Per il risarcimento da tardiva autotutela deve essere dimostrato il danno

Il risarcimento dei danni subiti dal contribuente è dovuto quando l’Amministrazione finanziaria non soltanto abbia posto in essere un atto illegittimo, ma lo abbia fatto con colpa o dolo; spetta a colui che promuove l’azione risarcitoria dimostrare il danno patito.

diniego di autotutelaLa Suprema Corte torna ad occuparsi della questione del risarcimento dei danni chiesto dai contribuenti all’Amministrazione finanziaria, a seguito della mancata o tardiva attivazione da parte di quest’ultima della procedura di annullamento in autotutela di atti viziati1.

Con la pronuncia in oggetto – lo si anticipa sin da subito – gli Ermellini confermano nuovamente che, per avere diritto al risarcimento del danno, il Fisco non soltanto deve aver formato un provvedimento viziato, ma anche aver agito con dolo o colpa, violando i principi costituzionali di imparzialità, correttezza e buona fede che presidiano il suo operato.

Peraltro, il contribuente è altresì tenuto a dimostrare che il danno patito, per il quale richiede il risarcimento, non vi sarebbe stato se il comportamento riparatorio dell’Amministrazione finanziaria fosse stato tempestivo. Infine, non può essere oggetto di risarcimento il cosiddetto “danno esistenziale”2.

Prima di esaminare in dettaglio l’interessante pronunciamento, però, pare opportuno delineare brevemente lo strumento attraverso il quale il Fisco può rimediare agli errori commessi, una volta che ne sia venuto a conoscenza.

 

 

Autotutela: dalle norme alla prassi

L’autotutela3 è il potere-dovere della Pubblica Amministrazione di correggere o eliminare, su propria iniziativa o su istanza di chi ne abbia interesse, gli atti già posti in essere, che, tuttavia, ad un successivo esame, risultino illegittimi o infondati.

Tale manifestazione del potere amministrativo trova fondamento a partire dall’articolo 97 della Costituzione4, che sancisce i principi di buon andamento ed imparzialità dei pubblici uffici e che, peraltro, viene richiamato anche dall’articolo 1 dello Statuto dei diritti del Contribuente5.

In ambito tributario, l’autotutela è disciplinata normativamente dall’articolo 2-quater del D.L. 564/19946, a cui è stata data attuazione con il decreto ministeriale 11 febbraio 1997, numero 377, con il quale è stato principalmente stabilito che:

  • il potere di annullamento e di revoca o di rinuncia all’imposizione in caso di autoaccertamento spetta all’Ufficio che ha emanato l’atto illegittimo o che è competente per gli accertamenti d’ufficio ovvero in via sostitutiva, in caso di grave inerzia, alla Direzione regionale o compartimentale dalla quale l’ufficio stesso dipende;

  • l’Amministrazione Finanziaria può procedere, in tutto o in parte, all’annullamento o alla rinuncia all’imposizione in caso di autoaccertamento, senza necessità di istanza di parte, anche in pendenza di giudizio o in caso di non impugnabilità, nei casi in cui sussista illegittimità dell’atto o dell’imposizione;

  • tra le cause di illegittimità vi sono: errore di persona; evidente errore logico o di calcolo; errore sul presupposto dell’imposta; doppia imposizione; mancata considerazione di pagamenti di imposta, regolarmente eseguiti; mancanza di documentazione successivamente sanata, non oltre i termini di decadenza; sussistenza dei requisiti per fruire di deduzioni, detrazioni o regimi agevolativi, precedentemente negati; errore materiale del contribuente, facilmente riconoscibile dall’Amministrazione;

  • non è possibile procedere all’annullamento d’ufficio, o alla rinuncia all’imposizione in caso di autoaccertamento, per motivi sui quali sia intervenuta sentenza passata in giudicato favorevole all’Amministrazione finanziaria;

  • l’autotutela deve essere prioritariamente impiegata in relazione alle fattispecie di rilevante interesse generale e, fra queste ultime, a quelle per le quali sia in atto o vi sia il rischio di un vasto contenzioso;

  • il “criterio di economicità”, che deve informare la complessiva azione amministrativa, impone di abbandonare le liti già iniziate, sulla base della probabilità della soccombenza e della conseguente condanna dell’Amministrazione finanziaria al rimborso delle spese di giudizio;

  • dell’eventuale annullamento, o rinuncia all’imposizione in caso di autoaccertamento, deve esserne data comunicazione al contribuente, all’organo giurisdizionale davanti al quale sia eventualmente pendente il relativo contenzioso nonché – in caso di annullamento disposto in via sostitutiva – all’ufficio che ha emanato l’atto.

 

L’Amministrazione Finanziaria ha impartito precise istruzioni agli Uffici sull’utilizzo dell’istituto in oggetto, in particolar modo con una circolare del 19988, con cui ha stabilito, tra l’altro, che:

  • se, a seguito di riesame, la pretesa tributaria risulta infondata in tutto o in parte, essa va ritirata ovvero opportunamente ridotta in modo da ristabilire un corretto rapporto con il contribuente, il quale non può essere chiamato al pagamento di tributi che non siano strettamente previsti dalla legge;

  • gli Uffici non possiedono la potestà discrezionale di decidere se correggere o no i propri errori, atteso che in presenza dei presupposti hanno il dovere di esercitare comunque l’autotutela; l’eventuale immotivata omissione potrebbe essere rilevante, infatti, sotto il profilo disciplinare dei dirigenti degli Uffici;

  • l’autotutela deve essere esercitata, qualora ve ne siano i presupposti, anche se l’atto è divenuto ormai definitivo per avvenuto decorso dei termini per ricorrere, ovvero anche se il ricorso è stato presentato ma respinto con sentenza passata in giudicato per motivi di ordine formale (inammissibilità, irricevibilità, improcedibilità ecc.); inoltre, l’autotutela deve essere attivata, sempre qualora ne ricorrano le condizioni di legge, anche se vi è pendenza di giudizio e/o non è stata prodotta in tal senso alcuna istanza da parte del contribuente.

 

 

Cenni sulla giurisprudenza di legittimità

La Corte di Cassazione si è occupata più volte della questione in oggetto, anche in tempi recenti, stabilendo, innanzitutto, la competenza del giudice ordinario per l’azione di risarcimento danni ex art. 2043 del codice civile9 nei confronti del Fisco10.

Secondo l’ormai consolidata giurisprudenza di legittimità, l’attività della pubblica amministrazione, anche nel campo della pura discrezionalità, deve svolgersi nei limiti posti dalla legge e dal principio primario del neminem laedere, codificato nell’art. 2043 c.c., per cui è consentito al giudice ordinario accertare se vi sia stato da parte della stessa pubblica amministrazione, un comportamento doloso o colposo che, in violazione di tale norma e tale principio, abbia determinato la violazione di un diritto soggettivo.

Infatti, stante i principi di legalità, imparzialità e buona amministrazione, di cui all’art. 97 Cost., la pubblica amministrazione è tenuta a subire le conseguenza stabilite dall’art. 2043 c.c., atteso che tali principi si pongono come limiti esterni alla sua attività discrezionale11.

Può essere riconosciuto, quindi, il risarcimento del danno sopportato da un soggetto per ottenere l’annullamento di un provvedimento amministrativo in sede di autotutela (danno consistente nelle spese legali sostenute per proporre ricorso contro l’atto illegittimo), non essendo esclusa la qualificazione di tali spese come danno risarcibile, per il solo fatto che esse si riferiscono ad un procedimento amministrativo12.

In siffatto quadro giurisprudenziale si innesta la pronuncia in commento, che ha il pregio di evidenziare con chiarezza quali siano i presupposti per poter esercitare l’azione risarcitoria ed entro quali limiti, ovvero quali siano i danni eventualmente risarcibili.

 

 

La sentenza 6283/2012

sentenza corte di cassazioneIl pronunciamento trae origine da un cartella di pagamento notificata ad un contribuente, il quale aveva lasciato scadere i termini per il ricorso avverso ad essa, determinato, così, la definitività della pretesa.

Successivamente aveva avanzato un’istanza di autotutela per l’annullamento dell’atto, ma l’Agenzia delle Entrate non aveva tempestivamente provveduto allo sgravio della cartella, poi effettuato soltanto in un secondo momento.

Il contribuente, pertanto, aveva promosso un’azione risarcitoria ex articolo 2043 del Codice Civile.

Il giudice di pace, investito della questione, condannava l’Agenzia delle entrate a risarcire il contribuente delle spese di assistenza legale sostenute, nonché del danno esistenziale patito.

A fronte del gravame opposto dal Fisco, il Tribunale, in riforma della pronuncia di primo grado, stabiliva che l’illegittimità di cui era affetta la pretesa impositiva non era sufficiente a determinare la responsabilità invocata dal contribuente, in assenza di colpa o dolo, inesistente nel caso di specie, atteso che dagli atti emergeva che la documentazione valutata positivamente dall’Ufficio ai fini dello sgravio della cartella non era nella disponibilità del Fisco ab origine, ma era stata solo successivamente depositata dal contribuente per tale scopo.

Peraltro, secondo i giudici del riesame, l’autotutela è meramente discrezionale e per il suo esercizio non sussiste alcun termine di legge, per cui non esisteva il ritardo asserito dal contribuente.

La Cassazione ha condiviso soltanto in parte tale decisione.

Più precisamente, per quanto concerne il primo aspetto, ovvero il diritto al risarcimento del danno patito dal contribuente, a seguito della tardiva attivazione da parte dell’Agenzia delle entrate della procedura di sgravio in autotutela della cartella viziata, gli Ermellini, richiamando la loro giurisprudenza pregressa13, hanno nuovamente ribadito che l’Amministrazione finanziaria non può essere chiamata a rispondere del danno eventualmente causato al contribuente per via del solo illegittimo esercizio della sua attività istituzionale (accertamento e riscossione dei tributi), ma occorre che tale illegittimità sia connotata da un quid pluris rinvenibile nella violazione delle regole costituzionali di imparzialità, correttezza e buon andamento della pubblica amministrazione di cui all’articolo 97 della Costituzione.

Del resto, allorquando venga attivata l’azione risarcitoria ex articolo 2043 del Codice Civile, occorre necessariamente verificare non soltanto che la condotta abbia cagionato l’evento e che abbia prodotto un danno-conseguenza, ma anche che essa sia qualificata dall’elemento soggettivo del dolo o della colpa.

A tal fine, secondo recente giurisprudenza di legittimità14, il giudice deve procedere, attraverso i seguenti step, accertando che: esista l’evento dannoso, l’accertato danno sia qualificabile come ingiusto, in relazione alla sua incidenza su di un interesse rilevante per l’ordinamento (a prescindere dalla qualificazione formale di esso come diritto soggettivo), ed, infine, che l’evento dannoso sia riferibile, sotto il profilo causale, ad una condotta della p.a. e sia imputabile, quindi, alla sua responsabilità sulla base non solo del dato obiettivo della illegittimità del provvedimento amministrativo, ma anche del requisito soggettivo del dolo o della colpa, configurabile qualora l’atto amministrativo sia stato adottato ed eseguito in violazione delle regole di imparzialità, correttezza e buona amministrazione, alle quali deve ispirarsi l’esercizio della funzione amministrativa e che costituiscono limiti esterni alla discrezionalità amministrativa15.

Per quanto attiene a tale aspetto, pertanto, la sentenza impugnata aveva fatto buon governo dei suesposti principi, atteso che il Tribunale aveva stabilito che il semplice fatto di aver richiesto un tributo non dovuto non comporta, di per sé, la responsabilità dell’Agenzia delle entrate, dovendosi, invece, accertare se quest’ultima non si sia attenuta ai prefati principi di imparzialità, correttezza e buona amministrazione.

I Giudici di piazza Cavour, però, non hanno concordato sulla parte della motivazione della pronuncia gravata in cui Tribunale aveva stabilito che lo sgravio della cartella era meramente facoltativo. Secondo gli Ermellini, invece, una volta informata l’Amministrazione finanziaria dell’errore in cui è incorsa e, quindi, dopo aver riconosciuto lo stesso, essa non può più esimersi dall’annullamento del provvedimento illegittimo, non esistendo, dunque, alcuno spazio per la mera discrezionalità, e ciò quand’anche il contribuente abbia lasciato scadere i termini di ricorso per impugnare il provvedimento dinnanzi alle Commissioni tributarie, rimanendogli, quindi, soltanto la strada dell’autotutela amministrativa.

Peraltro, secondo gli Ermellini, sebbene non sia previsto alcun termine di legge per il suo esercizio, l’Amministrazione finanziaria deve comunque provvedervi in tempi ragionevoli, da valutare, di volta in volta, dal giudice tributario16.

Definiti, così, i presupposti ed i limiti per l’esercizio dell’azione risarcitoria, i Giudici del Palazzaccio hanno anche fornito importanti indicazioni in merito ai danni risarcibili, che, nel caso di specie, erano stati riconosciuti dal giudice di pace nelle spese legali e nel cosiddetto “danno esistenziale”.

Relativamente a quest’ultimo, è stato stabilito, innanzitutto, che la sua configurabilità si pone in netto contrasto con l’orientamento ormai consolidato espresso, da ultimo, con la sentenza 27972/2008, con cui le Sezioni Unite sono giunte alla conclusione che tale danno cosiddetto esistenziale non costituisce una voce autonomamente risarcibile, ma è solo un aspetto dei danni non patrimoniali di cui il giudice deve tenere conto nell’adeguare la liquidazione alle peculiarità del caso concreto nell’ipotesi di lesione di un diritto fondamentale della persona. Nel caso di specie, era da escludersi che l’Amministrazione finanziaria avesse leso un diritto fondamentale della persona.

La risarcibilità delle spese sostenute per l’assistenza del commercialista, invece, non può essere aprioristicamente esclusa, come chiarito più volte dalla Suprema Corte17.

Tuttavia, per tale risarcimento, occorre pur sempre un comportamento illegittimo della pubblica amministrazione e violativo del principi di imparzialità, correttezza e buon andamento sopra richiamati.

Gli Ermellini hanno osservato, a tal proposito, che la questione ovviamente non si pone tutte le volte in cui siano le Commissioni tributarie a decidere sulle spese di giudizio, mentre si manifesta allorquando non sia stato esperito il ricorso in sede giurisdizionale ed il contribuente si sia affidato al potere di autotutela dell’Amministrazione Finanziaria.

In quest’ultimo caso, è il giudice di merito a dover valutare la richiesta risarcitoria alla luce degli ordinari principi che governano l’onere della prova.

Nel caso di specie, quindi, in cui il contribuente asseriva il patimento del danno a seguito della tardiva autotutela da parte dell’Agenzia delle Entrate, spettava a questi dimostrare che se il provvedimento di annullamento dell’atto illegittimo fosse stato tempestivo non si sarebbe verificato il danno cagionato, ma il ricorso – hanno osservato i Supremi Giudici – non prospettava alcuna argomentazione idonea al riguardo.

Il ricorso del contribuente, quindi, è stato rigettato e le spese di giudizio sono state compensate.

 

 

 

Considerazioni conclusive

Il percorso normativo, di prassi e giurisprudenziale sin qui compiuto consente di concludere che l’azione risarcitoria nei confronti dell’Amministrazione Finanziaria è esperibile da parte del contribuente a condizione che la parte pubblica non solo abbia posto in essere un atto illegittimo nell’esercizio della sua attività istituzionale (elemento oggetto), ma la sua condotta sia stata altresì connotata perlomeno da colpa (elemento soggettivo), ovvero sia stata caratterizzata da negligenza, imprudenza o imperizia.

Il CNDCEC ha recentemente osservato, a tal proposito, che

“l’elemento soggettivo della colpa non ricorre se la disciplina è incerta o contraddittoria, ovvero se la questione affrontata è nuova o, ancora, se vi sono sul punto diversi orientamenti giurisprudenziali.

Vi è invece colpa nel caso di erronea percezione della realtà in fatto (erronea ricostruzione della fattispecie) o in diritto, ovvero quando la ricostruzione della fattispecie sia la conseguenza di una scelta che abbia dato prevalenza al convincimento personale del funzionario senza tener conto di istruzioni, indirizzi, prassi e pronunce sull’argomento (ad esempio non abbia annullato un atto pur in presenza di una circolare che sollecitava l’abbandono delle controversie pendenti, ovvero in presenza di una giurisprudenza costante favorevole alle ragioni del contribuente), ovvero non abbia tenuto conto dei chiarimenti forniti dal contribuente in sede procedimentale o nell’eventuale istanza di riesame in autotutela”18.

 

Alla stregua delle considerazioni che precedono, è possibile delineare la seguente check-list ai fini dell’esperimento dell’azione risarcitoria19:

  • il contribuente deve aver tempestivamente proposto una motivata istanza di autotutela, a cui l’Ufficio non abbia dato seguito, proseguendo con le rituali procedure di accertamento e riscossione della pretesa erariale;

  • a seguito della mancata autotutela, il contribuente deve aver ottenuto una pronuncia a sé favorevole nelle competenti sedi giurisdizionali in relazione all’atto impositivo di cui ha chiesto ma non ottenuto l’annullamento20, ovvero l’Amministrazione Finanziaria stessa deve aver riconosciuto il proprio errore ed annullato la pretesa avanzata21;

  • verificate le precedenti condizioni, il contribuente può rivolgersi, quindi, al giudice di pace, per le cause di importo fino a 5.000 euro22, ovvero al Tribunale, per quelle di valore superiore23, al fine di avanzare la richiesta di risarcimento danni, consistenti nelle spese di giudizio eventualmente rimaste a suo carico, negli oneri sostenuti per avvalersi dell’assistenza del commercialista o del legale, nonché eventualmente di altre spese di trasferta ed accessorie per comunicare con l’Agenzia delle Entrate;

  • è indispensabile, però, per esperire tale azione risarcitoria, che la condotta dell’Amministrazione Finanziaria sia stata connotata da negligenza, imprudenza o imperizia, non essendo possibile citare il Fisco quando l’atto ritenuto illegittimo, per il quale sia stato richiesto ma non ottenuto l’annullamento in autotutela, abbia ad oggetto rilievi di particolare complessità, o la cui materia non sia ancora stata trattata della giurisprudenza, ovvero l’orientamento dei giudici non sia uniforme, e/o non esistano documenti di prassi in proposito: in sostanza, l’azione risarcitoria può essere esperita allorquando l’atto impositivo risulti infondato ictu oculi24.

 

12 luglio 2012

Alessandro Borgoglio

 

NOTE

1 Cfr. sul tema: Il risarcimento del danno patrimoniale in ambito tributario quale limite esterno all’attività discrezionale della Pubblica Amministrazione: brevi considerazioni a margine delle recenti pronunce delle Sezioni Unite della Cassazione di Marco Denaro (in “il fisco” n. 31 del 2007, pag. 1-4566); Annullamento in autotutela e risarcimento del danno di Galeano Giuseppe Alessandro e Ferri Gianluca Antonio Francesco (in “Corriere tributario” n. 16 del 2010, pag. 1263).

2 Per un approfondimento si veda l’interessante contributo “Il risarcimento del danno morale in ambito tributario” di Salvatore Servidio (in “il fisco” n. 39 del 2004, pag. 1-6639).

3 Cfr. Cass., n. 5120 del 3 marzo 2011 – Risarcimento al contribuente per l’omessa autotutela di Alessandro Borgoglio (in “il fisco” n. 11 del 2011, pag. 2-1768).

4 Per cui “Le pubbliche amministrazioni, in coerenza con l’ordinamento dell’Unione europea, assicurano l’equilibrio dei bilanci e la sostenibilità del debito pubblico. I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione. Nell’ordinamento degli uffici sono determinate le sfere di competenza, le attribuzioni e le responsabilità proprie dei funzionari. Agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge”.

5 L’articolo 1, comma 1, della legge 27 luglio 2000, numero 212 (c.d. Statuto dei diritti del Contribuente), stabilisce che “Le disposizioni della presente legge, in attuazione degli articoli 3, 23, 53 e 97 della Costituzione, costituiscono principi generali dell’ordinamento tributario e possono essere derogate o modificate solo espressamente e mai da leggi speciali”.

6 L’articolo 2-quater del decreto-legge 30 settembre 1994, numero 564, convertito, con modificazioni, dalla L. 30 novembre 1994, n. 656, dispone che “1. Con decreti del Ministro delle finanze sono indicati gli organi dell’Amministrazione finanziaria competenti per l’esercizio del potere di annullamento d’ufficio o di revoca, anche in pendenza di giudizio o in caso di non impugnabilità, degli atti illegittimi o infondati. Con gli stessi decreti sono definiti i criteri di economicità sulla base dei quali si inizia o si abbandona l’attività dell’amministrazione. 1-bis. Nel potere di annullamento o di revoca di cui al comma 1 deve intendersi compreso anche il potere di disporre la sospensione degli effetti dell’atto che appaia illegittimo o infondato. 1-ter. Le regioni, le province e i comuni indicano, secondo i rispettivi ordinamenti, gli organi competenti per l’esercizio dei poteri indicati dai commi 1 e 1-bis relativamente agli atti concernenti i tributi

di loro competenza. 1-quater. In caso di pendenza del giudizio, la sospensione degli effetti dell’atto cessa con la pubblicazione della sentenza. 1-quinquies. La sospensione degli effetti dell’atto disposta anteriormente alla proposizione del ricorso giurisdizionale cessa con la notificazione, da parte dello stesso organo, di un nuovo atto, modificativo o confermativo di quello sospeso; il contribuente può impugnare, insieme a quest’ultimo, anche l’atto modificato o confermato”.

7 D.M. 11 febbraio 1997, n. 37 (“Regolamento recante norme relative all’esercizio del potere di autotutela da parte degli organi dell’Amministrazione finanziaria”), pubblicato in Gazz. Uff. n. 53 del 5 marzo 1997.

8 Circolare del 5 agosto 1998, numero 198. In precedenza, sullo stesso argomento, era stata emessa la circolare del 8 luglio 1997, numero 195. Ulteriori istruzioni, peraltro, sono state impartite anche con le circolari della Direzione Regionale delle Entrate della Lombardia del 16 novembre 1999, numero 3/22993, e del 7 aprile 2000, numero 11/28093, nonché con la direttiva della Direzione Regionale della Toscana del 11 ottobre 2000, numero 72483/T1.

9 In base a tale articolo “Qualunque fatto doloso o colposo che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno”.

10 In tal senso: Cassazione SS.UU., sentenza n. 722 del 15 ottobre 1999, Cass. SS.UU., sentenza n. 14274 del 4 ottobre 2002. Per un approfondimento si veda “Spetta al giudice ordinario condannare il Fisco al risarcimento dei danni derivanti dalla notifica al contribuente di un atto impositivo illegittimo: ultimi orientamenti” di Carmela Lucariello (in “il fisco” n. 15 del 2007, pag. 1-2167).

11 Cass. 5120/2011, 7531/2009, S.U. 26108/2007, 1191/2003.

12 Cass. Sent. n. 698 del 19 gennaio 2010 (ud. 17 novembre 2009). Nello stesso senso: Cass. civ. Sez. 1′, 23 luglio 2004 n. 13801.

13 Il riferimento è alla Cass. 19458/2011, la cui massima è del seguente tenore: “L’amministrazione finanziaria non può essere chiamata a rispondere del danno eventualmente causato al contribuente sulla base del solo dato oggettivo della illegittimità dell’azione amministrativa, essendo necessario che la stessa, nell’adottare l’atto illegittimo, abbia anche violato le regole di imparzialità, correttezza e buona amministrazione, che costituiscono il limite esterno della sua azione”.

14 Cass. civ. Sez. III, Sent., 28-10-2011, n. 22508 (in tema di risarcimento del danno patito per l’illegittima sospensione bimestrale della patente di guida, poi annullata con sentenza).

15 Nello stesso senso: Cass. 22 dicembre 2006, n. 27498; Cass. 17 ottobre 2007, n. 21850.

16 La Cassazione, a tal riguardo, ha suggerito di considerare, ad esempio, il numero delle pratiche a cui l’Ufficio deve far fronte, la loro trattazione in ordine cronologico, il gradi di complessità dell’accertamento, eccetera.

17 Ex plurimis, Cass. Sez. III 10191/2007.

18 Circ. n. 20/IR del 22 luglio 2010, punto 3. Per un commento della circolare si veda A. Borgoglio, “La mancata autotutela è indice di colpevolezza”, su “Guida Normativa” del 4 agosto 2010.

19 Cfr. A. Borgoglio, il fisco, 2011, op. cit. (ultimo paragrafo).

20 In tal caso, spesso, il giudice tributario non riconosce al contribuente vittorioso le spese di giudizio ma ne dispone la compensazione.

21 In tale ipotesi, solitamente, in caso di pendenza di giudizio, il giudice tributario dichiara la cessazione della materia del contendere e compensa le spese.

22 Tale limite è stato innalzato dalla legge 69/2009, a decorrere dal 4 luglio 2009; in precedenza era di euro 2.582,28.

23 Cfr. F. Falcone e A. Iorio, “Il giudice ordinario rimborsa i danni della lite fiscale inutile”, su “Il Sole 24 Ore – Norme e Tributi” del 15 febbraio 2010, pag. 1.

24 È il caso, ad esempio, di errori di calcolo, di persona, ovvero di mancata considerazione di versamenti di tasse ed imposte già effettuati, o altri errori di palmare evidenza, nonché di presupposti giuridici o concettuali palesemente infondati, che sarebbero stati facilmente riconoscibili, in sede di riesame dell’atto, da parte dell’Amministrazione Finanziaria, senza il compimento di particolari elaborazioni logiche o indagini giuridiche complesse.