I problemi personali possono essere causa di esonero dagli studi di settore!! Lo dice la stessa Cassazione

separazione dalla moglie e conseguente sindrome ansioso-depressiva, comprovata da certificazione medica: la Corte di Cassazione ha esonerato dagli strumenti presuntivi il contribuente con problemi personali; illustriamo come il contribuente deve motivare il fatto che le proprie problematiche personali modificano le risultanze degli studi di settore

Con sentenza n. 9642 del 13 giugno 2012 (ud. 24 maggio 2012) la Corte di Cassazione ha esonerato dagli strumenti presuntivi il contribuente con problemi personali.

 

Il passo saliente della sentenza

Nel caso di specie il contribuente ha evidenziato, al fine di giustificare lo scostamento rispetto alle presunzioni di cui ai predetti parametri, difficoltà attinenti alla sfera personale (separazione dalla moglie e conseguente sindrome ansioso-depressiva, comprovata da certificazione medica) che hanno comportato la necessità di assumere un secondo autista, con conseguente incremento del costo lavoro dipendente, solo in parte compensato dall’aumento dei ricavi, dovuto esclusivamente al miglioramento del parco veicoli che, a sua volta aveva determinato maggiori costi per beni strumentali”.

 

Brevi riflessioni

L’atto di accertamento fondato sugli strumenti presuntivi – parametri e studi di settore – è legittimo ab origine e rimane tale fino a quando il contribuente non fornisce e documenta debitamente la prova contraria.

E’ questo, di fatto, quanto emerge dalla lettura delle sentenze della Corte di Cassazione a SS.UU. n. 26635, 26636,26637,26638 del 10 dicembre 2009 (ud. del 1° dicembre 2009), secondo cui la procedura di accertamento standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è ex lege determinata in relazione ai soli standard in sè considerati, ma nasce procedimentalmente in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell’accertamento, col contribuente (che può tuttavia, restare inerte assumendo le conseguenze, sul piano della valutazione, di questo suo atteggiamento), esito che, essendo alla fine di un percorso di adeguamento della elaborazione statistica degli standard alla concreta realtà economica del contribuente, deve far parte (e condiziona la congruità) della motivazione dell’accertamento, nella quale vanno esposte le ragioni per le quali i rilievi del destinatario dell’attività accertativa siano state disattese.

Nello specifico della malattia che incide sulla determinazione dei ricavi/compensi la Corte di Cassazione più volte ha avuto modo di far sentire la sua voce

  • Con la sentenza n. 22555 del 5 novembre 2010 (ud. del 15 giugno 2010), è stato affermato che la malattia deve essere debitamente provata da parte del contribuente. La Corte rileva che “l’omissione denunziata nell’ottavo motivo è priva di consistenza essendosi il ricorrente limitato a lamentarla senza però esprimere le ragioni per le quali i fatti da lui addotti (‘concordanza tra importi dichiarati ed estratto conto bancario’; ‘beneficiare di pensione’; ‘nessuno da mantenere’; ‘supporto familiare’), ipoteticamente non valutati, dovrebbero dimostrare che egli non avrebbe sviluppato ‘la propria attività in maniera economicamente significativa’: gli ultimi tre di detti elementi, infatti, per la loro qualità, sono privi di qualsiasi significatività, univocamente oggettiva nel senso voluto dal contribuente perchè non necessariamente (nè ordinariamente) il professionista che benefici di pensione, che non abbia nessuno da mantenere e che, per giunta, goda di un supporto familiare (peraltro limitato, nel caso, al vivere in casa) svolge e/o deve svolgere un’attività professionale ridotta rispetto al collega che viva solo degli onorari professionali, abbia familiari da ‘mantenere’ e provveda in proprio anche alle spese di alloggio; la concordanza invocata, poi, dimostra, al massimo, la formale coincidenza della dichiarazione fiscale con i conti bancari: nessun dei fatti addotti (e, tanto, a prescindere dalla sussistenza della prova della loro effettività) prova la concreta ricorrenza di circostanze peculiari, esterne od interne, influenti negativamente sul regolare svolgimento di qual-sivoglia attività professionale, d’ordinario naturalmente volta alla produzione di utili economici”. Per i giudici supremi, l’affermazione della Commissione Tributaria Regionale secondo cui “non vi è prova alcuna della effettiva incidenza della patologia indicata” (ipotiroidismo) “sulla attività lavorativa … esercitabile in costanza di malattia“, ancora, è sterilmente contrastata (ultimo motivo di ricorso) col mero richiamo al “contenuto del certificato medico” perchè la sola asserzione “riduce notevolmente la capacità lavorativa“, contenuta nello stesso, “non evidenzia nessun difetto logico sui giudizio di inidoneità probatoria di quel certificato espresso dal giudice di appello – cui è istituzionalmente demandato l’afferente accertamento – essendo detta asserzione priva di qualsiasi riferimento a concreti parametri medico-legali o di un qualche diverso elemento di riscontro concreto da parte dello stesso certificante, specie quanto all’avverbio (peraltro del tutto generico perché non contiene alcun riferimento percentuale) notevolmente“.

  • Con la sentenza n. 19754 del 17 settembre 2010 (ud. del 7 giugno 2010), ha affermato che laddove, comunque, il contribuente intenda far valere, a causa giustificativa, la presenza di una malattia (atta ad incidere sull’attività lavorativa) questa deve essere provata. I giudici della Corte avevano osservato che “il giudice a quo, contrariamente a quanto lamenta il ricorrente, non ha deciso in base all’applicazione automatica dei parametri, perchè, sia pure in modo sintetico, ha valutato le prove fornite (anche in sede contenziosa) dal contribuente in ordine alla sua situazione concreta, ritenendo, da un lato, che la documentazione prodotta fosse ‘parziale e insufficiente’, e rilevando, dall’altro, la mancanza della prova relativa alla prognosi dell’intervento chirurgico”. Quest’ultima circostanza, ad avviso del Collegio, “riveste importanza decisiva, essendo evidente che, ai fini di stabilire l’incidenza di un tale evento sulla capacità produttiva di reddito, non rileva il fatto in sè, ma la durata della (eventuale) derivatane inabilità allo svolgimento della normale attività lavorativa”.

  • Con ordinanza n. 29185 del 28 dicembre 2011 (ud. 7 dicembre 2011) la Corte di Cassazione ha affermato che, nel caso di specie, “a fronte della dimostrazione da parte del contribuente che trattavasi di attività iniziata da poco e che il socio F.M. per questioni di salute non aveva potuto offrire la propria collaborazione e che quindi la redditività non ha raggiunto i parametri prefissati…, ha affermato l’obbligo dell’Ufficio di motivare adeguatamente sulla inattendibilità delle suddette controdeduzioni“.

 

12 settembre 2012

Francesco Buetto