L'aumento dell'IVA può spostare i consumi fuori dall'Italia?

Dopo l’aumento dell’aliquota IVA italiana, i soggetti che non detraggono l’IVA potrebbero considerare vantaggioso cancellarsi dall’archivio V.I.E.S.?

 

Aumento dell’IVA: quali conseguenze?

L’aumento dell’aliquota Iva, inserita tra gli emendamenti alla Manovra di Ferragosto, potrebbe incentivare gli acquisti fuori dal nostro Paese, favorendo le operazioni presso operatori operanti in Paesi della Ue con aliquota inferiore.

La problematica – che svanirà solo allor(quando?) si realizzerà l’armonizzazione delle aliquote tra i Paesi membri – non è nuova per gli acquisti effettuati dai soggetti non passivi d’imposta (come i privati consumatori).

Ma potrebbe rivelarsi nuova per i soggetti Iva, specie grandi contribuenti che non possono detrarre l’Iva (es. banche e assicurazioni), almeno stando ai chiarimenti forniti dalla circolare 1 agosto 2011, n. 39/E.

 

La prassi dell’Agenzia Entrate

Nel chiarire gli effetti della mancata iscrizione al VIES, presupposto necessario – secondo le Entrate – per l’effettuazione delle operazioni (acquisto e cessione di beni e servizi) intracomunitarie a norma dell’art. 27, decreto legge 78/2010, si afferma che la mancata autorizzazione (a motivo del periodo di sospensione di 30 giorni ma anche della mancata richiesta di iscrizione) comporta il divieto di effettuare acquisti e/o cessioni intracomunitarie di beni e di servizi.

Per usare le parole della circolare 39/E l’operatore

“non può essere considerato come soggetto passivo IVA italiano ai fini dell’effettuazione di operazioni intracomunitarie”

e, dunque, viene meno la “possibilità di effettuare operazioni intracomunitarie e di applicare il regime fiscale loro proprio” (tassazione nel Paese di destino).

Pertanto, eventuali operazioni intracomunitarie effettuate nei predetti 30 giorni, così come dopo il diniego o la revoca, non sono da considerare comprese nel regime fiscale degli scambi intracomunitari (D.L. 331/1993), ma in quello ordinario degli scambi interni (D.P.R. 633/1972):

  • le cessioni di beni/servizi intra-UE effettuate da un operatore italiano non incluso nell’archivio VIES vanno assoggettate ad IVA. In caso di erroneo trattamento delle stesse quali operazioni intra-UE (non imponibili) si rende applicabile la sanzione ex art. 6, D.Lgs. n. 471/1997 (dal 100% al 200% dell’imposta);
  • gli acquisti di beni/servizi intra-UE effettuati da operatori UE sono assoggettati ad IVA nello Stato del cedente / prestatore.

 

Da quanto sopra sembra di poter concludere che l’eventuale acquisto effettuato presso un operatore UE con assoggettamento ad IVA da parte di quest’ultimo non rilevi ai fini dell’imposta in Italia, avendo già scontato l’imposta nel Paese di origine.

Questa circostanza potrebbe essere vista positivamente da quei soggetti che solo occasionalmente e per modesti importi effettuano acquisti intracomunitari: assolvendo l’imposta applicata dallo Stato di origine non devono assolvere gli obblighi di autofatturazione e di presentazione degli elenchi Intrastat.

 

Una diversa chiave di lettura

Noi riteniamo che le conseguenze della mancata iscrizione nell’archivio informatico portino a conseguenze meno dirompenti: ferma restando la natura intracomunitaria dell’operazione (attiva o passiva), la violazione verrebbe sanzionata per l’omissione della comunicazione ai sensi dell’art. 11, D.Lgs. 471/1997 (sanzione amministrativa da 258 a 2.065 euro).

Ciò in quanto lo status di soggetto passivo d’imposta prescinde dall’inserimento nell’archivio Vies e, inoltre, per il fatto che le regole di territorialità Iva per scambi di beni e servizi, necessarie per individuare lo Stato in cui è dovuta l’imposta, sono norme inderogabili, fatta salva l’ipotesi di frode, nel qual caso è possibile negare il regime di non imponibilità nel Paese di origine, superando in tal modo i principi di territorialità e di divieto di duplicazione (Corte di Giustizia Ue, sent. 7.12.2010, causa C-285/09).

A questa sanzione diretta si aggiungerebbe quella indiretta rappresentata, nel caso di acquisti, dall’imposta estera pagata (giustificata dal fatto che il fornitore non ha trovato conferma di validità del numero identificativo nel sistema Vies), senza possibilità di ottenere il rimborso dallo Stato estero, in quanto tale diritto è previsto solo per le operazioni territorialmente rilevanti in quello Stato (Corte di Giustizia Ue, 15.3.2007, causa C-35/05); e tali non sono perché il cessionario/committente, ancorché non iscritto nell’archivio Vies resta pur sempre un soggetto passivo Iva (requisito necessario per poter presentare istanza di rimborso).

Di recente, la Corte di Giustizia Ue ha chiarito che nel regime degli scambi intracomunitari l’imposta è dovuta nello Stato di destinazione, il quale ha diritto di pretendere l’imposta ancorché erroneamente assolta nel Paese di origine.

Secondo la Corte di Giustizia Ue, 18.11.2010, causa C-84/09, punto 38, ai sensi dell’art. 21, par. 1, Reg. Ce, 17.10.2005, n. 1777/2005 “lo Stato membro di arrivo della spedizione o del trasporto dei beni nel quale è stato effettuato un acquisto intracomunitario esercita la propria facoltà impositiva indipendentemente dal trattamento Iva applicato all’operazione nello Stato membro di partenza”; lo stesso vale per le sanzioni (art. 6, co. 7, D.Lgs. 18.12.1997, n. 471).

Quindi, resterebbe fermo anche l’obbligo di assolvere l’imposta italiano con il sistema del reverse charge proprio per il fatto che lo status di soggetto passivo non viene meno: diversamente opinando i soggetti che non possono detrarre l’Iva (es. banche, assicurazioni) avrebbero tutto l’interesse a farsi cancellare dal sistema Vies per effettuare acquisti da Paesi in cui l’imposta ivi assolta risulta più bassa rispetto a quella italiana.

 

 

 

26 settembre 2011

Claudio Sabbatini e Giocchino Pantoni