezione al principio del libero apprezzamento delle prove da parte del giudice ed alla regola dell’onere della prova”.

Per la Corte,

“la motivazione dei giudici d’appello è esente da censura, in ordine ad entrambi i vizi denunciati, avendo fatto corretta applicazione, con un’adeguata motivazione, dei principi in tema di presunzione ricavatale dalla movimentazione bancaria in quanto ogni accredito nel conto corrente bancario equivale a ricavo che aumenta il reddito, in mancanza di prova contraria. Anche i costi relativi ad acquisti non documentati devono considerarsi ricavo operando la presunzione di operazioni non fatturate e, nel caso di specie, in base alla motivazione della sentenza impugnata, non specificamente contestata sul punto, la ricorrente non è stato in grado di produrre fatture emesse o ricevute riconducibili alle operazioni bancarie indicate”.

 

La gestione delle risultanze bancarie/finanziarie

Acquisita la copia dei “conti” relativi ai singoli rapporti od operazioni di natura finanziaria, compresi gli eventuali servizi e garanzie gli uffici procedono alla ricostruzione dell’effettiva disponibilità reddituale ovvero del volume delle operazioni imponibili e degli acquisti effettuati dal contribuente stesso al fine di rettificarne le relative dichiarazioni.

Al punto 5.1. della circolare n. 32/2006 le Entrate affermano, innanzitutto, che

“la documentazione così ottenuta sarà analizzata a cura dell’organo procedente al fine di riscontrare direttamente se le movimentazioni – attive (accreditamenti) e passive (prelevamenti) – ivi evidenziate siano o meno coerenti con la contabilità del soggetto sottoposto a controllo, ovvero non siano imponibili o non rilevino per la determinazione del reddito e/o della base imponibile Iva, come anche, con riguardo alle persone fisiche, non risultino compatibili con la oro complessiva capacità contributiva”.

 

Primo controllo: coerenza contabile

Qualora, invece, alle predette movimentazioni non sia possibile dare immediata rilevanza e concludenza ai fini dell’accertamento, l’ufficio procedente, pur nell’ambito delle sue autonome valutazioni discrezionali, può avviare il contraddittorio con il contribuente (opportuno ma non necessario).

 

Opportuno ma non necessario il contraddittorio

In linea di principio assumono

“valida valenza giustificativa – soprattutto in caso di discordanza tra i dati bancari e finanziari e le rilevazioni contabili – gli atti e i documenti che provengono dalla Pubblica Amministrazione, da soggetti aventi pubblica fede (notai, pubblici ufficiali, eccetera), da soggetti terzi in qualità di parte di rapporti contrattuali di diversa natura, così come nel caso di rimborsi, risarcimenti, mutui, prestiti, eccetera”.

Inoltre, dal momento che le presunzioni legali, possono venire contraddette anche da giustificazioni di carattere tecnico, legate al particolare operare del tributo, il contraddittorio deve essere condotto tenendo conto della

“specificità della singola imposta, in quanto – in linea di massima – la giustificazione ai fini Iva di un movimento bancario può non essere automaticamente valida o significativa anche ai fini reddituali”.

 

 

Differenze probatorie per le diverse imposte ( II.DD. ed Iva)

In particolare, ai fini reddituali, il numero 2 del comma 1 dell’articolo 32 del D.P.R. n. 600 del 1973 prevede che i dati e gli elementi risultanti dai rapporti e dalle operazioni intercettati ai sensi del successivo numero 72 o rilevati secondo la particolare procedura di cui all’art. 33, cc. 2 e 3, sono posti a base delle rettifiche e degli accertamenti previsti dagli artt. 38, 39, 40 e 41 se il contribuente non dimostra che ne ha tenuto conto per la determinazione del reddito soggetto ad imposta o che non hanno rilevanza allo stesso fine3.

In proposito, sottolineano i redattori del documento di prassi n. 32/2006, il dato letterale della disposizione, al pari dell’omologa previsione in materia di Iva, fa riferimento all’endiadi

“dati ed elementi”,

mentre il testo anteriore alla novella utilizzava l’espressione

“i singoli dati ed elementi”.

La mancata conferma dell’aggettivo “singoli” non deve indurre, tuttavia, a un facile sovradimensionamento della relativa soppressione nel senso che la stessa non rappresenta sostanzialmente un allargamento delle modalità di utilizzo degli elementi di prova.

Tale abolizione, in concreto, non consente di ritenere che la contestazione dei singoli addebiti possa avvenire per “masse” o addirittura sulla base di un mero “saldo contabile”, atteso che, anche dopo tale soppressione, l’analisi deve riguardare ogni singolo elemento della movimentazione, quand’anche ricompresa in un’operazione unica e, a maggior ragione, quando si tratti di operazioni autonome.

 

Contestazione e prova non per masse ma singolarmente

Ad esempio, se il contribuente versa con un’unica distinta più assegni bancari, assegni circolari, assegni postali, vaglia ed eventualmente contanti, annotati sul conto corrente bancario con un’unica e complessiva rappresentazione numeraria, l’organo procedente deve distinguere

“per i singoli prelevamenti e versamenti, nonché per qualsiasi altra operazione finanziaria, i rispettivi elementi identificativi, senza escludere in via di principio la possibilità di una compensazione di operazioni di segno contrario, sempreché il contribuente specifichi il beneficiario della operazione passiva contestata, qualificando così anche l’inerenza dell’operazione”.

L’operatività delle presunzioni in esame si estende,

“almeno dal lato dei versamenti, alla generalità dei soggetti passivi e delle diverse categorie reddituali”.

 

 

I versamenti non giustificati costituiscono ricavi non contabilizzati per tutti i contribuenti e per tutte la categorie reddituali

Analogamente, alle “stesse condizioni” (mancata considerazione in dichiarazione e rilevanza fiscale),

“i prelevamenti o gli importi riscossi nell’ambito di tali rapporti od operazioni e non risultanti dalle scritture contabili, nel caso in cui il soggetto controllato non ne indichi l’effettivo beneficiario, sono considerati ricavi o compensi e accertati in capo allo stesso soggetto”.

 

I prelevamenti non giustificati costituiscono ricavi non contabilizzati per tutti i soggetti obbligati alle scritture contabili

Evidentemente, prosegue la C.M. n. 32/2006, la disposizione intende procedimentalizzare l’analisi, da parte dell’ufficio finanziario, della maggior capacità di spesa non giustificata dal contribuente, e correlare tale maggior capacità di spesa con le ulteriori operazioni attive effettuate presuntivamente “in nero”.

Oltre a ciò, la circolare pone in risalto che, “stante il riferimento normativo alle scritture contabili, tale ultima disposizione trova applicazione solo nei confronti dei soggetti obbligati alla tenuta delle stesse scritture, e quindi solo nel caso in cui sia configurabile un’attività economica, anche di natura professionale”.

I prelevamenti o gli importi riscossi dalle persone fisiche non titolari di partita Iva resterebbero fuori. Soggiace alla norma, invece, chi avendo comunque l’obbligo di tenere le scritture contabile non le detiene (evasore totale del reddito d’impresa o professionale).

Il documento di prassi rileva che

“si sottrae alla regola dell’inversione dell’onere della prova l’ipotesi in cui il contribuente indica il beneficiario del prelevamento utilizzato per l’acquisto di un bene o servizio non fatto transitare in contabilità; in tale ipotesi non scatta il meccanismo presuntivo ma l’operazione deve essere valorizzata alla stregua degli ordinari criteri dell’accertamento, i quali presiedono al riconoscimento del costo in funzione della ricostruzione del relativo ricavo”.

Ai fini Iva, la disciplina contenuta nell’art. 51, c. 2, n. 2, del D.P.R. n. 633 del 1972 prevede che i dati in argomento, acquisiti sia secondo la procedura di cui al successivo numero 7, sia attraverso i poteri e le facoltà di cui ai successivi artt. 52, u.c., e 63, c. 1, siano posti a base delle rettifiche e degli accertamenti previsti agli artt. 54 e 55 del medesimo decreto, se il contribuente non dimostra che ne ha tenuto conto in dichiarazione o che gli stessi non si riferiscono a operazioni imponibili.

Analogamente a quanto previsto per le imposte sui redditi, l’art. 2, c. 8, del citato D.L. n. 203 del 2005, consente ora di utilizzare i dati e gli elementi acquisiti, ai sensi dell’art. 18, c. 3, lett. b, del D.Lgs. n. 504 del 1995, ai fini dell’accertamento delle imposte sulla produzione e sui consumi.

Afferma la circolare che

“i versamenti non giustificati potranno essere contestati come operazioni imponibili, cessioni o prestazioni non contabilizzate, mentre i prelevamenti potranno essere valorizzati come acquisti in nero”.

L’aliquota Iva con cui valorizzare tali importi è, nel caso in cui non sia determinabile quella propria della singola operazione, l’aliquota in prevalenza applicata.

In tal caso, naturalmente, si deve operare in maniera distinta per i prelevamenti e i versamenti4.

La valenza probatoria dei prelevamenti nei confronti dei professionisti

Come è noto, è stato esteso ai lavoratori autonomi la presunzione di “compensi” ai prelevamenti e agli importi riscossi per i quali non siano stati indicati i beneficiari.

In sostanza, tale norma ha ampliato, ai fini delle imposte sui redditi, per i lavoratori autonomi, il regime presuntivo di imponibilità oltre che alle operazioni di accredito/versamenti anche a quelle di addebito/prelevamenti o somme riscosse.

Per le Entrate, l’anzidetta disposizione intende valorizzare l’analisi, da parte dell’ufficio procedente, della maggior capacità di spesa, comunque manifestata e non giustificata dal lavoratore autonomo, e correla tale maggiore capacità con le ulteriori operazioni attive anch’esse effettuate presuntivamente “in nero”, nell’ambito della specifica attività esercitata;

“e ciò, secondo una ragionevole regola di comune esperienza che lo stesso legislatore ha tenuto presente e sulla quale ha fondato il meccanismo presuntivo che consente, a certe condizioni, addirittura di riprendere totalmente a tassazione i prelevamenti non giustificati”.

Anche con riguardo ai prelevamenti dei professionisti valgono pertanto gli stessi argomenti comunemente addotti in relazione all’efficacia probatoria dei versamenti e dei prelevamenti già consentita dalla disciplina previgente per le imprese.

Il fondamento economico sotteso al descritto meccanismo presuntivo, che si basa per le imprese prevalentemente sull’acquisto e vendita di beni, è configurabile anche per i lavoratori autonomi, sebbene non vendano beni bensì prestino servizi.

“È di agevole constatazione, invero, che per esercitare non poche attività professionali è proprio necessario l’acquisto di beni (ad esempio, acquisto di protesi o di anestetici da parte dell’odontoiatra) o comunque di servizi (ad esempio, pareri tecnici, consulenze specialistiche, richiesti da un legale) per rendere prestazioni, anche di natura complessa.

Del resto, la soggezione anche dei lavoratori autonomi alla regola presuntiva intende attestare nella sua essenza, semplicemente e comprensibilmente, che i prelevamenti per i quali non si può (illegalmente, come, ad esempio, per l’eventuale pagamento di tangenti) o non si vuole (per mero spirito evasivo, come per il pagamento di retribuzioni fuori busta o di acquisti in nero) fornire detta indicazione sono da considerare costi in nero che hanno ragionevolmente generato compensi non contabilizzati”.

Tale regola assume anche una chiara valenza rigoristica e deterrente per indurre i professionisti, non meno che gli imprenditori, a prestare particolare attenzione

“a una coerente rispondenza tra movimenti, compresi i prelievi in conto corrente, e registrazioni (sul registro dei compensi e delle spese o sui registri Iva sostitutivi), in quanto eventuali prelievi non annotati e per i quali non si possa o non si voglia disporre di documentazione giustificativa dei pagamenti, non risulta per nulla illogico che vengano reputati quali compensi”.

Tuttavia, la stessa Amministrazione finanziaria, nella circolare n. 32/2006

“ritiene opportuno che gli uffici procedenti, sotto il profilo operativo, si astengano da una valutazione degli elementi acquisiti – non solo dai conti correnti ma da qualsiasi altro rapporto od operazione oggi suscettibili di indagine – particolarmente rigida e formale, tale da trascurare le eventuali dimostrazioni, anche di natura presuntiva, che trattasi di spese non aventi rilevanza fiscale sia per la loro esiguità, sia per la loro occasionalità e, comunque, per la loro coerenza con il tenore di vita rapportabile al volume di affari dichiarato”.

 

Valutazione coerente con il volume d’affari

In altri termini, prosegue il documento, occorre un ulteriore sforzo ricostruttivo e motivato dell’ufficio che, lungi dall’automatico trasferimento delle risultanze “patrimoniali” emerse in sede di indagini in capo al contribuente destinatario del controllo, qualifichi le stesse in senso “economico” e quindi reddituale secondo la metodologia e tipologia di accertamento in concreto adottata per l’esercizio della pretesa tributaria.

Una volta confermata la coerenza, sotto l’aspetto sia logico che giuridico- costituzionale, dell’estensione dell’efficacia presuntiva operata dalla legge relativamente ai

“prelevamenti o agli importi riscossi”,

non risultanti dalle scritture contabili e ingiustificati, tale meccanismo presuntivo di imponibilità è utilizzabile per rettificare o accertare in aumento i redditi riferibili anche degli anni pregressi, in quanto considerati, salvo prova contraria, come compensi non dichiarati (cfr. C.M. n. 10/2005).

“In altri termini, si ritiene che per gli appartenenti alla categoria dei lavoratori autonomi la modifica comportante la suddetta estensione non si risolva in un mutamento sostanziale delle regole di determinazione del reddito quanto a un suo elemento essenziale, bensì la stessa ha l’effetto di addossare ragionevolmente ai predetti contribuenti l’onere della ‘prova contraria’ per qualsiasi operazione passiva posta in essere, anche in via episodica, in epoca in cui il sistema vigente non attribuiva alle risultanze delle operazioni medesime una valenza, sotto il profilo istruttorio, corrispondente a quella sopravvenuta.

Ne consegue che l’applicazione estensiva ai lavoratori autonomi della presunzione di compensi per i prelevamenti e le riscossioni non interferisce sul rapporto tributario, ma ribalta soltanto l’onere incombente sull’Amministrazione di provare la pretesa impositiva”.

Resta inteso che nell’applicare la norma ad annualità precedenti – ma analoga cautela si ritiene che sia esperibile anche per le annualità dal 2005 in poi – occorrerà in ogni caso considerare quanto già precisato dalla circolare n. 28/E del 2006, al paragrafo 7, secondo la quale

“i contribuenti interessati possono ritenersi sollevati dall’onere di fornire la predetta dimostrazione in relazione a prelievi che, avuto riguardo all’entità del relativo importo ed alle normali esigenze personali o familiari, possono essere ragionevolmente ricondotte nella gestione extraprofessionale”.

 

 

A cura di Gianfranco Antico

 

 

NOTE

1 ANTICO, Il comportamento del contribuente durante le verifiche fiscali e l’onere di prova contraria negli accertamenti bancari, in “il fisco”, n. 17/2008, pag. 2899.

2 Ai fini presuntivi di cui al citato n. 2, l’art. 2, c. 9, del D.L. n. 203 del 2005, consente ora di utilizzare anche i dati e gli elementi “acquisiti ai sensi dell’art. 18, comma 3, lettera b), del decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504”, in materia di accertamento delle imposte sulla produzione e sui consumi; tale disposizione, peraltro, già prevedeva, sia pure genericamente, la possibilità di utilizzo di tali elementi “anche ai fini dell’accertamento in altri settori impositivi”.

3 Nel nuovo contesto normativo, non solo i versamenti risultanti dai conti bancari ma anche quelli rilevati dai conti finanziari o da operazioni “fuori conto” si presumono come ricavi, compensi ovvero elementi positivi rappresentativi per le sole persone fisiche di altri elementi reddituali da porre a base delle rettifiche e degli accertamenti di tipo analitico, analitico-induttivo, induttivo e sintetico, laddove la locuzione “posto a base” va intesa come il riconoscimento legale dell’attitudine probatoria che tali movimentazioni assumono ai fini dell’efficacia presuntiva che l’organo procedente intende utilizzare per assolvere il proprio onere dimostrativo.

4 In relazione al trattamento fiscale degli acquisti non fatturati, non è più previsto il pagamento dell’imposta, stante l’abrogazione dell’art. 41 del D.P.R. n. 633/72 ad opera dell’art. 16 del D.Lgs. n. 471 del 1997 (cfr. il punto 2.7 della circolare n. 23/E del 25 gennaio 1999 con riferimento all’applicabilità del contenuto dell’art. 41 del D.P.R. n. 633 del 1972 alle violazioni commesse in vigenza di tale disposizione).

Scarica il documento