torniamo sull’annosa questione della motivazione cd. “per relationem”; ecco un caso in cui è stato considerato legittimo l’accertamento basato (e motivato) su una relazione effettuata dalla Guardia di Finanza
Con sentenza n. 22875 del 3 novembre 2011 la Corte di Cassazione ha ritenuto legittimo l’accertamento effettuato dall’ufficio, nei confronti di un lavoratore autonomo, basato sugli assegni emessi in suo favore dal cliente e acquisiti da una relazione della Guardia di Finanza.
La sentenza
Preliminarmente, la Corte, riafferma che “nel regime introdotto dalla L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 7, l’obbligo di motivazione degli atti tributari può essere adempiuto anche per relationem, ovverosia mediante il riferimento ad elementi di fatto risultanti da altri atti o documenti, a condizione che questi ultimi siano allegati all’atto notificato ovvero che lo stesso ne riproduca il contenuto essenziale, per tale dovendosi intendere l’insieme di quelle parti (oggetto, contenuto e destinatari) dell’atto o del documento che risultino necessarie e sufficienti per sostenere il contenuto del provvedimento adottato, e la cui indicazione consente al contribuente – ed al giudice in sede di eventuale sindacato giurisdizionale – di individuare i luoghi specifici dell’atto richiamato nei quali risiedono quelle parti del discorso che formano gli elementi della motivazione del provvedimento. (Cass. n. 1906 del 2008; n. 28058 del 2009)”.
La sentenza di secondo grado, invece, “non ha fatto applicazione di tale principio in quanto, come risulta dal ricorso – dotato sul punto della necessaria autosufficienza per avere riportato testualmente l’avviso di accertamento impugnato ed i relativi allegati – al contribuente sono stati forniti gli elementi conoscitivi con quel grado di determinatezza ed intelligibilità tale da permettere al medesimo un esercizio non difficoltoso del diritto di difesa”.
La Corte, inoltre, ha ritenuto fondato il quarto motivo opposto dall’Agenzia delle Entrate nel ricorso, con il quale viene censurata la sentenza di secondo grado per omessa motivazione circa la legittima utilizzazione della presunzione di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, sulla scorta dei numerosi assegni emessi all’ordine dell’intimato dalla società verificata ed in ordine ai quali la relazione della Guardia di Finanza (allegata all’avviso di accertamento) aveva specificato che l’individuazione del beneficiario era avvenuta attraverso accertamenti bancari, “ in virtù del principio già enucleato dalla Corte (Cass. n. 17574 del 2009; n. 3719 del 1998), secondo cui “ l’astrattezza cartolare, che connota l’assegno bancario, costituisce una qualità di tale titolo di credito, rilevante rispetto alla sua circolazione ed alle eccezioni opponibili dal debitore al portatore, ma non esclude che la dazione di un assegno costituisca, ai fini della prova per presunzioni, un fatto noto, idoneo a rappresentare un trasferimento di ricchezza dall’emittente al prenditore, da cui è consentito desumere, nel giudizio di merito, il fatto ignoto dedotto da una delle parti del processo. Il giudice dell’appello, ad onta di tale principio, non ha assolutamente motivato nè sull’esistenza di tale fatto noto, nè sulle ragioni in base alle quali riteneva di desumere o di non desumere il fatto ignoto contestato dall’ufficio al contribuente attraverso l’avviso d i accertamento poi impugnato”.
Brevi note
Già con ordinanza n. 25211 del 14 dicembre 2010 (ud. del 27 ottobre 2010) la Corte di Cassazione, nel ribadire il principio secondo cui costituisce ius receptum la legittimità della motivazione degli avvisi di accertamento “per relationem”, rinviando al contenuto del processo verbale di constatazione redatto dalla Guardia di Finanza, realizzandosi un’economia di scrittura – avendo l’ente impositore fatto proprie conclusioni e non un difetto di autonoma valutazione -, ha affermato che tale principio trova altresì applicazione laddove il p.v.c. abbia ad attingere da altri atti, anche del procedimento penale. In proposito, osserva la Corte, la motivazione degli atti di accertamento “per relationem“, con rinvio alle conclusioni contenute nel verbale redatto dalla Guardia di Finanza nell’esercizio dei poteri di polizia tributaria, non è illegittima per mancanza di autonoma valutazione da parte dell’ufficio degli elementi da quella acquisiti, significando semplicemente che l’ufficio stesso, condividendone le conclusioni, ha inteso realizzare una economia di scrittura, “che, avuto riguardo alla circostanza che si tratta di elementi già noti al contribuente, non arreca alcun pregiudizio al corretto svolgimento del contraddittorio (v. sul punto tra le altre Cass. n. 10205/ 2003) e che il principio può trovare applicazione anche con riguardo alla asserita mancanza di una rivalutazione autonoma in sede tributaria da parte della G.d.F. degli elementi valutati in sede penale dal consulente del PM: richiamare nel p.v.c. gli elementi già valutati dal consulente e/o le conclusioni della consulenza, o anche riportare le suddette conclusioni eventualmente perfino con una identità di formule espositive non significa che sia mancata una autonoma valutazione in sede tributaria (insita invece proprio nella riferibilità del p.v.c. alla G.d.F. e nell’assunzione delle relative responsabilità), significa invece, salvo espressa prova contraria, che si è autonomamente ritenuto di condividere i risultati raggiunti dalla consulenza citata nonchè il relativo percorso logico sulla valutazione della documentazione”.
Nello specifico, con ordinanza n. 22724 dell’8 novembre 2010 (ud. del 22 settembre 2010) la Corte di Cassazione ha confermato che “l’uso di elementi acquisiti nell’ambito di procedure riguardanti altri soggetti non viola disposizioni che regolano l’accertamento o il principio del contraddittorio, nè il riparto dell’onere probatorio, atteso che il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39 e l’art. 54, comma 2, del citato D.P.R., dispongono che gli Uffici, possono procedere alla rettifica sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti, tratte da atti e documenti in loro possesso, anche quando si tratti di verbali relativi ad ispezioni eseguite nei confronti di altri contribuenti (Cass. nn. 24967/05, 9100/01, nonchè Cass. n. 6311/08, secondo cui l’accertamento induttivo può essere fondato su documentazione reperita presso terzi, e sulle annotazioni elaborate da terzi, purchè tale documentazione sia resa nota al contribuente ed esibita in giudizio; v. anche Cass. n. 24433/08, in motivazione)”.
Sempre la Corte di Cassazione, con sentenza n. 14770 del 5 luglio 2011 (ud. del 7 giugno 2011) ha confermato che il rinvenimento di documenti, elementi, dati e notizie non altrimenti riconducibili alle scritture contabili formalmente tenute costituisce indizio suscettibile di fondare la presunzione di maggiori redditi non dichiarati, autorizzando l’Amministrazione finanziaria alla rettifica induttiva. Nel caso specifico vale il principio secondo cui “il rinvenimento di una contabilità informale, tenuta su un brogliaccio (ma anche di agende-calendario, block notes, matrici di assegni, estratti di conti correnti bancari), costituisce indizio grave, preciso e concordante dell’esistenza di imponibili non riportati nella contabilità ufficiale, che legittima l’Amministrazione finanziaria a procedere ad accertamento induttivo, ai sensi dell’art. 54 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633” (Cass. n. 6949/2006).
E con altri recenti interventi, la Cassazione ha avuto nuovamente modo di far sentire la sua voce su tale particolare aspetto.
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Cass. sent. n. 6311 del 5 dicembre 2007, dep. il 10 marzo 2008, dove i giudici supremi dopo aver ribadito che è “pacifico nella giurisprudenza di questa Corte che la inattendibilità della contabilità aziendale e quindi l’accertamento induttivo possono essere fondati su documentazione reperita presso terzi, e sulle annotazioni elaborati da terzi. Purché simile documentazione sia resa nota al contribuente ed esibita in giudizio”, ha cassato con rinvio la sentenza impugnata ed ha inviato il giudice di rinvio ad attenersi al seguente principio di diritto: “la Amministrazione Finanziaria può procedere ad accertamento induttivo utilizzando documentazione reperita presso terzi e da costoro elaborata, purché fornisca la prova anche attraverso presunzioni della veridicità di tale documentazione e conseguentemente della inattendibilità della documentazione elaborata dal contribuente“.
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Cass. sent. n. 8255 del 31 gennaio 2008, dep. il 31 marzo 2008, secondo cui “l’uso di elementi acquisiti nell’ambito di procedure riguardanti altri soggetti non viola disposizioni che regolano l’accertamento o il principio del contraddittorio, atteso che il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 63, comma 1, dispone espressamente che, nell’ambito dei doveri di cooperazione con gli uffici, la Guardia di Finanza trasmette agli uffici stessi tutte le notizie acquisite, anche indirettamente, nell’esercizio dei poteri di polizia giudiziaria e che l’art. 54, comma 2, citato D.P.R. dispone che gli uffici, a loro volta, possono procedere alla rettifica sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti, tratte da atti e documenti in loro possesso, anche quando si tratti di verbali relativi ad ispezioni eseguite nei confronti di altri contribuenti (Cass. Sez. Trib. 5-7-2001, n. 9100)”. Infatti, “la giurisprudenza di questa Corte ha precisato che è utilizzabile ai fini dell’accertamento di operazioni non contabilizzate nella contabilità ufficiale qualsiasi forma di documentazione che sia astrattamente idonea ad evidenziarne l’esistenza, purchè legittimamente rinvenuta nel corso di verifiche fiscali, in quanto detta documentazione, pur in assenza di irregolarità contabili ed inadempimenti di obblighi di legge, non può essere ritenuta dal giudice di per sè probatoriamente irrilevante, integrando essa elemento probatorio, ancorchè presuntivo, utilmente valutabile in sede di accertamento IVA, indipendentemente dal contestuale riscontro di tali irregolarità ed inadempimenti (Cass. Sez. Trib., 8-9-2006, n. 19329)1”.
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Cass. sent. n. 13487 dell’11 giugno 2009 (ud. del 17 aprile 2009), ove la Corte ha riconosciuto all’Amministrazione finanziaria ha facoltà di utilizzare documenti extra-contabili rinvenuti nello svolgimento dell’attività di verifica fiscale effettuata presso terzi al fine di rettificare la dichiarazione delcontribuente, il quale non può dolersi della motivazione per relationem alp.v.c. di tale verifica allorquando vi sia stata notifica unitamenteall’atto impositivo con indicazione della documentazione verificabile neipresidi della Guardia di Finanza. Parimenti, la violazione delle regoledell’accertamento tributario non comporta come conseguenza necessaria l‘inutilizzabilità degli elementi acquisiti, in mancanza di una specificaprevisione in tal senso2.
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Cass. sent. n. 14017 del 17 giugno 2009 (ud. dell’8 aprile 2009), ove per la Corte non assume rilievo, “ai fini della correttezza della statuizione impugnata, il principio secondo cui gli Uffici possono procedere alla rettifica sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti, tratte da atti e documenti in loro possesso, anche quando si tratti di verbali relativi ad ispezioni eseguite nei confronti di altri contribuenti (Cass. 24967/05, 9100/2001, 8344/2001), in quanto il giudice di appello si è pronunziato non già sull’astratta inidoneità dei documenti extracontabili a fondare la rettifica, bensì sulla concreta inidoneità delle risultanze degli stessi a rappresentare presunzioni gravi precise e concordanti”. Resta riservato all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito sia il ricorso alle presunzioni, “sia la valutazione della ricorrenza dei requisiti di precisione, gravità e concordanza richiesti dalla legge per valorizzare elementi di fatto come fonti di presunzione”.
29 novembre 2011
Gianfranco Antico