Le modifiche apportate all'indeducibilità dei costi da reato

il Decreto sulle semplificazioni fiscali è intervenuto anche in tema di tassazione dei redditi illeciti e di indeducibilità dei costi afferenti ad attività qualificabili come reato: una rassegna delle novità appena entrate in vigore

Premessa

Il c.d. Decreto semplificazioni, approvato in data 1° marzo 2012, attraverso l’art.8, ha introdotto specifiche e rilevanti modifiche in tema di tassazione dei redditi illeciti e di indeducibilità dei costi afferenti ad attività qualificabili come reato, aspetti disciplinati dai commi 4 e 4 bis dell’art. 14 della Legge n. 537/1993.

Infatti, la Legge 24 dicembre 1993, n. 537, recante “Interventi correttivi di finanza pubblica“, dispone al comma 4 dell’art.14 che “nelle categorie di reddito di cui all’articolo 6, comma 1, del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, devono intendersi ricompresi, se in esse classificabili, i proventi derivanti da fatti, atti o attività qualificabili come illecito civile, penale o amministrativo se non già sottoposti a sequestro o confisca penale. I relativi redditi sono determinati secondo le disposizioni riguardanti ciascuna categoria”; il seguente comma 4-bis, introdotto dall’articolo 2 della Legge nr. 27 dicembre 2002, n. 289, nella formulazione previgente alle modifiche introdotte dal decreto del 1° marzo, prevedeva che nella determinazione dei redditi di cui all’articolo 6, comma 1, del T.U. nr.917/1986, non sono ammessi in deduzione i costi o le spese riconducibili a fatti, atti o attività qualificabili come reato, fatto salvo l’esercizio di diritti costituzionalmente riconosciuti.

La principale modifica normativa, come di seguito specificato, concerne essenzialmente il presupposto di fatto al ricorrere del quale l’Amministrazione Finanziaria è legittimata a disconoscere la deducibilità di determinate componenti negative di reddito. Infatti, nella formulazione previgente al 1° marzo 2012, il principio di indeducibilità dei costi da reato trovava applicazione anche in presenza di meri fatti “qualificabili”, anche potenzialmente, come illeciti di rilevanza penale e, quindi, l’istituto in rassegna operava a seguito della trasmissione alla Procura della Repubblica della notitia criminis a carico del contribuente, non essendo necessaria la formulazione da parte del Pubblico Ministero competente della conseguente ipotesi accusatoria tramite la richiesta di rinvio a giudizio, né un provvedimento di condanna.

All’art. 8 del decreto del 1° marzo 2012 sono state introdotte rilevanti modifiche al delineato assetto normativo poiché il disconoscimento di costi dipendenti da atti costituenti reato è stato strettamente vincolato alla sussistenza di fatti penalmente quali delitti non colposi per i quali il giudice abbia emesso il decreto che dispone il giudizio ai sensi dell’articolo 424 del codice di procedura penale.

 

1.La posizione espressa dall’Agenzia delle Entrate con la Circolare n. 42/E del 26 Settembre 2005

La richiamata disposizione inerente l’indeducibilità, ai fini della determinazione del reddito imponibile, delle componenti negative sostenute per la produzione di ricchezza connessa con atti o fatti aventi rilevanza illecita penale, è stato oggetto di un intervento dell’Agenzia delle Entrate che, con la Circolare n. 42/E del 26 Settembre 2005, ha fornito puntuali precisazioni, con particolare riguardo alle concrete modalità applicative, nonché al campo di operatività del già citato comma 4-bis dell’art.14 della Legge n. 537/1993.

In particolare, l’Amministrazione Finanziaria ha precisato che:

  • ferma restando l’imponibilità dei proventi derivanti da attività illecite, i relativi costi e spese seguono un regime fiscale differente in relazione alla tipologia di illecito: essi sono deducibili secondo le regole ordinarie, se riconducibili ad illeciti civili o amministrativi, sono indeducibili nel caso di illeciti;

  • la disposizione in esame trova applicazione solo in relazione ai costi ed alle spese sostenuti a partire dal 1° gennaio 2003, data di entrata in vigore della Legge n. 289 del 2002;

  • il citato comma 4-bis dell’art.14 della Legge n. 537/1993, pertanto, non ha il medesimo ambito applicativo del comma 4, che concerne in generale i proventi derivanti da illeciti di qualsiasi natura, ma riguarda solo gli illeciti penalmente rilevanti;

  • con l’introduzione della disposizione in analisi il Legislatore ha inteso prevedere un intento indirettamente sanzionatorio dell’attività illecita e, quindi, è evidente che la norma ha una evidente e contingente natura di amplificazione della sanzione con una tassazione al lordo dei costi anziché al netto;

  • in riferimento all’ambito soggettivo di applicazione, “la disposizione in commento si renda applicabile in particolare in sede di determinazione del reddito d’impresa e di lavoro autonomo e, in generale, con riferimento a quelle fattispecie reddituali per le quali la norma tributaria prevede la deducibilità delle spese specificamente inerenti alla produzione del reddito”;

  • la norma vieta la deducibilità di costi e spese comunque inerenti all’attività e funzionali alla produzione dei relativi proventi nel caso in cui l’attività nel suo complesso ovvero il singolo atto o fatto illecito costituisca un illecito penalmente rilevante; nel caso in cui l’illiceità coinvolga la complessiva attività esercitata dal contribuente, l’indeducibilità riguarderà tutti i costi e le spese sostenuti in relazione all’attività stessa; diversamente nel caso in cui l’illiceità coinvolga solo uno o più ‘fatti o atti’ nell’ambito della propria attività lecita, l’indeducibilità riguarderà sia i costi e le spese a questi specificamente afferenti, sia una quota dei costi riconducibili all’attività in generale ossia comuni a più fatti o atti, alcuni leciti e altri illeciti. In tale ultima ipotesi, la quota indeducibile dovrà essere determinata con criteri di proporzionalità in relazione alla fattispecie esaminata;

  • l’indeducibilità recata dalla norma consegue già alla trasmissione al pubblico ministero della notizia di reato a carico del contribuente, come previsto dagli artt. 331 e 347 del codice di procedura penale;

  • la norma trova applicazione anche nel caso in cui i proventi derivanti dall’attività illecita siano sottoposti a sequestro o confisca penale.

 

2. L’interpretazione giurisprudenziale del principio di indeducibilità dei costi da reato

L’ambito applicativo delle disposizioni contenute nel comma 4 bis dell’art.14 della Legge nr.537/1993 è stato oggetto, altresì, di una recente pronuncia della Commissione Tributaria Provinciale di Ravenna che, con la sentenza n. 113 del 24 settembre 2008 (depositata il 10 dicembre 2008), ha ribadito, in armonia con la prassi e con la giurisprudenza consolidatesi in materia, che le componenti negative sostenute in connessione ad atti aventi rilevanza penale non possono essere portate in deduzione ai fini della determinazione delle relative fattispecie reddituali, in relazione alle quali la norma tributaria prevede la deducibilità delle spese specificamente inerenti la produzione del reddito stesso. L’organo giudicante, nella richiamata sentenza, chiarisce particolari aspetti interpretativi connessi con l’applicazione del comma 4 bis dell’art.14 della Legge nr.537/1993 in relazione, altresì, alle disposizioni contenute nel precedente comma 4 che, come ben noto, disciplina l’imponibilità, ai fini delle imposte dirette, dei redditi derivanti da fatti, atti o attività che costituiscono illeciti civili, penali o amministrativi, da determinarsi secondo le ordinarie regole del testo unico delle imposte sui redditi. Infatti, la Commissione Tributaria Provinciale di Ravenna sottolinea che il comma 4 bis (costi da reato) ha un campo di operatività autonomo rispetto a quello del precedente comma 4, producendo comunque l’effetto di rendere indeducibili i costi connessi a fatti, atti o attività costituenti reato. A detta dell’organo giudicante, infatti, “eccettuata la collocazione della norma, null’altro porta a collegare il comma 4 bis al comma 4: non un’interpretazione letterale, in quanto il campo di operatività delle due norme appare autonomo, risultando indeducibili i costi che fanno riferimento a fattispecie qualificabili come reato.”

Quanto sopra, in ragione del fatto che il comma 4 dell’art. 14, per la determinazione dei redditi derivanti da attività illecite, richiama le disposizioni riguardanti le diverse categorie di reddito, comprese quelle relative alle modalità di deduzione dei costi e delle spese di produzione del reddito, con la conseguenza che il comma 4-bis introduce una deroga al principio espresso dal precedente comma 4, piuttosto che fornire una particolare interpretazione dello stesso. In altre parole, la disposizione inerente i “costi da reato” non ha il medesimo ambito applicativo del comma 4, che concerne in generale i proventi derivanti da illeciti di qualsiasi natura, ma riguarda solo gli illeciti penalmente rilevanti in relazione ai quali introduce una deroga alle disposizioni relative alle modalità di deduzione delle componenti negative sostenute. Pertanto, ferma restando l’imponibilità dei proventi derivanti da attività illecite, i relativi costi e spese seguono un regime fiscale differente in relazione alla tipologia di illecito e sono deducibili secondo le regole ordinarie, se riconducibili ad illeciti civili o amministrativi, mentre sono indeducibili nel caso di illeciti penalmente rilevanti. L’autonomia operativa delle disposizioni de quibus si evince anche dall’analisi dei presupposti che ne legittimano l’applicazione. Infatti, come è ben noto, il comma 4 dell’art.14 della Legge nr.537/1993, nel disciplinare il principio della tassabilità dei proventi illeciti di qualsiasi natura, ne subordina la legittimità all’assenza di un provvedimento di sequestro o confisca penale nel periodo d’imposta di riferimento; al contrario, così come espressamente ribadito nella Circolare nr.42/E del 26 settembre 2005 dell’Agenzia delle Entrate prima analizzata, la norma relativa all’indeducibilità dei costi da reato deve trovare applicazione anche qualora il relativo provento illecito sia stato oggetto di sequestro o di confisca penale e, pertanto, in virtù di quanto previsto dal comma 4 dell’art.14 della Legge nr.537/1993, non possa essere riportato a tassazione. Nella richiamata Circolare, a tal proposito, si afferma che i costi e le spese riconducibili a proventi derivanti da fatti costituenti reato che siano stati sottoposti a sequestro o confisca penale, “mancando il requisito dell’inerenza a proventi imponibili, non possono essere dedotti dai proventi derivanti da altre attività lecite o illecite esercitate dal contribuente non sottoposti a sequestro o confisca penale. Inoltre, nel caso in cui l’intera attività esercitata dal contribuente rilevi come illecito penale e tutti i proventi siano sottoposti a sequestro o confisca, la deducibilità dei costi e delle spese in regime di impresa determinerebbe, per assurdo, una perdita fiscale riportabile”.

Nella sentenza in analisi, in relazione al momento cronologico in cui si configura l’applicabilità del principio dell’indeducibilità dei costi da reato, si afferma, coerentemente alla posizione espressa dall’Amministrazione Finanziaria nella Circolare nr.42/E del 2005, che le disposizioni normative de quibus, riferendosi semplicemente a fatti “qualificabili”, anche potenzialmente, come illeciti di rilevanza penale, operano a seguito della trasmissione alla Procura della Repubblica della notitia criminis a carico del contribuente, non essendo necessario che il Pubblico Ministero competente formuli la conseguente ipotesi accusatoria tramite la richiesta di rinvio a giudizio, né che si abbia in merito un provvedimento di condanna. Pertanto, considerato che la norma in analisi consente di riportare a tassazione i costi riconducibili a reati in relazione ai quali sia stata trasmessa al P.M. la notizia di reato ai sensi degli artt. 331 e 347 del c.p.p., l’attività accertativa in analisi può essere scongiurata nel momento in cui il contribuente proceda ad una variazione in aumento del reddito imponibile in relazione a dette componenti negative.

Soffermandosi sui rapporti tra la disposizione di cui all’art.14, comma 4 bis della Legge nr.537/1993 ed il procedimento penale avente ad oggetto gli stessi fatti in relazione ai quali i connessi costi sono stati riportati a tassazione, nel caso in cui non vi sia l’adozione del decreto che dispone il giudizio o qualora, in conseguenza dell’esercizio dell’azione penale, si addivenga ad una sentenza definitiva di proscioglimento o di assoluzione, il competente ufficio dell’Agenzia delle Entrate, su richiesta del contribuente o nell’esercizio dei poteri di autotutela di cui all’art.2 quater della Legge 30.11.1994 nr.656, di conversione del D.L. 30.09.1994 nr.564, e al relativo regolamento di esecuzione adottato con il D.M. 11.02.1997 nr.37, è tenuto a revocare l’atto di accertamento e a garantire il rimborso delle maggiori imposte eventualmente versate dal contribuente, poichè la mancata qualificazione, da parte degli organi giurisdizionali, degli atti, fatti o attività quale reato determina il venir meno dei presupposti normativi per l’indeducibilità dei relativi costi e spese sostenute. Si precisa che, come affermato nella richiamata circolare, l’indeducibilità dei costi riconducibili al reato permane anche durante il periodo di sospensione condizionale dell’esecuzione della pena, disposta dal giudice ai sensi degli articoli 163 e seguenti del c.p.p., e fino all’eventuale estinzione del reato. Il regime di indeducibilità disposto dalla norma in esame, infatti, non rientra tra le pene accessorie indicate dall’art. 19 del codice penale, alle quali ordinariamente si estende la sospensione condizionale.

Tornando ad analizzare la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Ravenna nella parte in cui si ribadisce l’autonomia operativa sussistente tra i commi 4 e 4 bisdell’art.14 della Legge nr.537/1993, si ritiene utile sottolineare che la natura e la ratio sottese alle disposizioni de quibus sono sostanzialmente differenti. Infatti, il comma 4, nel prevedere la tassabilità dei proventi illeciti di qualsiasi genere, è finalizzato a garantire una completa attuazione dei principi costituzionali di solidarietà economica e, quindi, di concorso alle spese pubbliche in ragione della capacità contributiva, poiché la legge prende in considerazione solo la manifestazione economica nella sua obiettività, indipendentemente da ogni riferimento alla natura dell’attività che genera reddito, visto che i caratteri di quest’ultima sono irrilevanti per il diritto ad esigere l’imposta, che sorge per il solo fatto dell’esistenza di un reddito. In altre parole, il Legislatore, attraverso il citato comma 4, ha abbracciato la c.d. teoria economica in ragione della quale la causa dell’obbligazione tributaria consiste essenzialmente nella capacità contributiva e, quindi, nell’attitudine a sostenere delle decurtazioni di ricchezza in relazione alla funzione del singolo prelievo; di conseguenza, anche i soggetti che traggono i loro proventi da attività illecite, che lo Stato non solo non protegge, ma in alcuni casi punisce e riprova, devono pagare i tributi. Infatti, anche se la provenienza di tale reddito non è lecita, essa costituisce comunque una ricchezza e quindi è causa del pagamento di un tributo in ragione del fatto che la capacità economica deve essere intesa quale attitudine a sostenere un prelievo di ricchezza comunque ottenuta. Al contrario, la disposizione di cui al seguente comma 4 bis dell’art.14 della Legge nr.537/1993 è caratterizzata da un intento “indirettamente sanzionatorio” dell’attività illecita con la conseguenza che le relative disposizioni, in aderenza ai principi costituzionali, non possono avere efficace retroattiva ma trovano applicazione solamente per i fatti successivi all’entrata in vigore della relativa norma, introdotta, come ben noto, dall’art.2, comma 8 bis della Legge 27 dicembre 2002, n. 289. Pertanto, deve essere effettuata una differente valutazione delle disposizioni del comma 4 che, come visto in precedenza, affrontano la problematica connessa alla percezione di redditi illeciti sotto l’aspetto meramente economico, con la conseguenza che le relative disposizioni circa la tassabilità hanno una portata retroattiva costituendo interpretazione autentica degli artt. 1 e 6 del TUIR – D.P.R. 22 dicembre 1986 n. 917 e delle norme in essi trasfuse (gli artt. 1 e 6 d.P.R. 29 settembre 1973 n. 597) ed avendo ad oggetto un principio già insito nell’ordinamento tributario. Da ultimo, si ricorda che il comma 34 bis dell’articolo 36 del D.L. nr.223/2006, convertito con la Legge 4 Agosto 2006 nr.248, nel fornire un’interpretazione autentica della disposizione riportata dall’articolo 14, comma 4, della Legge 24 dicembre 1993, n. 537, ha introdotto il principio in ragione del quale i proventi illeciti sono indistintamente riportati a tassazione a prescindere dalla classificabilità degli stessi in una delle categorie reddituali contemplate dal TUIR e, quindi, la ricchezza di origine illegale, nel momento in cui non è classificabile nelle altre categorie di cui all’articolo 6, comma 1 del D.P.R. 22 dicembre 1986 nr.917, è comunque oggetto di obbligazione tributaria in quanto deve essere inquadrata, anche ai fini della relativa determinazione, nella categoria dei redditi diversi di cui agli articoli 67 e seguenti del TUIR. Tale norma, rappresentando un’interpretazione autentica del già analizzato comma 4, ha un’efficacia retroattiva e, quanto sopra, è legittimo in ragione della natura non “afflittiva” o “indirettamente sanzionatoria” delle relative disposizioni.

 

3. Le modifiche apportate dal Decreto semplificazioni del 1° marzo 2012

Il provvedimento in esame, attraverso l’art.8, nel modificare il comma 4 bis dell’art. 14 della Legge n. 537/1993, ha previsto che:

  • nella determinazione dei redditi di cui all’art. 6, comma 1, del testo unico delle imposte sui redditi – D.P.R.n. 917/1986 , non sono ammessi in deduzione i costi e le spese dei beni o delle prestazioni di servizio direttamente utilizzati per il compimento di atti o attività qualificabili come delitto non colposo per il quale il giudice abbia emesso il decreto che dispone il giudizio ai sensi dell’articolo 424 del codice di procedura penale;

  • qualora intervenga una sentenza definitiva di assoluzione compete il rimborso delle maggiori imposte versate in relazione alla non ammissibilità in deduzione di cui sopra e dei relativi interessi.

  • le disposizioni innovative dianzi evidenziate trovano applicazione con effetto retroattivo, in luogo di quanto disposto dal comma 4-bis dell’articolo 14 della legge 24 dicembre 1993, n. 537 previgente, anche per fatti, atti o attività posti in essere prima dell’entrata in vigore del decreto semplificazioni del 1° marzo 2012, ove più favorevoli, tenuto conto anche degli effetti in termini di imposte o maggiori imposte dovute, salvo che i provvedimenti emessi in base al comma 4-bis previgente non si siano resi definitivi.

 

9 marzo 2012

Nicola Monfreda