Redditometro legittimo con la Ferrari

qualora il contribuente non riesca a dimostrare che le spese afferenti il mantenimento di un’auto di lusso derivano da redditi esenti o già assoggettati ad imposizione, l’Ufficio può legittimamente rettificare la dichiarazione di questi attraverso l’applicazione del redditometro

La pronuncia trae origine da due avvisi di accertamento che l’Agenzia delle Entrate aveva notificato ad un pasticcere e con i quali aveva determinato sinteticamente il suo reddito per gli anni d’imposta 2005 e 2006, ai sensi dell’articolo 38, comma 4, del TUIR (nella formulazione previgente al D.L. 78/2010, che ha riformato l’istituto), in base al quale “L’ufficio, indipendentemente dalle disposizioni recate dai commi precedenti e dall’articolo 39, può, in base ad elementi e circostanze di fatto certi, determinare sinteticamente il reddito complessivo netto del contribuente in relazione al contenuto induttivo di tali elementi e circostanze quando il reddito complessivo netto accertabile si discosta per almeno un quarto da quello dichiarato”.

In particolare, l’Ufficio aveva rettificato, aumentandolo di molte decine di migliaia di euro, il reddito dichiarato dal pasticcere nei due anni controllati, pari rispettivamente a 4.000 e 6.000 euro.

A tal fine, l’Amministrazione Finanziaria aveva considerato il possesso di una Ferrari e, sulla base di tale bene indice, aveva determinato il reddito accertabile tramite l’applicazione dei coefficienti ministeriali previsti per tali periodi d’imposta.

Il contribuente proponeva ricorso, eccependo genericamente il difetto di motivazione, adducendo un presunto errore di ricostruzione del reddito accertato ed, infine, dichiarando di aver acquistato l’auto con l’accensione di finanziamenti.

L’Ufficio accertatore, invece, ribadiva che ciò che rileva ai fini del redditometro era l’effettiva disponibilità del bene, che, nel caso di specie, nonostante la formale intestazione alla pasticceria di cui era socio il contribuente, appariva evidente, atteso che, di fatto, l’auto veniva utilizzata soltanto dal soggetto accertato, non era inerente all’attività d’impresa né dal suo possesso potevano conseguirsi ricavi aziendali e, peraltro, i relativi costi non erano stati contabilizzati; inoltre, tale auto di lusso era l’unico veicolo posseduto del contribuente ed i redditi societari non sarebbero comunque stati sufficienti a pagare i canoni annui di leasing relativi al contratto con il quale era stata acquistata.

La Commissione tributaria non ha creduto, però, alla tesi difensiva, osservando che l’accertamento redditometrico si fondava sulle spese per il mantenimento dell’auto di lusso e non su quelle di acquisto (per cui si sarebbe utilizzata la diversa fattispecie dell’accertamento sintetico da “incrementi patrimoniali”).

I giudici provinciali osservavano, poi, che il ricorrente non aveva fornito le prove che i costi sostenuti per l’utilizzo dell’auto provenivano da redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte. Infine, la Commissione tributaria provinciale sottolineava che era onere del contribuente provare l’infondatezza dell’avviso di accertamento basato sul redditometro, non essendo a tal fine sufficiente allegare argomentazioni apodittiche o muovendo critiche generiche nei confronti della metodologia accertativa utilizzata.

I giudici, pertanto, rigettavano il ricorso.

La sentenza appare allineata alla costante giurisprudenza di legittimità per cui il solo possesso di un bene indice di capacità contributiva legittima l’accertamento redditometrico, rimando a carico del contribuente l’onere di dimostrare che il maggior reddito presunto non esiste o è sussistente in misura inferiore (Cass. 12187/2009, 16284/2007,19252/2005).

In particolare, con le più recenti pronunce, la Cassazione ha stabilito che:

  • il D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 38, comma 4, prevede (al primo periodo) che gli uffici finanziari, in base ad elementi e circostanze di fatto certi, possano “determinare sinteticamente il reddito complessivo netto del contribuente in relazione al contenuto induttivo di tali elementi e circostanze quando il reddito complessivo netto accertabile si discosta per almeno un quarto da quello dichiarato (Cass. 1909/2007);

  • costituiscono – ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 2, (nel testo originariamente vigente) “elementi indicativi di capacità contributiva”, tra gli altri, specificamente la “disponibilità in Italia o all’estero” di “autoveicoli”, nonché di “residenze principali o secondarie”. La disponibilità di tali beni, come degli altri previsti dalla norma, costituisce, quindi, una presunzione di “capacità contributiva” da qualificare “legale” ai sensi dell’art. 2728 c.c., perché è la stessa legge che impone di ritenere conseguente al fatto (certo) di tale disponibilità la esistenza di una “capacità contributiva” (Cass. 16284/2007);

  • pertanto, il giudice tributario, una volta accertata l’effettività fattuale degli specifici “elementi indicatori di capacità contributiva” esposti dall’Ufficio, non ha il potere di togliere a tali “elementi” la capacità presuntiva “contributiva” che il legislatore ha connesso alla loro disponibilità, ma può soltanto valutare la prova che il contribuente offra in ordine alla provenienza non reddituale (e, quindi, non imponibile o perché già sottoposta ad imposta o perché esente) delle somme necessarie per mantenere il possesso dei beni indicati dalla norma” (da ultimo, Cass. 2726/2011);

  • la suddetta presunzione semplice genera peraltro l’inversione dell’onere della prova, trasferendo al contribuente l’impegno di dimostrare che il dato di fatto sul quale essa si fonda non corrisponde alla realtà (Cass. n. 14778/2000).

6 maggio 2011

Alessandro Borgoglio