La distrazione delle spese a favore del difensore – con 3 fac-simili

L’omessa pronunzia sull’istanza di distrazione delle spese processuali del difensore rende ammissibile il procedimento di correzione materiale della sentenza?

distrazione spese processuali a favore del difensoreIn caso di omessa pronuncia sull’istanza di distrazione delle spese proposta dal difensore è ammissibile – anche valorizzando il disposto del secondo comma dell’art. 93 c.p.c. – il procedimento di correzione degli errori materiali, poiché la suddetta omissione si configura, ordinariamente, come il frutto di una mera svista o dimenticanza in relazione all’adozione di un provvedimento sul quale il giudice non può, di norma, esercitare alcun sindacato.

Tale interessante statuizione è stata precisata dalla Corte di Cassazione sezioni unite con la sentenza n. 16037 del 07/07/2010, risolvendo un contrasto di giurisprudenza sul rimedio esperibile avverso la pronuncia che abbia omesso di pronunciare sull’istanza di distrazione delle spese avanzata dal difensore.

La fattispecie analizzata dai giudici di legittimità riguardava una avvocato che aveva proposto in proprio ricorso contro il decreto con cui la Corte d’appello condannava la Presidenza del Consiglio al pagamento dell’indennizzo per ingiusta durata del processo in favore del proprio cliente, omettendo di pronunciarsi sull’istanza di distrazione avanzata dal legale per le spese dell’attività processuale anticipate e mai riscosse.

sentenza corte di cassazioneI giudici di Cassazione hanno spiegato che in caso di omessa pronuncia sull’istanza di distrazione delle spese proposta dal difensore è ammissibile il procedimento di correzione degli errori materiali, poiché la suddetta omissione si configura, ordinariamente, come il frutto di una mera svista o dimenticanza in relazione all’adozione di un provvedimento sul quale il giudice non può, di norma, esercitare alcun sindacato. E’ ora possibile ricorrere al procedimento di correzione in caso di omessa pronuncia del giudice sulla distrazione delle spese.

Le Sezioni unite superano il precedente orientamento prevalente che costringeva i difensori nei cui confronti era stata omessa la pronuncia sulla distrazione a loro vantaggio delle spese processuali a dover proporre l’impugnazione ordinaria per il riconoscimento di questo loro diritto.

Per giungere a tale conclusione, le Sezioni unite hanno spiegato che la suddetta mancanza del giudice deve, in effetti, ricondursi ad una mera omissione materiale (e, quindi, in sostanza, ad una semplice svista o dimenticanza) e non ad un errore di giudizio, ragion per cui essa deve considerarsi assoggettabile al procedimento di correzione.

Del resto, a prescindere dal dato che nel primo comma dell’art. 93 c.p.c. non è previsto alcun rimedio impugnatorio specifico circa la menzionata omessa pronuncia, la soluzione a cui sono pervenute le Sezioni unite è supportata dall’argomento secondo cui se il venir meno del presupposto della pronuncia di distrazione dopo la stessa emissione della sentenza giustifica, ai sensi del secondo comma del citato art. 93, la revoca del provvedimento mediante il procedimento di correzione (nel caso di avvenuto pagamento delle spese e dei compensi ad opera della parte), non si scorgono elementi interpretativi contrari all’ammissibilità di tale procedimento anche qualora la mancata distrazione sia stata determinata da una svista del giudice, essendo, anzi, la suddetta norma orientata a consentire con forme snelle e semplici l’emenda della pronuncia in ordine alla distrazione.

Oltretutto, la soluzione accolta si pone in sintonia anche con l’argomentazione in base alla quale il giudice, quando deve disporre la distrazione delle spese in favore del procuratore anticipante che ne abbia fatto richiesta, non deve compiere alcun sindacato, trattandosi, in effetti, di un provvedimento dovuto. Infine, il principio affermato dalle Sezioni unite consente di correggere anche le pronunce della stessa Cassazione quando siano incorse in tale omissione materiale, attraverso il ricorso al procedimento disciplinato dall’art. 391 bis c.p.c.. L’iter logico giuridico adottato da tale pronuncia ha evidenziato i seguenti capisaldi :

1. L’istituto della distrazione delle spese in favore del difensore trova il suo referente normativo nell’art. 93 c.p.c., il quale dispone che questi è legittimato a chiedere che il giudice, nella stessa sentenza in cui condanna alle spese la controparte, distragga in suo favore (e degli altri difensori che lo abbiano eventualmente affiancato) gli onorari non riscossi e le spese che dichiara di avere anticipato al proprio cliente.

Nessuna indicazione, tuttavia, è fornita sul rimedio di tutela processuale azionabile nel caso di omessa pronuncia sull’istanza (ovvero di rigetto di essa); per cui un primo orientamento di questa Corte,in passato maggioritario, vi ha ravvisato il tipico vizio ricavabile dalla formula dell’art. 112 c.p.c., che gli impone di provvedere “su tutta la domanda“,e che deve essere denunciato dal difensore interessato (allorchè trattasi di sentenza di appello) con l’ordinario rimedio del ricorso per cassazione.

Ciò perchè l’accoglimento dell’istanza non è automatico, ma richiede di accertare la sussistenza del requisito dell’anticipazione da parte del difensore; e perchè il rimedio è apparso coerente con la finalità dell’eccezione introdotta dalla norma alla regola generale secondo la quale il compenso al difensore è dovuto solo dal suo rappresentato o assistito salvo (se vittorioso) il diritto di quest’ultimo al rimborso nei confronti della parte soccombente; e si giustifica con l’opportunità di prevedere un sistema di maggiore garanzia in favore del difensore ai fini del conseguimento del suo compenso direttamente dalla parte soccombente (senza, quindi, la necessità di dover compulsare il proprio cliente).

La quale conferisce, appunto, allo stesso difensore, cui è riconosciuta la distrazione, la titolarità di una posizione giuridica soggettiva, autonoma e distinta da quella del suo assistito, ancorchè limitatamente a questo aspetto.

Anche la dottrina meno recente ha aderito alla costruzione che il procuratore, fa valere con l’istanza di distrazione un diritto soggettivo autonomo, ancorchè indissolubilmente legato alla sentenza che contiene la condanna alle spese nei confronti della controparte:perciò acquisendo la qualità di parte in senso proprio,che legittima la proposizione delle impugnazioni ordinarie, anche se la stessa non può investire sotto alcun profilo i rapporti tra le parti, ma resta

rigorosamente limitata all’ambito del suo interesse giuridicamente riconosciuto alle spese processuali, nè da tale ambito può sconfinare in nessun caso“.

 

cassazione reato indebita compensazione2. Più recenti pronunce, ormai numerose, hanno invece ritenuto doveroso ricercare nell’ordinamento strumenti di garanzia della situazione giuridica fatta valere, alternativi e meno dispendiosi del ricorso al giudice di legittimità (Cass. 11965 e 13982/2009; 14831/2010): ravvisandoli nel procedimento di correzione degli errori materiali di cui agli artt. 287 e 288 c.p.c., giustificato della necessità di porre rimedio ad un errore solo formale, estraneo alla decisione, in quanto determinato da una divergenza evidentemente e facilmente individuabile, che lascia immutata la conclusione adottata.

Al nuovo indirizzo hanno aderito qualificati studiosi ora richiamando la disposizione dello stesso art. 93, c. 2, che espressamente lo prevede nell’ipotesi di revoca dell’istanza richiesta dalla parte che dimostri di aver soddisfatto il credito del difensore, ora evidenziando l’autonomia e l’estraneità del provvedimento sulla distrazione rispetto alla pronuncia sul merito, e perciò escludendo l’estensione al primo dei mezzi di reazione processuale che la legge riconosce contro l’altra.

3. Non sono mancate, infine, pronunce che hanno ritenuto ammissibile il cumulo dei due rimedi (Cass. 7692/2009), ovvero opinioni dottrinali che hanno attribuito al difensore istante,non parte del processo, il rimedio dell’opposizione di terzo o ne hanno equiparato la posizione all’interventore volontario.

4. Le Sezioni Unite ritengono di comporre il contrasto in favore del secondo più recente orientamento, il quale:

  • è il più idoneo a salvaguardare l’effettività del principio di garanzia della durata ragionevole del processo (come previsto dall’art. 111 Cost., c. 2), che secondo la giurisprudenza di legittimità (Cass. Sez. un. 26373/2008) impone al giudice (anche nell’interpretazione dei rimedi processuali) di evitare comportamenti che siano di ostacolo ad una sollecita definizione dello stesso, traducendosi, per converso, in un inutile dispendio di attività processuali non giustificate, in particolare, nè dal rispetto effettivo del principio del contraddittorio (art. 101 c.p.c.), nè da effettive garanzie di difesa (art. 24 Cost.);
  • garantisce con maggiore celerità il soddisfacimento dello scopo di far ottenere al difensore distrattario un titolo esecutivo immediato per agire nei riguardi della controparte soccombente : lasciando salvo il diritto di quest’ultimo all’esercizio degli ordinari rimedi impugnatori che, ai sensi dello stesso art. 288, comma 4, possono essere, comunque, proposti relativamente alle parti corrette delle sentenze;
  • può trovare applicazione ai sensi dell’art. 391 bis c.p.c., anche con riguardo alle sentenze rese dalla Corte di Cassazione, incorse in identica omissione,e tuttavia non impugnabili.

5. Per converso, il diritto alla proposizione dell’impugnazione ordinaria in capo al difensore che non ha ricevuto alcuna risposta all’istanza di distrazione,non può desumersi nè dall’art. 93 c.p.c., nè da altra norma positiva: anche perchè l’istanza non comporta l’instaurazione di alcun contraddittorio sostanziale con la controparte che, anche se soccombente, non è legittimata ad impugnare il provvedimento di distrazione.

E perchè, d’altra parte, il vizio di omessa pronuncia implicante violazione dell’art. 112 c.p.c., si configura ai fini della proposizione dell’impugnazione ordinaria, qualora il giudice del merito abbia, nella valutazione motivazionale delle pretese avanzate in giudizio dalle parti, mancato di provvedere in tutto o in parte su una o più domande legittimamente da esse formulate, attinenti all’oggetto del contendere dedotto ai fini del soddisfacimento della tutela sostanziale azionata nel processo.

E’ al riguardo significativo,se non determinante, che lo stesso legislatore nella menzionata disposizione dell’art. 93 c.p.c., comma 2, abbia indicato nel procedimento di correzione degli errori materiali (piuttosto che nell’impugnazione ordinaria) il rimedio con cui la parte può ottenere la revoca del provvedimento di distrazione nell’ipotesi di cui si è detto avanti:pur comportando la stessa una notevole estensione del campo di applicazione dell’istituto della correzione, testualmente limitato dall’art. 287 c.p.c., alle ipotesi in cui il giudice

sia incorso in omissioni o in errori materiali o di calcolo“.

E pur richiedendo da parte del giudice della correzione un controllo assai più complesso (sull’avvenuto soddisfacimento “del credito del difensore per gli onorari e le spese“), di quello devolutogli in caso di omessa pronuncia sull’istanza di distrazione, in cui deve limitarsi ad accertare se sussista o meno la dichiarazione di avere anticipato le spese e non riscosso onorario: senza alcun potere di apprezzamento neppure sulla corrispondenza al vero della stessa.

Per cui, anche sotto il profilo sistematico, risulta evidente il miglior coordinamento con il disposto dell’art. 93 c.p.c., c. 2, del rimedio della correzione rispetto alla facoltà del difensore di avvalersi dei mezzi di impugnazione ordinaria onde consentirgli di rinnovare una mera istanza,rivolta ad ottenere un provvedimento autonomo rispetto alla pronuncia sul merito:per giustificare la quale è peraltro necessario estendere a costui la qualifica di parte (sopravvenuta e condizionata alla dimenticanza del giudice),esclusivamente per la necessità di legittimare detto rimedio processuale posto che il difensore medesimo esaurisce ogni attività con la presentazione dell’istanza; e capovolgere la regola generale per la quale,invece, sono legittimati a proporre mezzi di gravame soltanto coloro che hanno già la veste di parte a seguito di domanda formulata nel processo, nei casi in cui tale domanda non venga accolta (o su di essa venga omesso di provvedere).

6. Sul piano della ricostruzione della vicenda in termini processuali non è, poi, sostenibile che la richiesta di distrazione possa essere qualificata come domanda autonoma, suscettibile di dar vita ad un capo della decisione in senso tecnico: attesa la sua funzione di istanza incidentale non giustificata dalla soccombenza sostanziale, e collegata ad una sorta di favor per il difensore da parte dell’ordinamento processuale, nonchè occasionata dal processo pendente tra le parti principali al cui esito resta peraltro condizionata.

La stessa non presenta alcuno dei caratteri della domanda giudiziale in senso proprio; sfugge alla relativa disciplina posto che come tale può essere formulata anche oralmente all’udienza di discussione della causa, nonchè in qualunque altro momento, pur in sede di precisazione delle conclusioni o, addirittura, nella comparsa conclusionale.

E la sua proposizione – consentita soltanto per conseguire la finalità posta direttamente dall’art. 93 c.p.c., – si sottrae perfino all’applicazione del regime processuale di tipo preclusivo (e, quindi, decadenziale), peculiare di ogni altro intervento giudiziale.

Proprio in forza di queste caratteristiche il distrattario non è gravato dall’onere della prova relativa alle dichiarazioni operate e la sua dichiarazione di anticipazione è da ritenersi vincolante per il giudice (al quale non spetta alcun margine di sindacato su di essa); nè può dar luogo, in sede di condanna alle spese, ad alcuna contestazione sul punto, sia da parte del cliente, che dell’avversario, trattandosi di un privilegio, la cui giustificazione e la cui tutela vengono rinvenute dall’ordinamento nella funzione alla quale il difensore assolve.

E, d’altra parte, il provvedimento che dispone la distrazione deve considerarsi, piuttosto che una statuizione della sentenza in senso stretto, un autonomo provvedimento formalmente cumulato con questa, esclusivamente inerente al rapporto che intercorre tra il difensore ed il suo cliente vittorioso: comportante la sostituzione del primo al secondo nel diritto di credito al pagamento delle spese processuali e dei compensi professionali nei confronti della controparte soccombente che gli deriva dalla già pronunciata condanna di quest’ultima.

Per cui, se nell’ambito del rapporto suddetto,il cliente nell’eventualità del sopravvenuto soddisfacimento delle spese assunte come anticipate e degli onorari attestati come non riscossi dal suo patrono, non può proporre l’impugnazione ordinaria ed ha la possibilità di tutelarsi – come già evidenziato – mediante il ricorso al procedimento di revoca disciplinato dallo stesso art. 93 c.p.c., c. 2, ricondotto dalla stessa norma nel solco della procedura di correzione, è coerente con questo quadro normativo che anche la mera omissione del provvedimento di distrazione,assolutamente vincolato ed a priori sottratto a qualsiasi forma di valutazione, sia egualmente emendabile con il medesimo rimedio “impugnatorio” specifico della correzione della sentenza ai sensi dell’art. 287 c.p.c. e segg..

L’indirizzo non condiviso ha richiamato sistematicamente il tenore letterale dell’art. 287 c.c., e la sua interpretazione tradizionale,in forza della quale il procedimento di correzione è invocabile quando sia necessario ovviare ad un difetto di corrispondenza tra l’ideazione del giudice e la sua materiale rappresentazione grafica, chiaramente rilevabile dal testo stesso del provvedimento mediante il semplice confronto della parte del documento che ne è inficiata con le considerazioni contenute in motivazione, cagionato da mera svista o disattenzione nella redazione del provvedimento e, come tale, percepibile “ictu oculi“, senza che possa incidere sul contenuto concettuale e sostanziale della decisione: deve trattarsi, insomma, di un tipo di errore che esula sia da tutto ciò che attiene al processo formativo della volontà, sia da ciò che investe il processo di manifestazione; sicchè rimane spazio solo per quanto è casuale ed involontario o per quanto si riferisce ad elementi che a priori sono sottratti a qualunque forma di valutazione.

Ma qualificata dottrina ha da tempo ampliato questa categoria, dapprima con riguardo all’omissione, facendo leva soprattutto sul carattere “necessitato” dell’elemento mancante e da inserire, ed ammettendo la correzione integrativa dell’atto anche per le statuizioni che, pur non risultando con certezza volute dal giudice, dovevano essere da lui emesse, senza margine di discrezionalità, in forza di un obbligo normativo; per poi estenderla a qualsiasi errore, anche non omissivo che derivi dalla necessità di introdurre nel provvedimento una statuizione obbligatoria consequenziale a contenuto predeterminato, ovvero una statuizione obbligatoria di carattere accessorio, anche se a contenuto discrezionale.

Per cui, le Sezioni Unite penali (sent. 15/2000) in punto di erronea condanna (di minore) al pagamento delle spese processuali hanno affermato che in tal caso la correzione incide non sul contenuto intrinseco della pronuncia relativa al thema decidendum, ma semplicemente su una pronuncia consequenziale ed accessoria alla prima e non implicante alcuna discrezione valutativa da parte del giudice;ed assume la funzione di emendare il testo della sentenza, rendendolo conforme al dettato normativo con l’unico mezzo previsto dall’ordinamento, per tutti i casi in cui possa ritenersi che il Collegio sia incorso in errore e non abbia, invece, ritenuto di aderire, per scelta positiva, ad uno specifico orientamento giurisprudenziale giustificativo della decisione sulle spese.

Hanno concluso che, pur con siffatto ampliamento la correzione dell’errore materiale non si pone come (inammissibile) rimedio ad un vizio della volontà del giudice o ad un suo errore di giudizio, ma è soltanto lo strumento per eliminare la disarmonia tra la manifestazione esteriore costituita dal documento – sentenza e quanto poteva e doveva essere statuito ex lege: senza che si venga ad incidere, modificandolo, nè sul processo volitivo o valutativo del giudice nè sulla sua decisione di interpretazione che, anche se errata, sia stata posta a fondamento della pronuncia finale sul thema decidendum.

Successivamente (sent. 7945/2008) hanno introdotto una variante qualitativa con riferimento a casi di errore omissivo – quale quello di mancata liquidazione delle spese processuali – dichiarando esperibile la procedura correttiva a fronte della divergenza tra l’espressione usata dal giudice e quanto egli, pur nell’assenza di dirette risultanze della sua volontà in tal senso, avrebbe comunque dovuto univocamente esprimere in forza di un obbligo normativo.

Ciò perchè in siffatte ipotesi ricorre ugualmente la necessità e automaticità dell’intervento correttivo, diretto a esplicitare un comando giudiziale “tradito” dalla concreta realizzazione espressiva; e quello che si “ricostruisce” non è la volontà “soggettiva” del giudice emergente dallo stesso atto,bensì la sua volontà “oggettiva“, da considerarsi (necessariamente) immanente nell’atto per dettato ordinamentale (negli stessi termini Cass. Civ. 19229/2009).

Applicando tale più moderna concezione dell’errore all’omessa pronuncia, in via esclusiva, sull’istanza di distrazione,non è dubbio che la stessa possa essere, in effetti, ricondotta (e lo e pacificamente quando l’omissione investa il solo dispositivo, mentre la concessione della distrazione emerga dalla parte motiva) più ad una mancanza materiale che non ad un vizio di attività o di giudizio da parte del giudice (e, quindi, ad un errore percettivo di quest’ultimo): proprio perchè, in sostanza, la decisione positiva sulla stessa è essenzialmente obbligata da parte sua (a condizione, ovviamente, che il difensore abbia compiuto la dichiarazione di anticipazione e formulato la correlata richiesta di distrazione) e la relativa declaratoria necessariamente “accede” nel “decisum” complessivo della controversia, senza, in fondo, assumere una propri a autonomia formale.

E d’altra parte, ricollegando l’omissione ad una mera disattenzione (e, quindi, ad un comportamento involontario) anche sulla scorta del dato che la concessione della distrazione, ricorrendo le suddette condizioni, rimane sottratta, di regola, a qualunque forma di valutazione giudiziale, si rientra nell’ambito proprio della configurazione dei presupposti di fatto che giustificano il ricorso al procedimento di correzione degli errori e delle omissioni materiali.

 

La distrazione delle spese a favore del difensore: riflessioni

Il procedimento di cui agli articoli 287 e 288 del c.p.c., ammesso nel processo tributario ex articolo 1 secondo comma del D.Lgs 546/92, è finalizzato non a decidere una controversia bensì solo ad eliminare un errore commesso nell’esposizione di quanto deciso.

La sentenza, una volta corretta, resta del tutto inalterata nella sua portata precettiva; l’istituto della correzione della sentenza non comprende, infatti, il vizio della volontà del giudice, gli errori di giudizio e gli errori nella formazione del giudizio. L’errore materiale è quello che interviene non nella formazione del giudizio, ma nella semplice formazione della sentenza (si pensi alla sentenza in cui è trascritto il solo cognome di un membro della C.T.).

Esso non da luogo alla nullità della sentenza, ma trova rimedio nel procedimento di correzione, che non integra alcuna impugnazione. Esso si distingue dall’errore di fatto che, ai sensi dell’articolo 395 n. 4) del c.p.c., provoca l’impugnazione per revocazione e si risolve in una divergenza tra ciò che è dalla sentenza e la realtà processuale.

Mentre l’errore materiale non provoca la nullità della sentenza e può essere corretto in ogni tempo, secondo la procedura di cui all’articolo 287 del c.p.c., l’errore revocatorio può essere fatto valere entro gli stretti tempi previsti per la revocazione.

Gli errori correggibili, mediante il procedimento di correzione di cui agli articoli 287 e 288 del c.p.c., non riguardano la sostanza del giudizio.

Gli errori correggibili consistono in una divergenza fortuita tra l’idea e la rappresentazione, in una mera disattenzione o svista nella redazione della sentenza rilevabile ictu oculi. La necessità o l’opportunità di un’indagine sulla volontà del giudice esclude la materialità.

Si ha errore materiale correggibile con la procedura di cui agli artt. 287, 288 c.p.c. quando si verifichi una fortuita divergenza fra il giudizio e la sua espressione letterale, cagionata da una svista o da una disattenzione nella redazione della sentenza e come tale percepibile e rilevabile ictu oculi, senza bisogno di alcuna attività ricostruttiva del pensiero del giudice, il cui contenuto resta individuabile ed individuato senza incertezza (a differenza dell’error in iudicando deducibile ex art. 360 c.p.c. e dell’errore di fatto revocatorio ex art. 395, n. 4, c.p.c.. Il procedimento di correzione richiede l’istanza di parte, non essendo ammissibile una correzione d’ufficio.

Legittimate sono tutte le parti anche quelle a cui vantaggio si rivolgono l’errore o l’omissione materiale. L’istanza va proposta allo stesso giudice che ha pronunciato la sentenza da correggere.

Secondo l’orientamento prevalente, sono correggibili anche le sentenze delle C.T. Provinciali non appellate ma ancora appellabili.

Peraltro, si afferma che una volta proposto l’atto d’appello, contenente l’istanza di correzione, spetta alla C.T. Regionale esaminare la correzione della sentenza di primo grado prima dell’esame dell’impugnativa vera e propria che, viceversa, è rivolta alla riforma della sentenza di primo grado; una volta proposto l’appello la correzione non è più ammissibile dinanzi alla C.T. Provinciale in quanto pienamente assorbita dall’appello: l’appello assorbe ogni errore in cui è caduto il primo giudice, rientrando la relativa operazione nei compiti di revisione conferiti al giudice del gravame. L’errore materiale contenuto nella decisione di primo grado, ancorché correggibile da parte della stessa C.T. Provinciale, può anche essere corretto mediante pronuncia emessa dalla C.T. Regionale a seguito dell’atto d’appello.

È ammissibile la correzione della sentenza della C.T. Regionale da parte della stessa. Nell’ipotesi d’accordo delle parti in merito alla istanza, il Presidente della C.T. provvede con decreto, che non va notificato: il decreto presidenziale è annotato in calce alla sentenza da correggere; se non c’è l’accordo è necessario l’instaurazione del contraddittorio e sull’istanza si provvede con ordinanza, che va notificata, d’ufficio, alle parti: l’ordinanza si annota sull’originale del provvedimento. Il provvedimento di correzione ha natura sostanzialmente amministrativa e carattere ordinatorio: è ammissibile la revocabilità e la modificabilità del provvedimento di correzione.

L’ordinanza che dispone la correzione di una sentenza, configura un provvedimento di natura amministrativa, non decisorio e come tale non impugnabile; resta ferma la facoltà di impugnare la sentenza corretta, ai sensi del combinato disposto dell’articolo 288 del c.p.c. e dell’articolo 325 del c.p.c., con la previsione della decorrenza dei termini ordinari d’impugnativa della stessa dal giorno in cui è stata “notificata” l’ordinanza di correzione.

L’articolo 288 del c.p.c. comporta una riapertura dei termini d’appello per le parti corrette della sentenza di primo grado: la notificazione d’ufficio dell’ordinanza di correzione fa decorrere il termine ordinario d’impugnazione avverso la sentenza corretta.

Per tale impugnazione è prevista la riapertura del termine per impugnare che, tuttavia, non si verifica quando il provvedimento di correzione riguarda una semplice rettifica, che non altera il contenuto logico-giuridico della sentenza (Corte di Cassazione sentenza n. 192 dell’11 gennaio 1999): l’impugnabilità non realizza un’inammissibile estensione del potere d’impugnazione avverso una sentenza passata in giudicato (Cass. sentenza n. 7486 del 30 luglio 1988).

L’impugnabilità della sentenza corretta mira a verificare se è stato violato il giudicato ormai formatosi, nel caso in cui il procedimento di correzione è stato utilizzato per incidere su errori di giudizio (Cass. sentenza n. 4096 del 3 maggio 1996).

 


1) ISTANZA DI CORREZIONE DELLA SENTENZA CON L’ACCORDO DELLE PARTI (articolo 287 del c.p.c.)

AL PRESIDENTE DELLA SEZIONE N. DELLA COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE DI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Proposta da… . . . . . . . . . . . . . . . . . . (C.F. . . . . . . . . . . . . . . . . . . .)

in ………. qualità di distrattario di …………..nel giudizio contro l’ufficio ……….

PREMESSO

che la sentenza n. ….. pronunciata dalla sezione n. ….. e depositata il ….. ha accolto il ricorso introduttivo ma ha OMESSO PRONUNZIA SULL’ISTANZA DI DISTRAZIONE DELLE SPESE DEL DISTRATTARIO DIFENSORE ….. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . che siffatta statuizione è il risultato di un evidente errore materiale poiché

che l’errore materiale in questione è riconosciuto anche dall’ufficio che concorda nel richiedere la correzione della sentenza sottoscrivendo il presente atto per adesione.

CONCLUSIONI

Tanto premesso si chiede la correzione della sentenza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
depositata il ………. dalla sezione n. ….. con la specificazione ………… in sostituzione di quella erroneamente indicata …..

Si deposita copia autentica della sentenza n. …..

Firma del difensore

Firma di adesione del rappresentante dell’ufficio

 


2) ISTANZA DI DISTRAZIONE DELLE SPESE A FAVORE DEL DIFENSORE DELLA PARTE VITTORIOSA

Oggetto: Distrazione delle spese di giudizio

Alla Commissione tributaria…………………………..Sez……………………..

LE PARTI IN CAUSA

Il ricorrente:

Sig. …………………………………………………., nella sua qualità di……………………………

Contro:

Ufficio di……………………………………………………..

CONTROVERSIA

P.r.g.n. ………………………………relativa a………………………………..

Il sottoscritto……………………………. Iscritto (albo, elenco) che assiste e rappresenta la parte

ricorrente…………………………………… come da mandato del……………..

PREMESSO

Di non aver ricevuto dall’assistito ricorrente, nel corso del processo i compensi per gli onorari di causa.

CHIEDE

Ex art. 93 c.p.c. che nella sentenza di condanna alle spese di lite distragga a proprio favore gli onorari non

riscossi e le spese che dichiara di avere anticipato

Il

difensore……………………………..

Data e luogo……………………………………..

 


3) ISTANZA DI DISTRAZIONE DELLE SPESE (ARTICOLO 93, COMMA 1°, DEL CPC)

COMMISSIONE TRIBUTARIA DI SEZ

IL SOTT. AVV. /DOTT./RAG CON STUDIO IN —————————————————–

CONSTATATO

CHE CON RICORSO DEPOSITATO IL —————(RGR————-),GIUSTO MANDATO A MARGINE DELLO STESSO ATTO INTRODUTTIVO , SI COSTITUIVA NELL’INTERESSE DI —————–NEL PROCESSO NEI CONFRONTI DELL’UFFICIO DI —————;

CHE PONEVA IN ESSERE PERTANTO OGNI ATTIVITA’ DIFENSIVA ANTICIPANDO LE SPESE E NON RISCUOTENDO GLI ONORARI ;

TUTTO CI0’ PREMESSO

CHIEDE

CHE COD . ON CONSESSO , PREVIO ACCOGLIMENTO DEL PROPOSTO RICORSO E DELLA DOMANDA DI CONDANNA DELL’UFFICIO AL PAGAMENTO DELLE SPESE DI LITE STATUISCA CHE LE SOMME CORRISPONDENTI ALLE SPESE ANTICIPATE DAL SOTTOSCRITTO DIFENSORE ED AGLI ONORARI DEL PROCESSO DALLO STESSO NON ANCORA RISCOSSI SIANO DISTRATTI A PROPRIO FAVORE

FIRMA DEL DIFENSORE

(AVV/DOTT/RAG)

 


21 settembre 2010

Angelo Buscema

 

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