Il fondo patrimoniale può non salvare il contribuente dall’art. 11 del D.Lgs. n. 74/2000

la stipulazione di atti, ivi compresa la costituzione di un fondo patrimoniale privo di giustificazione, nella prossimità temporale della notificazione di avvisi di accertamento o di atti impositivi deve ritenersi chiaramente sospetta, né l’utilizzo del prezzo per l’estinzione di debiti pregressi è circostanza sufficiente ad escludere la simulazione

          La stipulazione di atti, ivi compresa la costituzione di un  fondo patrimoniale privo di giustificazione, nella  prossimità  temporale  della notificazione di avvisi di accertamento o di atti impositivi deve ritenersi chiaramente sospetta, né l’utilizzo del prezzo per l’estinzione di debiti pregressi è circostanza sufficiente ad escludere la simulazione.

          E’ questa la massima della sentenza n. 38925 del 7 ottobre 2009 (ud. del 10 giugno 2009) della Corte di Cassazione.

 

La fattispecie normativa

 

          Il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte è disciplinato dall’art. 11 del D.Lgs. n. 74 del 2000,  attraverso il quale, salvo  che il fatto costituisca più grave reato, punisce colui il quale, al fine di sottrarsi al pagamento delle II.DD. o dell’IVA ovvero di interessi o sanzioni  relative a dette imposte, di ammontare complessivo superiore a 51.645 alieni simulatamente o compia altri atti fraudolenti sui propri o altrui beni, idonei a rendere in tutto  o  in  parte inefficace la procedura di  riscossione. 

     Per l’Amministrazione finanziaria il reato si perfeziona con “la semplice idoneità della condotta a rendere inefficace la procedura di riscossione, e non anche l’effettiva verificazione dell’evento” (cfr. circolare  n. 154/E del 4 agosto 2000 – punto 3.4.).

          Il delitto contempla una condotta esclusivamente commissiva, consistente nell’alienazione simulata di beni del proprio patrimonio o il compimento di altri atti fraudolenti  sui  beni propri o altrui preordinati  al  fine  di  pregiudicare  l’efficacia  della riscossione coattiva.

 

          L’art. 11, del D.Lgs. n. 74/2000 ha superato l’impostazione in base alla quale il reato era configurabile solo se il contribuente era stato in qualche modo posto in condizione di aspettarsi un’azione esecutiva da  parte degli uffici tributari. Per il perfezionamento del reato, infatti, si  richiede ora  solo che l’atto simulato di alienazione o gli altri atti fraudolenti sui beni siano idonei ad impedire il soddisfacimento totale o anche parziale del Fisco.

          La norma non mira a punire il mero inadempimento di un’obbligazione tributaria ma mira a sanzionare il compimento di attività fraudolente,  finalizzate a far venire meno le garanzie di un’efficace riscossione dei tributi da parte  dell’Erario. 

          E pertanto, non è corretta la tesi che esclude la configurabilità del  reato per la mancanza di una  procedura esecutiva in atto (resta fermo che la condotta incriminata presuppone l’esistenza di un credito d’imposta in  misura  non  inferiore  ad  euro  51.645).

          Sul punto va registrata la sentenza della Corte di Cassazione n. 14720 del 6 marzo 2008, depositata il 9 aprile 2008, ove i Giudici affermano che per la configurabilità del reato è necessario, il dolo specifico (ovvero il fine di sottrarsi al pagamento del proprio debito tributario) e una condotta fraudolenta atta a vanificare l’esito dell’esecuzione tributaria coattiva; la fattispecie si presenta diversa rispetto all’omologa contemplata dal vecchio art. 15 della legge n. 413/1991, in quanto a fronte della necessità della sussistenza dell’elemento soggettivo (dolo specifico: fine di evasione) e della condotta materiale (attività fraudolenta), la nuova fattispecie non richiede che l’amministrazione finanziaria abbia già compiuto un’attività di verifica, accertamento o iscrizione a ruolo, né la vanificazione della riscossione tributaria coattiva.

 

          Di recente, la stessa Corte, con la sentenza n. 25147 del 17 giugno 2009 (ud. del 22 aprile 2009), ha affermato che l’alienazione di un bene  immobile a terzi, costituiti in società, il cui legale rappresentante sia il coniuge convivente, è condotta idonea a configurare il reato previsto di  sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte di cui all’art. 11, D.Lgs. n. 74/2000.  La Corte ribadisce, richiama e fa proprio  l’orientamento  ormai consolidato, secondo il quale, “la fattispecie di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte, di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 11, è diversa rispetto all’omologa fattispecie, oggi abrogata, di cui  al D.P.R. n. 602 del 1973, art. 97, comma 6, (come modificato dalla L. n. 413 del 1991, art. 15, comma 40), in  quanto –  a fronte della  identità  sia dell’elemento soggettivo costituito dal fine di evasione ed integrante il dolo specifico, che della condotta materiale  rappresentata dall’attività fraudolenta – la  nuova fattispecie, da un lato, non   richiede che l’amministrazione tributaria abbia già compiuto un’attività di  verifica, accertamento o iscrizione a ruolo e, dall’altro, non richiede l’evento  che, nella previgente previsione, era essenziale ai  fini  della  configurabilità del reato, ossia la sussistenza di una procedura di riscossione in atto e la effettiva vanificazione della riscossione tributaria coattiva”. Essendo un reato “di  pericolo  e  non più “di  danno“, l’esecuzione  esattoriale “non  configura  un presupposto della condotta illecita, ma è prevista solo come  evenienza futura che la condotta tende (e deve essere idonea) a neutralizzare. Ai fini della perfezione del delitto, pertanto, è sufficiente la semplice  idoneità della condotta a rendere inefficace (anche  parzialmente) la procedura di riscossione – idoneità da apprezzare con giudizio ex  ante – e non anche l’effettiva verificazione di tale evento vedi Cass.: Sez. 3^,  9.4.2008,  n. 14720; Sez. 5^, 26.2.2007, n. 7916 e Sez. 3^, 18.5.2006, n. 17071)”. “Nella  vicenda  in  esame  i  giudici  del  merito  hanno congruamente verificato la idoneità della condotta ad impedire, quanto meno parzialmente, il soddisfacimento del credito erariale (stante raffermata  esiguità  del valore dell’altro immobile di  proprietà  dell’imputato che  non  è  stata smentita con elementi concreti in ricorso)  e –  quanto all’elemento soggettivo del reato – risulta che lo stesso imputato, già nell’anno *2000*, era perfettamente consapevole della sussistenza del proprio  ingente  debito fiscale ed aveva ritenuto di non  avvalersi della possibilità  di  condono fiscale, perchè “finanziariamente impraticabile” per carenza di liquidità”.

 

L’ULTIMA PRONUNCIA

 

          Con sentenza n. 38925 del 7 ottobre 2009 (ud. del 10 giugno 2009) la Corte di Cassazione ha riconfermato il principio che il delitto di  sottrazione  fraudolenta al pagamento delle imposte, previsto e punito dall’art. 11, D.Lgs. n. 74/2000, ha natura di reato di pericolo. Conseguentemente, la   fattispecie criminosa è perfezionata al verificarsi di atti simulati o  fraudolenti  idonei  a rendere, in tutto od in  parte,  inefficace  la  riscossione  coattiva  dei tributi. La stipulazione di atti, ivi compresa la costituzione di un  fondo patrimoniale privo di giustificazione, nella  prossimità  temporale  della notificazione di avvisi di accertamento o di atti impositivi deve ritenersi chiaramente sospetta, né l’utilizzo del prezzo per l’estinzione di debiti pregressi è circostanza sufficiente ad escludere la simulazione.

 

Il fatto

 

          Il tribunale di Pistoia, accogliendo parzialmente la richiesta di riesame, avanzata nell’interesse di G.F. e G.G.  quali indagati per il reato di cui all’art. 11 del D.Lgs. n. 74 del 2000 avverso il provvedimento di sequestro preventivo emesso dal giudice per le indagini  preliminari  presso il tribunale di Pistoia, con cui si era disposto  il  sequestro  dell’intero patrimonio della società S. per un valore di Euro 1.600.000 nonchè di beni immobili personali degli indagati, quali soci della predetta società, confluiti nel patrimonio sociale per un valore di Euro 3.300.000,  disponeva la restituzione di titoli di  proprietà  di  R.G.  per  un  valore  di  Euro 1.240.000.

          Tale provvedimento cautelare  era  stato  adottato  in  quanto,  secondo l’ipotesi accusatoria, G.G. insieme con il figlio G.F. e con la moglie R.G., avevano alienato simulatamene alla società Progetto edilizia alcuni beni immobili al fine di sottrarli al pagamento delle imposte sui redditi e sul valore aggiunto per un valore notevolmente superiore ad  Euro  51.645 e di avere costituito per gli stessi fini un fondo patrimoniale sul quale avevano fatto confluire tutti i loro beni.

          Ricorrono per cassazione gli indagati, con separati ricorsi ma con motivi comuni deducendo:

1) la violazione dell’art. 321 c.p.p. e dell’art. 11 del D.Lgs. n. 74 del 2000, per la mancanza del fumus  delicti, avendo  il  tribunale considerato fraudolenti  gli atti anzidetti solo perchè stipulati poco dopo gli accertamenti fiscali, senza considerare tutti gli altri effetti sostanziali da essi prodotti o la mancanza di idoneità degli atti a sottrarre  garanzie al creditore: infatti con riferimento alla vendita immobiliare, premesso che all’epoca del contratto alla S., era stato  notificato  un  solo  avviso  di accertamento per un credito di circa 400.000 Euro, sottolineava che la somma contante riscossa per la vendita era stata effettivamente utilizzata dalla società S. per estinguere un proprio debito verso la banca mentre il residuo prezzo da versare in rate mensili  era  aggredibile  da  parte  dell’Agenzia delle Entrate.

Con riferimento al fondo patrimoniale costituito osservava che il pagamento del debito fiscale rientrava tra gli atti contratti per i bisogni della famiglia  per la presunzione che la liquidità non corrisposta all’Erario da entrambi i  coniugi  era  stata utilizzata per le esigenze della famiglia;

2) la violazione degli artt. 316 e 321 c.p.p. per l’insussistenza dell’elemento psicologico del reato poichè il fondo patrimoniale era stato costituito prima della notifica degli accertamenti; inoltre i ricorrenti prima della notifica del  sequestro preventivo avevano attivato il procedimento di accertamento con  adesione a riprova dell’intenzione di trovare un accordo e pagare le imposte relative;

3) la violazione degli  artt.  316  e  321  c.p.p. per l’assenza del periculum, in quanto il provvedimento si fonda su semplici sospetti e non su elementi concreti da cui desumere la volontà di sottrarsi al pagamento delle imposte; anzi con la vendita incriminata la  situazione  patrimoniale  della società era migliorata, in quanto, con la somma ricavata, si era estinto il mutuo ipotecario di cui la società era gravata e si erano venduti i fondi commerciali rimasti da tempo invenduti;

4) travisamento del fatto nella parte in cui si è accolta  la  doglianza relativa  alla sproporzione tra il credito vantato dell’Erario ed il patrimonio sequestrato: infatti il tribunale aveva disposto la restituzione di titoli azionali per un valore di Euro 1.240.000 nonostante che tali titoli non fossero stati oggetto di sequestro.

 

La sentenza

 

          La Corte di Cassazione respinge il ricorso.  Preliminarmente, osserva la Corte, “secondo l’orientamento più recente e prevalente di questa Suprema  Corte, dal  quale il  collegio  non  ravvisa  ragioni  per discostarsi, non essendo stata peraltro neppure  affrontata dal ricorrente sotto tale profilo giuridico la questione, ai fini dell’integrazione del reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte  (D.Lgs.  n. 74 del  2000,  art. 11)  non  è  necessario  che  sussista  una  procedura  di riscossione in atto (cfr. sez. 5, 10.1.2007 n.  7916,  Cutillo,  RV  236053; conf. sez. 3, 4.4.2006 n. 17071, De Nicolo, RV 234322) essendo sufficiente l’idoneità dell’atto simulato o ritenuto fraudolento a rendere in tutto o in parte inefficace una procedura di riscossione coattiva da parte dello Stato. Appare, pertanto, evidente la natura di reato di pericolo della  fattispecie prevista dal D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 11, essendo stato  anticipato  il momento sanzionatorio alla commissione di qualsiasi atto che possa porre  in concreto pericolo l’adempimento di un’obbligazione tributaria, indipendentemente dalla attualità della stessa. Il reato può essere commesso sia con alienazioni simulate che con altri atti fraudolenti”.

          Ciò premesso, “si rileva che gli atti posti in essere dagli indagati erano indubbiamente idonei a diminuire le garanzie patrimoniali del Fisco. La loro stipulazione è chiaramente sospetta sia perchè effettuata in coincidenza con i primi accertamenti o comunque con le  prime verifiche da  parte della polizia tributaria, sia perchè l’alienazione è stata effettuata in favore di persone vicine alla famiglia dei ricorrenti e prive di garanzie adeguate a garantire il pagamento del residuo prezzo stabilito nel contratto”.

 

          La sentenza poi si concentra sulla costituzione di un fondo  patrimoniale, avente ad oggetto tutti i beni mobili ed immobili  della  società: per la Corte “era  indubbiamente atto idoneo a limitare le ragioni del fisco, come  già  statuito  da  questa corte con la sentenza n. 5824 del 2008,  tanto  più che non sono state indicate le ragioni della costituzione del fondo patrimoniale. Con tale fondo alcuni  beni  immobili  o  mobili  iscritti  in  pubblici registri vengono destinati a soddisfare i bisogni della  famiglia  e  quindi sono parzialmente sottratti all’espropriabilità. Invero, a norma dell’art. 170 c.c., l’esecuzione sui beni del fondo o sui frutti non può  avere  luogo per debiti che il creditore conosceva  essere  stati  contratti per scopi estranei alla famiglia il credito fiscale non  ha  alcuna  attinenza  con  i bisogni della famiglia ma  sorge  automaticamente quando si verificano  i presupposti che determinano la nascita dell’obbligazione tributaria”.

 

          Per i giudici di Cassazione, anche in ordine all’alienazione sussistono  allo stato  validi elementi che inducono a ritenerla simulata o  quanto meno fraudolenta. “Invero, come risulta dal provvedimento di sequestro, lo stesso giorno  della costituzione del fondo patrimoniale  si  era  costituita  la  società  P.E. s.r.l. con un capitale minimo, della quale erano soci P.M. e M.A. vicini di casa dei ricorrenti. Dei due solo il P. aveva un reddito derivante da lavoro dipendente. I predetti erano proprietari di un bene immobile acquistato dalla società S.M. S.R.L. le cui azioni nella disponibilità degli  indagati erano confluite nel fondo patrimoniale. Qualche giorno  dopo  G.F., quale legale rappresentante della S., cedeva a P.M., quale  legale  rappresentante  della società P.E. tutti i beni immobili della S. per un valore di Euro 16.000 corrisposto tramite erogazione di un mutuo per Euro 1.250 e con previsione di pagamento del residuo prezzo in rate  annuali  di  Euro  96.000  fino  al 2015.  Orbene, per le modalità della costituzione della società Progetto, per il fatto che gli   acquirenti   non esercitavano alcuna attività imprenditoriale, per i rapporti tra acquirenti e venditori e per la messa in liquidazione della  S. un  mese  dopo  l’alienazione,  si può considerare astrattamente configurabile la simulazione. Il fatto che in coincidenza  con la stipulazione del contratto sia stato  effettivamente  estinto  un  debito ipotecario non esclude la simulazione trattandosi di  debito  garantito  che doveva comunque essere pagato. I giudici del merito hanno ritenuto  che  gli indagati con gli  atti  dianzi  menzionati, da un lato, hanno sottratto garanzie all’Erario e, dall’altro, hanno continuato ad esercitare l’attività sotto lo schermo formale di terzi. In questa fase del giudizio i giudici non devono stabilire l’effettiva sussistenza del reato e quindi dimostrare al di là di ogni ragionevole dubbio la simulazione nelle  sue  diverse  forme,  ma solo accertare l’astratta configurabilità di  un  comportamento  fraudolento diretto a sottrarre garanzie al Fisco”.

          Per la Cassazione sussiste il periculum, in quanto il  sequestro è  stato disposto anche per garantire  la  confisca per equivalente di cui all’art. 322 ter c.p. e della L. n. 244 del 2007, art. 1, comma 143.

 

Roberta De Marchi

27 Ottobre 2009