La legittimità della Tassa portuale

Se (e quando) è dovuta la cosiddetta “Tassa portuale” – l’interpretazione della Corte Costituzionale.

Con ordinanza n. 84 del 5 marzo 2010 (ud. del 24 febbraio 2010) la Corte Costituzionale si è occupata della tassa sulle merci imbarcate e sbarcate (cd. Tassa portuale).

La legittimità costituzionale della tassa portuale

tassa portuale sulle merciLa questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 986, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, per violazione degli artt. 3, 101, 102 e 104, della Costituzione, è stata sollevata da una commissione tributaria provinciale, su stanza della ricorrente, che ritiene di non essere tenuta al pagamento della tassa portuale, per avere sempre effettuato le operazioni di imbarco e sbarco di prodotti petroliferi attraverso il terminale della baia di S. P., al di fuori dell’ambito territoriale del porto, senza utilizzare alcuna infrastruttura o servizio portuale e servendosi esclusivamente di personale proprio e di proprie infrastrutture ed attrezzature oltre che sotto la propria responsabilità.

Lo stesso giudice a quo riferisce che in precedenza, a favore della stessa azienda, il Tribunale di C., con sentenza n. 386 del 27 marzo 2001, aveva riconosciuto il diritto all’esenzione dal pagamento della tassa in questione per avere effettuato le operazioni di imbarco e sbarco delle merci fuori dall’ambito del porto; e che tale sentenza era stata confermata dalla Corte di appello di C. con sentenza n. 787 del 9 settembre 2004, gravata con ricorso per cassazione ancora pendente.

Avverso gli atti messi dalla locale Dogana è stata avanzata ai giudici richiesta di annullamento, previa sospensione, dei suddetti avvisi per difetto del presupposto legittimante e violazione e falsa applicazione delle disposizioni di cui all’art. 4 della legge 28 gennaio 1994, n. 84 (Riordino della legislazione in materia portuale) e per violazione degli artt. 1 e 3 della legge 27 luglio 2000, n. 212 (Disposizioni in materia di statuto dei diritti del contribuente).

L’Agenzia delle dogane, costituita in giudizio, riconduceva la propria pretesa al carattere interpretativo del comma 986 dell’art. 1 della legge n. 296 del 2006, secondo cui sono soggette alla tassa le operazioni in qualsiasi modo compiute presso porti, rade, spiagge, zone di attracco, e al fatto che nella circostanza, comunque, la baia di S. P. è ricompresa nell’ambito territoriale del porto.

La Commissione rimettente ha osservato che la controversia riguarda il pagamento della tassa per le merci sbarcate ed imbarcate dalla società E. attraverso il proprio pontile ubicato nella rada aperta di S. P. per il periodo dal 18 settembre 2001 al 30 aprile 2007.

Il giudice a quo riferisce che, secondo la ricorrente, tale tassa, definita tassa portuale, a differenza della cosiddetta tassa erariale – dovuta per le operazioni di sbarco ed imbarco effettuate in qualsiasi porto, rada o spiaggia dello Stato italiano – avrebbe dovuto essere pagata soltanto per le operazioni effettuate nell’ambito di un porto individuato in forza di un decreto del Ministro dei trasporti e della navigazione (adottato sulla base del procedimento regolato dall’art. 4 della legge n. 84 del 1994 e seguito dall’approvazione di un piano regolatore portuale ex art. 5 dello stesso atto normativo); e che solo in virtù dell’entrata in vigore dell’art. 1, comma 986, della citata legge n. 296 del 2006, avente carattere innovativo e con effetti retroattivi, la tassa sarebbe dovuta anche per le operazioni effettuate al di fuori dell’ambito portuale.

Alla pretesa della contribuente di non essere tenuta al pagamento, per l’ammontare complessivo di € 32.782.493,95, in quanto il terminale della baia di S. P., oltre ad essere ubicato al di fuori dell’ambito territoriale del porto, è gestito con proprio personale e con proprie infrastrutture ed attrezzature, si contrappone la tesi dell’Agenzia delle dogane, secondo cui il comma 986 dell’art. 1 della legge n. 296 del 2006, interpretando estensivamente i concetti di porti, rade, strutture d’ormeggio, eccetera, eliminerebbe qualsiasi ambiguità e preverrebbe qualsiasi questione relativa alla tipologia della zona in cui sono ubicati gli attracchi.

In punto di rilevanza, la Commissione provinciale osserva che la norma citata, disponendo che

“sono soggette alla tassa di ancoraggio e alle tasse sulle merci (…) le merci imbarcate e sbarcate nell’ambito di porti, rade o spiagge dello Stato, in zone o presso strutture di ormeggio, quali banchine, moli, pontili, piattaforme, boe, torri e punti di attracco, in qualsiasi modi realizzati”,

imporrebbe alla E. di corrispondere all’Erario tasse di rilevante importo, che non sarebbero dovute  in caso di integrale accoglimento della pretesa della ricorrente sulla base della normativa come applicata dalle sentenze di merito finora emesse nei propri confronti.

Non manifesta infondatezza

Quanto al profilo della non manifesta infondatezza, il giudice a quo ritiene che il comma in questione non abbia natura interpretativa, ma innovativa.

La norma, definita dal legislatore di “interpretazione”, amplierebbe, ad avviso del rimettente, il presupposto impositivo della tassa portuale estendendone il pagamento alle operazioni svolte su qualsiasi struttura di ormeggio realizzata al di fuori dell’ambito portuale, laddove, invece, la legge 9 febbraio 1963, n. 82 (Revisione delle tasse e dei diritti marittimi), e la legge 5 maggio 1976, n. 355 (Estensione alle aziende dei mezzi meccanici e magazzini portuali di Ancona, Cagliari, La Spezia, Livorno e Messina di alcuni benefici previsti per gli enti portuali), circoscrivono il pagamento della tassa alle operazioni di imbarco e sbarco di merci svolte nell’ambito di porti debitamente classificati.

In pratica la Commissione tributaria provinciale dubita della legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 986, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2007), laddove, interpretando il comma 982, lettere a) e b), e il comma 985 dell’art. 1 della stessa legge, amplierebbe il presupposto impositivo della tassa portuale estendendone l’applicazione alle operazioni svolte su qualsiasi struttura di ormeggio realizzata al di fuori dell’ambito portuale, per violazione del principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost., per avere in realtà innovato la disciplina con effetto retroattivo, così assoggettando al tributo ipotesi prima escluse, e per aver violato l’affidamento sorto in capo agli interessati in ordine a oneri tributari certi e prevedibili, nonché degli artt. 101, 102 e 104 Cost., essendo diretto ad incidere su fattispecie sub iudice, con l’effetto di invadere la sfera riservata al potere giudiziario.

L’ordinanza  n. 84 del 5 marzo 2010 della Corte Costituzionale

ordinanza della corte costituzionaleLa Corte Costituzionale, preliminarmente, ritiene che l’eccezione di inammissibilità della questione, sollevata dalla difesa erariale, per non avere il giudice rimettente esplorato la possibilità di pervenire, in via interpretativa, ad una soluzione costituzionalmente corretta, non sia fondata, giacché la Commissione rimettente ha espressamente argomentato il carattere, a suo avviso, non interpretativo della norma, attribuendole, viceversa, effetto innovativo, con incidenza sulle controversie pendenti.

Sono manifestamente inammissibili e non esaminabili le censure relative alla violazione degli artt. 11, 41, 53 e 111, Cost. sollevate dalla E.. s.p.a. con la memoria depositata nell’imminenza dell’udienza, trattandosi di questioni non sollevate dall’ordinanza di rimessione.

La Corte, inoltre, sempre in via preliminare, ravvisa sia una insufficiente motivazione sulla rilevanza, sia una insufficiente motivazione sulla non manifesta infondatezza.

Il giudice a quo motiva la rilevanza, nel senso che il comma 986

“imporrebbe alla E. di corrispondere all’erario tasse di rilevante importo, che non sarebbero dovute in caso di integrale accoglimento della pretesa della ricorrente sulla base della normativa come applicata dai suddetti giudici di merito”,

senza

” tenere presente la costante giurisprudenza di questa Corte secondo cui la mera enunciazione della fondatezza della questione non è sufficiente a dimostrare la rilevanza della stessa”.

“Il rimettente non ricostruisce la fattispecie, con quegli elementi di fatto (estraneità ad ambiti portuali), in virtù dei quali la rada di S. P. sarebbe sottratta alla tassa portuale secondo la vecchia disciplina, e rientrerebbe invece nell’ambito di applicazione della norma censurata. Infatti, sul punto, il giudice si limita a riferire che, da un lato, secondo la E., il terminale attraverso il quale vengono compiute operazioni di sbarco/imbarco di prodotti petroliferi, è al di fuori dell’ambito territoriale del porto, e che non utilizza infrastrutture o servizi portuali, e dall’altro che, secondo l’Agenzia delle dogane, la baia di S. P. rientra nell’ambito territoriale del porto”.

Su tale questione – osserva la Corte Costituzionale –

“il giudice rimettente non prende posizione, ma si limita ad affermare che, secondo le sentenze rese con riguardo ad analoghe pretese dell’Agenzia delle dogane (ma non ancora passate in giudicato, per la pendenza del ricorso per cassazione), le operazioni si sarebbero svolte fuori dell’ambito del porto, e per questo difetterebbero i presupposti di applicabilità della tassa portuale, senza compiere dunque quell’accertamento reso necessario dalle contestazioni in giudizio, richiamate nella memoria dell’Avvocatura generale dello Stato, dalle quali si desumerebbe incontrovertibilmente l’appartenenza dell’approdo di S. P. al porto”.

La Commissione tributaria, inoltre, esclude il carattere interpretativo della norma

“semplicemente perché le vicende giudiziarie relative a precedenti pretese, allo stesso titolo, dell’amministrazione finanziaria, si sarebbero concluse nel senso della non debenza del tributo, ma non si dà cura di approfondire le questioni connesse a natura e presupposti di applicabilità del tributo, alla ricerca di un significato rientrante nelle possibili letture della disciplina complessiva sulla tassa portuale, che la norma censurata potrebbe essere intervenuta a confermare, e conclude che, secondo la legislazione previgente (leggi n. 82 del 1963 e n. 355 del 1976), il pagamento della tassa è dovuto per operazioni di sbarco/imbarco svolte nell’ambito di porti debitamente classificati, ma non tiene conto della ulteriore previsione generalizzante, di cui all’art. 28, comma 6, della legge n. 84 del 1994, che adotta quale presupposto dell’imposizione l’appartenenza ad un ambito portuale”.

Le esposte considerazioni hanno indotto la Corte Costituzionale a dichiarare la questione manifestamente inammissibile.

26 marzo 2010

Gianfranco Antico