La dichiarazione non è sempre emendabile

quali limiti alla possibilità – per il contribuente – di emendare una dichiarazione dei redditi già inviata

Con sentenza n. 7294 dell’11 maggio 2012 (ud 17. novembre 2011) la Corte di Cassazione ha riaffrontato la questione relativa all’emendabilità della dichiarazione.

 

Il fatto

Risultano accertati nei giudizi di merito i seguenti elementi di fatto:

– la società nelle dichiarazioni dei redditi relative agli anni 1990- 1992 ha indicato perdite per £ 627.240.000 che sono state trascritte nella dichiarazione dei redditi 1994 al quadro M del modello 760/95 relativo a perdite di esercizio verificatesi negli anni precedenti e non portate in diminuzione dal reddito (“da non compensare“) ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1866, art. 102, nel testo vigente ratione temporis (come modificato dal D.L. 30 dicembre 1993, n. 557, art. 1, conv. in L. 26 febbraio 1994, n. 133);

– nella dichiarazione relativa ai redditi dell’anno 1994, presentata in data 30.05.1995, la società ha indicato componenti positivi di reddito per complessive £ 533.451.000 che ha azzerato portando in diminuzione perdite registrate nell’anno 1989 per complessive £ 5.425.938.000, importo successivamente corretto in £ 4.892.487.000 nella dichiarazione integrativa presentata il 09.06.1995.

 

L’Amministrazione finanziaria, rilevando dall’esame della dichiarazione dei redditi dell’anno 1989 che la società in quell’anno non aveva registrato perdite ma anzi aveva indicato un saldo attivo di bilancio di £ 500.342.000, ha disconosciuto il diritto della società a riportare perdite dell’anno 1989 nei successivi anni di imposta e quindi a compensare il relativo importo coi redditi dichiarati per l’anno 1994.

 

La parte motiva della sentenza

La Corte di Cassazione, innanzitutto, rileva che “il principio di dritto cristallizzato nella sentenza resa a SS.UU. 25.10.2002 n. 15063, ribadito da SS.UU. 6.12.2002 n. 17394 e da SS.UU. 9.1.2003 nn. 119-123 ed al quale si sono uniformate le successive sentenze rese a sezioni semplici (cfr. Corte Cass. 5′ sez. 19.5.2003 n. 7810, id. 23.5.2003 n. 8153, id. 6.4.2004 n. 6787, id. 6.7.2004 n. 12405 – con riferimento alla emendabilità della dichiarazione mediante ‘ritrattazione implicita’ costituita da successiva istanza di rimborso -, id. 5′ sez. 9.7.2004 n. 12791, id. 3.3.2005 n. 4609, id. 8.7.2008 n. 18673, id. 19.12.2008 n. 29738) trova fondamento nell’argomento secondo cui la indicazione dei dati relativi alle singole voci contenute nella dichiarazione dei redditi sottoscritta dal contribuente non produce gli effetti negoziali della ricognizione di debito titolata (e dunque non integra manifestazione di volontà negoziale) ma si esaurisce in una mera esternazione di scienza e di giudizio, sempre modificabile in ragione della acquisizione di nuovi elementi di conoscenza e valutazione dei dati riferiti (vedi sentenze citate: da ultimo ancora Corte Cass. 5′ sez. 4.2.2011 n. 2725)”.

Tuttavia, osserva la Suprema Corte, “l’affermazione di una generale ed automatica emendabilità degli errori commessi dal contribuente nella redazione della dichiarazione, … non può ritenersi estesa alla dichiarazione dei redditi ‘tout court’, ma deve correttamente circoscriversi alla indicazione di quei dati, relativi alla quantificazione delle poste reddituali positive o negative, che integrino errori tipicamente materiali (ad es. errori di calcolo od anche errata liquidazione degli importi), ovvero anche formali (concernenti la esatta individuazione della voce del modello da compilare nella quale collocare la posta), rimanendo a tali ipotesi estranea la concreta fattispecie in esame in cui – come riconosciuto peraltro dalla stessa società ricorrente – il contribuente, con la stessa dichiarazione, viene ad esercitare una facoltà di opzione riconosciutagli dalla norma tributaria (art. 102 TUIR nel testo vigente ‘ratione temporis’), potendo, alternativamente, scegliere liberamente o di portare in diminuzione dal reddito dichiarato e perdite (maturate nel precedente quinquennio), oppure di riportare nelle dichiarazioni relative ai successivi anni di imposta le perdite (verificatesi non anteriormente al quadriennio) non utilizzate per la compensazione. Tale opzione integra esercizio di un potere discrezionale di scelta nell”an’ e nel ‘quando’ riconducibile ad una tipica manifestazione di autonomia negoziale del soggetto che è diretta ad incidere sulla obbligazione tributaria e sul conseguente effetto vincolante di assoggettamento alla imposta, e dunque eventuali errori della volontà espressa dal contribuente assumono rilevanza soltanto ove sussistano i requisiti di essenzialità e riconoscibilità ex art. 1428 c.c. norma che trova applicazione, ai sensi dell’art. 1324 c.c., anche agli atti negoziali unilaterali diretti ad un destinatario determinato (cfr. Corte Cass. 3′ sez. 1.10.1993 n. 9777. In termini, con riferimento alla opzione prevista dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 36 bis, per avvalersi del regime di dispensa dagli obblighi di fatturane e registrazione relativi ad operazioni esenti, esercitata mediante la dichiarazione annuale IVA: cfr. Corte Cass. 1′ sez. 27.3.1997 n. 2732; id. 1′ sez. 19.9.1997 n. 9310; id. 1′ sez. 5.11.1998 n. 11102)”.

La circostanza di fatto della scelta da parte della società di portare – mediante presentazione di dichiarazione integrativa- in diminuzione dal reddito dell’anno 1994 (£ 533.451.000) la sola perdita realizzata nell’anno 1989 (£ 5.425.938.000) riportando nel Mod. 760/M tra le “perdite … da non compensare” quelle verificatesi negli altri precedenti anni, non consente ex se di riconoscere nella fattispecie un mero errore di diritto o di fatto (materiale o di calcolo o formale) obiettivamente rilevabile ed emendabile in ogni tempo, emergendo all’opposto, in modo oggettivo ed inequivoco, dall’indicazione contenuta nella dichiarazione dei redditi, la manifestazione di volontà della società contribuente di imputare al solo anno 1989 la perdita detraibile, così da mantenere impregiudicata la – eventuale – detraibilità delle perdite verificatesi negli anni 1990-1992 – riportate ed utilizzate nella dichiarazione da presentare nell’anno 1995 – dal reddito prodotto dalla società nel successivo anno d’imposta 1995.

 

Il principio di diritto espresso

Il principio di diritto espresso è il seguente: “le dichiarazione dei redditi del contribuente, affetta da errore, anche omissivo, sta esso di fatto o di diritto, in cui sia incorso il dichiarante nella sua redazione, è sempre emendabile e ritrattabile – salvi i limiti temporali derivanti dall’esaurimento determinato dal trascorrere del tempo o dal sopravvenire di decadenze- per quanto concerne i dati in essa indicati riferibili ad esternazioni di scienza e di giudizio (quali, a titolo di esempio, gli errori di calcolo o di liquidazione degli importi dei componenti positivi e negativi di reddito; la inesatta qualificazione giuridica dei componenti di reddito o la errata individuazione delle voci del modello di dichiarazione da compilare nelle quali collocare le singole poste), mentre esulano da tale disciplina gli altri errori commessi nella dichiarazione fiscale e relativi alla indicazione di dati riferibili, invece, ad espressione di manifestazioni di volontà negoziale (quale è, come nel caso di specie, l’esercizio della facoltà di opzione – riservata al contribuente dall’art. 102 TUIR nel testo vigente ratione temporis – di utilizzare le perdite di esercizio verificatesi negli anni pregressi portandole in diminuzione del reddito prodotto nell’anno oggetto della dichiarazione, ovvero di non utilizzare dette perdite riportandole in diminuzione dal reddito nei periodi di imposta successivi). In quest’ultima ipotesi ove il contribuente intenda contestare l’atto impositivo notificatogli dalla Amministrazione finanziaria per far valere l’errore commesso, lo stesso è onerato, secondo la disciplina generale dei vizi della volontà di cui all’art. 1427 c.c. e ss. – estesa dall’art. 1324 c.c. in quanto compatibile agli atti unilaterali ‘inter vivos’ a contenuto patrimoniale -, a fornire la prova della rilevanza dell’errore con riguardo ad entrambi i requisiti della essenzialità (nella specie dovendo ravvisarsi tale requisito nell’errore che cade sulla ‘qualità di perdita’ dell’importo da portare in diminuzione, o ancora nell’errore determinato da ignoranza od errata comprensione della portata delle norme tributarie applicabili) e della obiettiva riconoscibilità (da valutarsi secondo la diligenza propria che deve essere richiesta agli Uffici accertatoli)“.

 

Brevi riflessioni giurisprudenziali

Di recente, con sentenza n. 5852 del 13 aprile 2012 (ud 21 febbraio 2012) la Corte di Cassazione aveva affermato che La giurisprudenza di questa Corte è consolidata nel senso che, di regola, le dichiarazioni fiscali, in particolare quelle dei redditi, non sono atti negoziali o dispositivi, né costituiscono titolo dell’obbligazione tributaria, ma costituiscono mere dichiarazioni di scienza, sicchè (salvo casi particolari: ad es., le dichiarazioni integrative presentate ai fini del condono), possono, in linea di principio, essere liberamente emendate e ritrattate dal contribuente, se, per effetto di errore di fatto o di diritto commesso nella relativa redazione, possa derivare l’assoggettamento del dichiarante ad oneri contributivi diversi e più gravosi di quelli che, sulla base della legge, devono restare a suo carico (Cass. SU n. 15063 del 2002)”. Da ciò ne deriva, come logico corollario, “che la possibilità per il contribuente di emendare la dichiarazione, allegando errori di fatto o di diritto commessi nella sua redazione, ed incidenti sull’obbligazione tributaria, è esercitabile non solo nei limiti in cui la legge prevede il diritto al rimborso ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 38, ma anche in sede contenziosa per opporsi alla maggiore pretesa tributaria dell’amministrazione finanziaria (Cass. n 22021 del 2006, n 2626 del 201 1). Tale principio va applicato nella specie, non potendo ritenersi ostativo l’invocato D.P.R. n. 322 del 1998, art. 2, comma 8 bis, (introdotto dal D.P.R. n. 435 del 2001, art. 2, con effetto dal 1 gennaio 2002, in base all’art. 19 dello stesso decreto), disposizione che introduce, bensì, precise modalità per l’integrazione delle dichiarazioni (mutuandole dalle disposizioni relative alla presentazione delle (dichiarazioni e prevedendo l’utilizzo di modelli conformi a quelli approvati per il periodo d’imposta di riferimento) ed il limite temporale del ‘termine prescritto per la presentazione della dichiarazione relativa al periodo d’imposta successivo’, ma ciò prescrive per emendare ‘errori od omissioni che abbiano comportato l’indicazione di un maggior reddito od un maggior debito d’imposta od un minor credito’, e, cioè, per il caso in cui, tramite la rettifica si voglia mutare la base imponibile, o l’ammontare dell’imposta, ipotesi diversa da quella in esame in cui viene in rilievo, com’è incontroverso, un errore meramente formale”.

Ancora prima, con sentenza n. 2226 del 31 gennaio 2011 (ud. del 3 novembre 2010) la Corte di Cassazione aveva ritenuto emendabile la dichiarazione anche in fase contenziosa, facendo propri i principi espressi a Sezioni Unite, che hanno ripetutamente affermato che “la dichiarazione dei redditi del contribuente, affetta da errore, sia esso di fatto che di diritto, commesso dal dichiarante nella sua redazione, alla luce del D.P.R. n. 600 del 1973, nel testo applicabile ‘ratione temporis’, è – in linea di principio – emendabile e ritrattabile, quando dalla medesima possa derivare. L’assoggettamento del dichiarante ad oneri contributivi diversi e più gravosi di quelli che, sulla base della legge, devono restare a suo carico, in quanto: la dichiarazione dei redditi non ha natura di atto negoziale e dispositivo, ma reca una mera esternazione di scienza e di giudizio, modificabile in ragione dell’acquisizione di nuovi elementi di conoscenza e di valutazione sui dati riferiti, e costituisce un momento dell’iter procedimentale volto all’accertamento dell’obbligazione tributaria; l’art. 9, commi settimo e ottavo, del D.P.R. n. 600 del 1973, nel testo vigente, applicabili ratione temporis, non pone alcun limite temporale all’emendabilità e alla ritrattabilità della dichiarazione dei redditi risultanti da errori commessi dai contribuente; un sistema legislativo che intendesse negare in radice la rettificabilità della dichiarazione, darebbe luogo a un prelievo fiscale indebito e, pertanto, non compatibile con i principi costituzionali della capacità contributiva – art. 53 Cost., comma 1 – e dell’oggettiva correttezza dell’azione amministrativa – art. 97 Cost., comma 1” (così SS.UU. n. 15063/2002 e vedi anche successivamente SS.UU. n. 17394/2002). Di conseguenza, la giurisprudenza ha tratto come logico corollario che “la possibilità per il contribuente di emendare la dichiarazione allegando errori di fatto o di diritto commessi nella sua redazione, ed incidenti sull’obbligazione tributaria, è esercitatale non solo nei limiti in cui la legge prevede il diritto al rimborso ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 38, ma anche in sede contenziosa per opporsi alla maggiore pretesa tributaria dell’amministrazione finanziaria (v. Cass. n. 22021/2006, peraltro in precedenza v. anche, in parte, cass. n. 10055/2000)”.

Sempre la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 4878 dell’8.08.1988, aveva affermato che la dichiarazione di imposta non è una confessione stragiudiziale e, quindi, ben può essere rettificata dal contribuente, specie nel caso in cui l’inesattezza è frutto di errore riconoscibile.

Ancora la Suprema Corte ha statuito nella sentenza n. 13484 dell’8.06.2007 che “il rigoroso regime legale che regola il modo ed il tempo di presentazione della dichiarazione annuale dei redditi non costituisce argomento decisivo al fine di escludere la ripetibilità di imposte versate in base ad una dichiarazione errata, ancorché l’errore non sia immediatamente desumibile dal testo della dichiarazione stessa, dovendosi riconoscere al contribuente – in un sistema improntato ormai, per effetto dell’entrata in vigore dello Statuto del contribuente (L. n. 212 del 2000), ai principi della buona fede e della tutela dell’affidamento, ed avuto riguardo al concetto di capacità contributiva, che costituisce uno dei principi fondamentali della Costituzione in materia tributaria – la possibilità di far valere ogni tipo di errore commesso in buona fede al momento della dichiarazione, attraverso la procedura disciplinata dall’art. 38 del D.P.R. n. 602 del 1973”.

 

28 maggio 2012

Francesco Buetto