Estinzione della società: le problematiche fiscali

una panoramica degli aspetti critici, dal punto di vista fiscale, della cancellazione della società dal Registro Imprese: le responsabilità per i debiti tributari e le regole per l’incasso dei crediti tributari

La risoluzione n. 77/E del 27 luglio 2011 emanata dall’Agenzia delle entrate, in ordine agli effetti della cancellazione della società, ci consente di affrontare alcune problematiche che si pongono, alla luce del fenomeno legato alle imprese apri e chiudi e al contrasto alle imprese in perdita sistemica.

 

IMPRESA IN PERDITA SISTEMICA

L’art. 24, del decreto legge 31 maggio 2010, n. 78 convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122titolato “Contrasto al fenomeno delle imprese in perdita «sistemica»”, – entrato invigore il 31 luglio 2010, ha previsto – nell’ambito della programmazione dei controlli fiscali dell’Agenzia delle Entrate e della Guardia di finanza – una vigilanza sistematica basata su specifiche analisi di rischio, sulle imprese che presentano dichiarazioni in perdita fiscale, non determinata da compensi erogati ad amministratori e soci, per più di un periodo d’imposta e non abbiano deliberato e interamente liberato nello stesso periodo uno o più aumenti di capitale a titolo oneroso di importo almeno pari alle perdite fiscali stesse.

In pratica, le disposizioni di prassi dell’agenzia delle Entrate ( cfr. C.M. n. 20/E del 16 aprile 2010 e n. 13/E del 9 aprile 2009), indirizzate al rilevamento di situazioni antieconomiche non giustificate per più anni, vengono tradotte in legge.

Si ricorda che, con circolare n. 4/E del 15 febbraio 2011, l’Agenzia delle Entrate, nel fornire le prime indicazioni sull’operatività della norma, ha precisato che la disposizione si riferisce, nello specifico, alle imprese che si dichiarano in perdita, ai fini delle imposte sui redditi, “per più annualità“ e per le quali il rischio di evasione è manifestato dalle perdite reiterate, che “esulano da ogni logica imprenditoriale e depongono per un posizionamento fuori mercato che, ove persistente, non giustifica la sopravvivenza dell’impresa stessa”.

Il dettato normativo non individua un periodo temporale minimo trascorso il quale la perdita può definirsi “sistemica”; tuttavia, per l’Agenzia delle Entrate, “la perdita fiscale che si protrae per almeno due esercizi consecutivi sarà sufficiente, in assenza di deliberazioni sociali di aumenti di capitale a titolo oneroso, di importo almeno pari alle perdite fiscali stesse, a legittimare l’attività di accertamento da parte degli Organi di controllo”.

 

IMPRESA APRI E CHIUDI

L’impresa “apri e chiudi”Art. 23, D.L.n.78/2010, conv. con modif. in L. n. 122/2010 – è quell’impresa che cessa l’attività entro un anno dalla data di inizio.

Tali imprese sono specificatamente considerate ai fini delle posizioni da sottoporre a controllo da parte dell’Agenzia delle Entrate, della Guardia di finanza e dell’Inps, in modo tale da assicurare una vigilanza sistematica sulle situazioni a specifico rischio di evasione e frode fiscale e contributiva.

In molti casi, infatti, tali imprese nascono con il solo scopo di creare società cartiere, dedite solo ad emettere fatture false, frodi carosello, o altre operazioni di alta ingegneria fiscale, che nulla hanno a che vedere con l’imprenditoria.

Sono ricomprese nell’apri e chiudi tutte le imprese, indipendentemente dalla forma giuridica e dalle modalità di determinazione del reddito.

 

LA R.M. n. 77/2011

La manifestazione del pensiero ufficiale dell’Agenzia delle Entrate – su alcune delle problematiche legate all’estinzione della società, seguito della riforma del diritto societario, intervenuta col D.lgs 17 gennaio 2003, n. 6, che ha modificato l’art. 2456 c.c., trasfuso nell’art. 2495 c.c., secondo cui “Approvato il bilancio finale di liquidazione, iliquidatori devono chiedere la cancellazione della società dal registrodelle imprese. Ferma restando l’estinzione della società, dopo la cancellazione i creditori sociali non soddisfatti possono far valere i loro crediti nei confronti dei soci, fino alla concorrenza delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione, e nei confronti dei liquidatori, se il mancato pagamento è dipeso da colpa di questi. La domanda, se proposta entro un anno dalla cancellazione, può essere notificata presso l’ultima sede della società” – trae spunto da una richiesta di parere avanzata da una propria Direzione regionale.

 

Il quesito

La Direzione regionale istante chiede come debbano essere correttamente effettuati i rimborsi d’imposta a favore di società di persone o di capitali cancellate dal registro del imprese ed, in generale, quali effetti abbia prodotto la nuova disciplina civilistica delle società estinte sull’attività operativa degli uffici dell’Agenzia delle Entrate.

 

La soluzione prospettata

Secondo la Direzione regionale istante, il nuovo testo dell’art. 2495 c.c. impone una riconsiderazione in chiave critica dei pareri espressi dall’Agenzia delle entrate con le risoluzioni n. 68 del 30 marzo 2007 e n. 105 del 21 aprile 2009, circa gli effetti prodotti dalla cancellazione dal registro delle imprese delle società di persone, dovendo riconoscersi a quest’ultima natura costitutiva così come accade per le società di capitali.

Inoltre, riguardo i rimborsi spettanti alle società di capital che vantano crediti di imposta al momento della loro estinzione, la Direzione regionale esprime l’avviso che gli stessi debbano essere erogati agli ex soci della società medesime, ai sensi dell’art. 2495 c.c., secondo prassi tradizionalmente applicata per le società di persone. L’art. 5 del decreto ministeriale del 26 febbraio 1992 che prevedeva la possibilità di liquidare i rimborsi al liquidatore regolarmente legittimato, nella sua qualità di rappresentante legale della società in fase di estinzione non sarebbe, infatti, più applicabile nella fattispecie.

 

Il parere dell’Agenzia delle Entrate

Il parere reso dall’Agenzia delle Entrate prende le mosse dal pensiero sorto e dal contrasto verificatosi – a seguito della modifica dell’art. 2495 c.c., introdotta col citato D.lgs n. 6 del 2003 – in seno alla Corte di Cassazione.

Il primo indirizzo (più datato nel tempo), riteneva che la cancellazione della società dal registro delle imprese, data la sua efficacia meramente dichiarativa, non determinava l’estinzione della società laddove non fossero esauriti tutti i rapporti giuridici ad essa facenti capo, con la conseguente permanenza della capacità processuale della società e della rappresentanza degli organi che la rappresentavano prima della cancellazione (in pratica, occorreva prima estinguere tutti i rapporti in essere). A tale interpretazione si richiamavano le risoluzioni n. 120 del 1 giugno 2007 e 105 del 21 aprile 2009.

Il secondo indirizzo, più recente, vede la Corte di Cassazione su posizione diversa. Infatti, con quattro sentenze a sezioni unite, la Suprema Corte, attribuendo natura costitutiva alla cancellazione della società dal registro delle imprese, ha affermato l’opposto principio della irreversibile estinzione della società anche in presenza di rapporti non definiti. Alla medesima conclusione la Corte di Cassazione è giunta con riferimento alle società di persone, riconoscendo al novellato art. 2495 c.c. “un effettoespansivo”, nonostante, in questo caso, la natura dichiarativa della cancellazione.

Il termine di decorrenza degli effetti della cancellazione è stato individuato nel momento di entrata in vigore della legge (1° gennaio 2004) per le cancellazioni già avvenute in precedenza e nella data di cancellazione dell’iscrizione per le cancellazioni successive all’entrata in vigore della legge. (Cass. SS.UU. 22 febbraio 2010, n 4060; Cass. SS.UU. 22 febbraio 2010, n 4061; Cass. SS. UU. 22 febbraio 2010, n. 4062; Cass. SS.UU. 9 aprile 2010, n. 8426).

Rileva la nota d’Agenzia che, dal punto di vista fiscale si è posto, tra l’altro, il problema della gestione delle sopravvenienze attive che dovessero emergere a seguito dell’estinzione della società, così come quello dell’esecuzione dei rimborsi d’imposta.

 

Sopravvenienze attive

Il profilo relativo alle sopravvenienze attive non è stato né disciplinato dal legislatore (che all’art. 2495 c.c. si occupa soltanto delle sopravvenienze passive), né affrontato dalla Corte di Cassazione, cosicché la dottrina ha tentato di individuare una soluzione:

  • taluni hanno ipotizzato la necessità della nomina di un curatore speciale, deputato al completamento delle attività non ultimate da liquidatore prima della cancellazione;

  • altri, invece, hanno invocato il potere del giudice del registro di “cancellare la cancellazione”, poiché la cancellazione sarebbe stata effettuata in difetto delle condizioni richieste dalla legge;

  • altri ancora sostengono la tesi secondo cui sui beni mobili e immobili non liquidati, una volta cancellata ed estinta la società, si forma una comunione tra gli ex soci per quote uguali a quelle di liquidazione.

 

A tale ultima interpretazione aderisce l’Amministrazione finanziaria, essendo dell’avviso che “gli elementi patrimoniali attivi non compresi nel bilancio di liquidazione in quanto non conoscibili a quella data, devono essere attribuiti proporzionalmente ai soci, tra i quali si instaura un rapporto di comunione ordinaria ai sensi dell’art. 1100 del c.c., simile, in linea generale, a quello degli eredi”.

 

Rimborsi

Con riferimento, invece, ai rimborsi d’imposta, l’art. 5 del D.M. 26 febbraio 1992 stabilisce che il rimborso IVA spettante alla società cancellata dal registro delle imprese può essere eseguito al liquidatore “nella sua qualità di rappresentante legale della società in fase diestinzione”, se il credito di imposta sia stato evidenziato nel bilancio finale di liquidazione, depositato nella cancelleria del tribunale.

Tuttavia, con l’irreversibile estinzione della società viene a mancare il soggetto al quale, ai sensi del citato art. 5, l’ufficio potrebbe eseguire il rimborso, in quanto non può esservi rappresentante legale di un soggetto estinto.

E pertanto, anche con riguardo ai rimborsi l’A.F. ritiene di applicare i principi sopra enunciati per gli elementi patrimoniali attivi, con le conseguenza che, come avviene per le società di persone, può essere riconosciuta direttamente ai soci la titolarità del diritto al rimborso, pro quota, delle imposte.

Circa il soggetto cui materialmente eseguire i rimborsi, viene ricordato che con circolare n. 255/E del 2000, è stato chiarito, in relazione ai soci di società di persone cessate, che il conferimento di una delega ad un solo socio per la riscossione del rimborso non costituisce un obbligo, bensì una mera facoltà. “Tuttavia, tenuto conto della compagine sociale delle società di capitali, spesso costituita da un numero considerevole di soci, si ritiene opportuno il conferimento di una delega alla riscossione ad uno di essi o ad un terzo, al fine di evitare l’erogazione del rimborso a ciascun socio in proporzione alle quote sociali. In questa prospettiva, si è del parere che i soci titolari del diritto al rimborso potrebbero delegare all’incasso lo stesso ex liquidatore, previa comunicazione della predetta delega al competente ufficio dell’Agenzia delle Entrate”.

 

Le responsabilità del liquidatore

Da un punto di vista fiscale, ricordiamo che l’art. 36, del D.P.R. n. 602/73 prevede che “i liquidatori dei soggetti all’imposta sul reddito delle persone giuridiche che non adempiono all’obbligo di pagare, con le attività della liquidazione, le imposte dovute per il periodo della liquidazione medesima e per quelli anteriori rispondono in proprio del pagamento delle imposte se soddisfano crediti di ordine inferiore a quelli tributari o assegnano beni ai soci o associati senza avere prima soddisfatto i crediti tributari. Tale responsabilità è commisurata all’importo dei crediti di imposta che avrebbero trovato capienza in sede di graduazione dei crediti”.

Tale disposizione si applica agli amministratori in carica all’atto dello scioglimento della società o dell’ente se non si sia provveduto alla nomina dei liquidatori.

Il terzo comma del citato articolo 36 del D.P.R. n. 602/73 prevede che i soci o associati, che hanno ricevuto nel corso degli ultimi due periodi di imposta precedenti alla messa in liquidazione danaro o altri beni sociali in assegnazione dagli amministratori o hanno avuto in assegnazione beni sociali dai liquidatori durante il tempo della liquidazione, sono responsabili del pagamento delle imposte dovute dai soggetti di cui al primo comma nei limiti del valore dei beni stessi, salvo le maggiori responsabilità stabilite dal codice civile.

Le responsabilità previste dai commi precedenti sono estese agli amministratori che hanno compiuto nel corso degli ultimi due periodi di imposta precedenti alla messa in liquidazione operazioni di liquidazione ovvero hanno occultato attività sociali anche mediante omissioni nelle scritture contabili.

La responsabilità è accertata dall’ufficio finanziario, con atto motivato, da notificare ai sensi dell’art. 60 del D.P.R. n. 600/73.

Avverso l’atto di accertamento è ammesso ricorso secondo le disposizioni relative al contenzioso tributario di cui al D.Lgs. n. 546/92.

L’Amministrazione finanziaria può esercitare l’azione di responsabilità nei confronti del liquidatore di una società – ai sensi dell’art. 36 del D.P.R. n. 602 del 29 settembre 1973 – nel caso in cui questi abbia esaurito le disponibilità della liquidazione senza provvedere al pagamento del credito tributario, a condizione che: il debito tributario della società sia certo ed esigibile e che vi sia certezza legale che i medesimi crediti non siano stati soddisfatti con le attività della liquidazione medesima1.

Questo principio è ricavabile dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione:

  • ordinanza n. 12149 del 18 maggio 2010 (ud. del 14 aprile 2010), secondo cui “ laresponsabilità D.P.R. n. 602 del 1973, ex art. 36, trova la sua fonte in unaautonoma obbligazione legale, che insorge quando ricorrono gli elementiobiettivi della sussistenza di attività nel patrimonio della società inliquidazione e della distrazione di tali attività a fini diversi dalpagamento delle imposte dovute (Cass. 12546/2001)”;

  • sentenza n. 12546 del 15 ottobre 2001 (ud. del 27 marzo 2001), ove la Corte aveva già avuto modo di affermare la legittimità dell’azione di responsabilità nei confronti del liquidatore, nel caso in cui questi abbia esaurito le disponibilità della liquidazione senza provvedereal loro pagamento, sottoposta però alla duplice condizione che i ruoli incui siano iscritti i tributi della società possano essere posti inriscossione e che sia acquisita legale certezza che i medesimi non sianostati soddisfatti con le attività della liquidazione medesima;

  • sentenza n. 8685 del 17 giugno 2002 (ud. del 14 marzo 2002), che ha riconosciuto all’Amministrazione finanziaria la legittimità dell’azione di responsabilità nei confronti del liquidatore di una società, con riguardo ai crediti per imposta sul reddito delle persone giuridiche i cui presupposti si siano verificati a carico della stessa, ancorché accertati successivamente, nel caso in cui il liquidatore stesso abbia esaurito le disponibilità della liquidazione senza provvedere al pagamento della detta imposta.

 

30 novembre 2011

Roberta De Marchi

1 Cfr.BUETTO, La responsabilità del liquidatore, in www.https://www.commercialistatelematico.com