Le disposizioni attuative concernenti l’Aiuto alla crescita economica (ACE)

l’applicazione dell’agevolazione ACE (ossia “aiuto alla crescita economica”): ecco un quadro riassuntivo delle norme applicative

Con decreto ministeriale del Ministero dell’economia e delle finanze del 14 marzo 2012, sono state diffuse le disposizioni di attuazione relative all’Aiuto alla crescita economica (ACE), il cui obiettivo perseguito è quello di incentivare la capitalizzazione delle imprese mediante una riduzione della imposizione sui redditi derivanti dal finanziamento con il capitale di rischio.

In particolare, il beneficio opera mediante una deduzione dal reddito complessivo netto dichiarato dell’importo corrispondente al rendimento nozionale (per i primi tre periodi d’imposta di applicazione tale rendimento è pari al 3%) della variazione in aumento del capitale proprio rispetto a quello esistente alla chiusura dell’esercizio in corso al 31 dicembre 2010.

L’incentivo si applica dopo avere determinato il reddito complessivo netto già ridotto di eventuali perdite pregresse; ne deriva che non può generare una perdita fiscale o una maggiore perdita fiscale per l’impresa, ma laddove l’importo del rendimento nozionale superi il reddito complessivo netto dichiarato può essere computato in aumento dell’importo deducibile dal reddito complessivo netto dei periodi d’imposta successivi, senza alcun limite temporale e quantitativo.

In merito, ci si chiede se tale eccedenza da riportare possa o meno generare imposte differite attive. La risposta dovrebbe essere negativa, in quanto al momento del riporto non vi sarebbe alcuna differenza c.d. “timing” tra reddito imponibile e quello contabile. Negli esercizi successivi, invece, tale eccedenza rileverebbe come deduzione extracontabile, riducendo il carico fiscale.

Dovrebbero, infatti, valere le medesime regole previste in caso di riporto del ROL ai fini della deduzione degli interessi passivi ai sensi dell’art. 96 del TUIR. In tale caso, pur essendoci la possibilità per la società che riporta l’eccedenza di dedurre maggiori interessi passivi in futuro, non viene iscritta la fiscalità differita. E questo perché tale componente non ha influenzato il conto economico.

Parte della dottrina ritiene possibile iscrivere un “tax asset”, trattandosi di una sorta di credito fiscale (maggiore valore di attività) acquisito per effetto di eventi verificatesi nell’esercizio.

Tale eccedenza, comunque, in caso di adesione al consolidato fiscale e semprechè generata durante l’efficacia della stessa, può essere trasferita alla “fiscal unit” per essere ammessa in deduzione dal reddito complessivo globale di gruppo fino a concorrenza dello stesso.

Pertanto, nei regolamenti che disciplinano il funzionamento della tassazione di gruppo, dovrà essere prevista la remunerazione o meno del trasferimento al consolidato di tale agevolazione.

Il trasferimento dell’eccedenza ai soci avviene anche in caso di opzione per la trasparenza fiscale, purchè la stessa si sia generata durante la validità dell’opzione. In caso contrario, verrà utilizzata dalla società partecipata nei futuri esercizi.

 E’ stato chiarito quali sono i soggetti che possono accedere all’agevolazione. In genere si tratta dei soggetti assoggettati ad IRES, tranne gli enti non commerciali, e delle imprese assoggettate ad IRPEF.

 Possono beneficiare dell’incentivo anche le stabili organizzazioni in Italia di soggetti esteri.

 Tra i soggetti esclusi si citano le società assoggettate a determinate procedure concorsuali e quelle che hanno optato per il regime fiscale cd “tonnage tax” se la relativa attività è prevalente.

 Nella relazione illustrativa, viene specificato che non possono usufruire dell’agevolazione le CFC, malgrado la determinazione del reddito imputato ai soggetti residenti avviene secondo le specifiche regole domestiche.

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 L’incremento di capitale proprio rilevante a chiusura di ciascun esercizio può essere determinato per i soggetti IRES prendendo direttamente in considerazione gli elementi che concorrono a formarlo, senza alcuna rilevanza effettiva del dato concernente il capitale esistente alla chiusura dell’esercizio in corso al 31 dicembre 2010.

 La variazione in aumento va ragguagliata alla durata del periodo d’imposta, nel caso in cui quest’ultimo sia superiore o inferiore ad anno, ed in ciascun esercizio, comunque, non può eccedere il patrimonio netto risultante dal relativo bilancio, incluso l’utile di esercizio.

 Rilevano come elementi positivi della variazione del capitale proprio:

  1. i conferimenti in denaro e non quelli in natura;

  2. gli utili accantonati a riserva, ad esclusione di quelli destinati a riserve non disponibili.

Nella prima fattispecie rilevano, non solo i versamenti destinati ad aumento del capitale sociale, ma anche quelli destinati al ripianamento di perdite o contabilizzati a riserva, purchè si sia verificata la loro effettiva esecuzione. In altri termini non rileva la mera sottoscrizione di un aumento di capitale.

La rilevanza si ha a partire dalla data del versamento.

 Rilevano come conferimenti in denaro anche le rinunce incondizionate dei soci al diritto di restituzione di crediti finanziari verso la società (e questo dalla data “certa” del relativo atto), la compensazione dei crediti in sede di sottoscrizione di aumenti del capitale nominale (e questo dalla data in cui assume effetto la compensazione), e la conversione in azioni di obbligazioni (e questo a partire dalla data in cui ha effetto la conversione, anche se, per effetto dei principi contabili internazionali, il patrimonio netto si è incrementato al momento dell’emissione dei diritti d’opzione).

 Restano esclusi gli apporti a fronte dei quali non si può acquisire la qualità di socio, quali, ad esempio, quelli per la sottoscrizione degli strumenti partecipativi o quelli effettuati a seguito di un rapporto di associazione in partecipazione.

 Non rilevano, ovviamente, neppure i finanziamenti erogati dai soci, anche se infruttiferi, in quanto gli stessi costituiscono debiti per la società.

 Con riferimento agli incrementi derivanti dall’accantonamento degli utili, non rilevano le riserve formate con utili diversi da quelli realmente conseguiti ai sensi dell’art. 2433 del codice civile, in quanto derivanti da processi di valutazione, nonché quelle formate con utili realmente conseguiti che, per obbligo di legge, non sono distribuibili né utilizzabili ad altri fini (copertura perdite e aumenti gratuiti di capitale).

 Relativamente agli utili derivanti da operazioni di valutazione, la Relazione illustrativa cita le riserve da “equty method” ex art. 2426, c. 1, n. 4, del codice civile, le riserve derivanti dalla valorizzazione a fine esercizio delle attività e passività in valuta, le riserve per rivalutazioni volontarie, le riserve IAS di cui all’art. 6 del D.lgs. 38/2005.

 Tale ultima precisazione permetterebbe di escludere dal calcolo dell’agevolazione (e quindi non dovrebbero rilevare in diminuzione) le c.d. riserve negative IAS (ad esempio, quelle di “cash flow hedge”), anche se i relativi componenti, pur essendo iscritti a patrimonio netto, vengono considerati componenti economici (c.d. OCI).

 Sarebbero rilevanti, invece, sia gli utili accantonati a riserva legale, in quanto non sono distribuibili, ma utilizzabili a copertura delle perdite.

 Anche le riserve accantonate per potere usufruire delle agevolazioni fiscali delle reti d’impresa sarebbe rilevanti, malgrado siano in sospensione di imposta.

 Le riserve facoltative e quelle statutarie rilevano, in quanto la loro formazione e gli eventuali vincoli al loro utilizzo non derivano da obblighi di legge.

 Tali incrementi rilevano a partire dall’inizio dell’esercizio nel corso del quale l’assemblea li destina a riserve.

 Attenta dottrina ha sottolineato la problematica di come l’utile dell’esercizio rileva, ovvero se si deve tenere conto nel calcolo dell’IRES dell’ACE o meno.

 Costituiscono, altresì, elementi positivi del capitale proprio le riserve disponibili derivanti dalla riclassificazione di riserve indisponibili a seguito del venire meno della condizione di indisponibilità, sempre che tali riserve indisponibili si siano formate a decorrere dal 2011. In modo speculare, non rilevano le riserve disponibili che hanno fruito dell’ACE dal momento in cui vengono riclassificate a riserve indisponibili (si pensi, ad esempio, alle riserve indisponibili per acquisto azioni proprie, la cui costituzione riduce la variazione del capitale proprio fino a concorrenza degli utili che in precedenza l’avevano concorso ad aumentarla).

 Tra gli elementi negativi della variazione del capitale proprio, si devono considerare tutte le riduzioni del patrimonio con attribuzione, a qualsiasi titolo, ai soci o partecipanti. Tali operazioni rilevano a partire dell’inizio dell’esercizio in cui si sono verificati.

 Non rilevano come decremento le riduzioni del patrimonio per la copertura delle perdite, le distribuzioni dell’utile dell’esercizio o i decrementi conseguenti a operazioni di fusione e scissione.

 Infine, si segnalano alcune norme antielusive, per la disapplicazione delle quali è possibile presentare all’Agenzia delle Entrate istanza di interpello ex art. 37-bis del DPR 600/1973.

 In particolare, si tratta delle operazioni fra società appartenenti al medesimo gruppo, dove ai fini del controllo si deve fare riferimento all’art.2359 del codice civile.

 Una prima riduzione della variazione del capitale proprio avviene in caso di conferimenti di denaro a favore di società del gruppo, anche se è venuto meno il rapporto di controllo alla chiusura dell’esercizio.

 Non si dovrà tenere conto dei conferimenti in denaro provenienti da soggetti non residenti controllati da soggetti residenti, o da quelli provenienti dai Paesi a fiscalità privilegiata.

 Infine, la variazione in aumento non ha effetto fino a concorrenza dei corrispettivi per l’acquisizione di partecipazioni e aziende, e dell’incremento dei crediti di finanziamento rispetto a quelli risultanti dal bilancio relativo all’esercizio in corso al 31 dicembre 2010.

3 aprile 2012

Fabio Gallio